Rapporto Fao 2023: i costi nascosti del sistema agroalimentare, tra contraddizioni e sfide

Matteo Garuti
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    L’ultimo rapporto Fao sulla situazione dei sistemi agroalimentari globali si è concentrato sui costi occulti delle filiere – economici, sociali, ambientali e sanitari – che secondo i ricercatori richiedono una contabilità rinnovata per poter essere presentati ai decisori politici. A causarli sarebbe soprattutto la cattiva alimentazione con le sue conseguenze, che genera reazioni a catena di ampia portata e in diverse aree del mondo. Ma di cosa si tratta e quali sono le proposte per superare le contraddizioni attuali? Ecco cosa si afferma nel documento Fao e quali potrebbero essere le modalità e gli strumenti utili alla causa.

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    Rapporto Fao 2023: i costi nascosti non possono essere trascurati

    Gli attuali sistemi agroalimentari celano costi che pesano sulla nostra salute, sull’ambiente e sulla società, per un totale di 12.700 miliardi di dollari, pari al 10% del PIL mondiale. Sono queste le conclusioni del rapporto The State of Food and Agriculture 2023 curato dalla Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), con analisi che hanno interessato 154 Paesi. Secondo questo studio, gran parte dei costi dipende dalla cattiva alimentazione, in riferimento a  una dieta dove prevalgono cibi ultra-trasformati e ricchi di zuccheri e grassi, che possono causare obesità, malattie cardiovascolari e metaboliche e favorire forme tumorali, condizioni patologiche responsabili anche di una perdita di produttività. Oltre alle conseguenze sanitarie dirette, infatti, vanno considerate anche le implicazioni economiche complessive, e in questo caso gli effetti collaterali negativi dipendono da un calo della forza lavoro, che determina una perdita di produttività.

    Negli Stati a reddito medio-alto questa tipologia di danni è prevalente e a imporsi in termini economici sono appunto gli effetti sulla salute: il 73% di tutti i costi occulti presi in considerazione dall’analisi Fao sono associati alle abitudini alimentari.

    Circa un quinto dei costi complessivi, oltre il 20%, è invece collegato all’impatto ambientale, e quindi alle emissioni di gas serra, ai cambiamenti di destinazione d’uso dei terreni e al consumo di suolo e di acqua. In questo ambito tutti i Paesi sono coinvolti, e le dimensioni del problema sono ancora sottovalutate a causa dei pochi dati disponibili.

    Seguendo le riflessioni esposte nel rapporto, in proporzione le nazioni a basso reddito soffrono maggiormente i costi occulti dei sistemi agroalimentari, che valgono più di un quarto del loro PIL (27%). In tali condizioni, spiccano i problemi e le conseguenze della povertà e della denutrizione, con diffuse situazioni in cui gli agricoltori non riescono a produrre abbastanza cibo o non ottengono un giusto compenso per i loro prodotti. Per i Paesi a medio e ad alto reddito, invece, si scende rispettivamente al 12% e all’8% del PIL.

    Il documento, inoltre, propone ai governi e al settore privato di impegnarsi per analizzare in modo regolare e dettagliato tutti i costi dei sistemi agroalimentari, con una contabilità analitica effettiva alla quale devono fare seguito azioni mirate a prevenire e limitare i danni.

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    Gli strumenti per correggere le criticità dei sistemi alimentari

    Il rapporto Fao 2023 rappresenta il primo tentativo di scorporare i costi nascosti dell’agroalimentare fino al livello nazionale, per rendere possibile un confronto tra le varie categorie di costo e tra i vari Stati. Per la prima volta, inoltre, la Fao dedicherà al tema dei costi occulti due edizioni consecutive del rapporto The State of Food and Agriculture 2023 . Se quello di quest’anno espone le stime iniziali, quello 2024 offrirà valutazioni specifiche e approfondite, per proporre ai decisori politici le soluzioni migliori al fine di ridurre i costi, quali strumenti economici (tasse e sussidi) e normativi o regolamentari.

    Nella premessa del rapporto, il Direttore generale della Fao Qu Dongyu ha affermato che “il futuro dei nostri sistemi agroalimentari e, di fatto, del nostro Pianeta, dipende dalla nostra disponibilità a riconoscere questi costi reali e a capire in che modo tutti noi contribuiamo a generarli. Tutti abbiamo interesse ad agire per trovare una soluzione. Spero davvero che questo rapporto possa spronare tutte le parti interessate a intervenire – dai responsabili politici agli attori del settore privato, dalla comunità scientifica ai consumatori – e che ispiri un’azione collettiva verso una trasformazione dei nostri sistemi agroalimentari, a beneficio di tutti”.

    Il rapporto, quindi, sprona i governi a considerare attentamente questi costi reali per trasformare i sistemi agroalimentari, per affrontare con più contezza i cambiamenti climatici, la povertà, le disuguaglianze e la malnutrizione. Un’ulteriore evoluzione nella ricerca e nei dati, come anche un rafforzamento delle capacità di raccolta ed elaborazione, potrà contribuire positivamente a questa contabilità, sempre con l’obiettivo di informare al meglio il processo decisionale.

    I costi nascosti sono connessi tra loro

    Nel complesso quadro dei costi sommersi appena descritti, sono evidenti i legami tra questi, che possono essere compresi meglio ricorrendo a un esempio semplice. Come abbiamo visto approfondendo le dinamiche e le criticità della filiera del cacao, questa importante materia prima agricola viene coltivata soprattutto in Ghana e Costa d’Avorio, nell’Africa occidentale, dove i salari dei coltivatori e dei lavoratori non permettono loro di uscire dalla povertà. I prodotti finali – in primis il cioccolato, che specialmente quando è molto ricco di zucchero può essere menzionato tra i cibi che favoriscono l’obesità – vengono però in gran parte consumati da chi vive negli Stati ad alto reddito, soprattutto in Europa. Se i clienti finali riducessero i propri consumi e fossero disponibili a pagare di più per prodotti più equi e di qualità superiore, si contribuirebbe a ridurre l’impatto sulla salute nel contesto europeo, destinando al contempo più denaro e risorse ai lavoratori che operano e vivono in Africa, alla base della filiera.

    Il mondo scientifico non concorda sui metodi per migliorare i sistemi alimentari

    Le considerazioni sulle implicazioni economiche e sociali dei costi nascosti suggeriscono diverse soluzioni oltre a quelle proposte dal rapporto Fao. Secondo il Food Systems Institute dell’Università di Nottingham, ad esempio, la strategia europea Farm to fork potrebbe ridurre la produttività nel nostro continente e favorire un aumento delle importazioni alimentari da nazioni del Sud del mondo come il Brasile, spingendo ulteriormente la deforestazione e la crescita dei costi ambientali nascosti complessivi. Per l’ente inglese, infatti, l’obiettivo della strategia per garantire che un quarto dei terreni agricoli europei sia biologico, con una riduzione dell’impiego di fertilizzanti di almeno il 20% entro il 2030, ridurrebbe sì i costi ambientali nascosti in Europa, ma porterebbe ad accrescerli in altre aree del mondo. Secondo questa visione, le conseguenze globali sarebbero una buona ragione per dubitare della stessa contabilità proposta dalla Fao, perché se uno Stato sposta la propria impronta ecologica in aree con una biodiversità più ricca e più delicata, non è detto che il sistema globale diventi più sostenibile. I decisori politici, quindi, dovrebbero risolvere le criticità dei loro settori alimentari, e non scaricare altrove il problema. Se in alcune zone occorre aumentare la quota di agricoltura sostenibile e di biologico, magari perché in prossimità di aree ambientali da proteggere, in altri può essere possibile coltivare in modo più intensivo.

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    Correggere le abitudini alimentari nei Paesi sviluppati

     Al netto delle diverse visioni sulla rettifica dei sistemi alimentari, secondo gli esperti, rispetto alle abitudini delle persone la maggior parte degli Stati ad alto reddito non sta ottenendo i risultati necessari per un concreto miglioramento. In queste zone del mondo, per la Fao oltre l’80% dei costi nascosti dipende da regimi alimentari non salutari. I governi dovrebbero concentrarsi su come incentivare la riduzione del consumo di carne a non più di una o due porzioni alla settimana, una quota al momento assai lontana dalle consuetudini di buona parte delle famiglie. Ad ogni modo, per ridurre i costi nascosti sarà necessaria un’azione congiunta tra scelte politiche, impostazioni più responsabili da parte dell’industria alimentare e cambiamento delle abitudini individuali delle persone.

    Come precisato nella prefazione “i risultati del rapporto non devono essere visti come una valutazione definitiva, ma piuttosto come un punto di partenza per stimolare il dibattito e il dialogo”.


    Immagine in evidenza di: Alexander Raths/shutterstock.com

     

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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