Saperi e Sapori del Giappone: reportage di un viaggio in Sol Levante
GEN è acronimo di Genuine Education Network e dal 2014 i tre componenti di questa nuova e valida organizzazione promuove la cultura giapponese attraverso attività formative di carattere enogastronomico. “L’unico modo di cambiare il mondo è cambiare noi stessi. Incoraggiamo non solo all’apprendimento di pratiche “genuine” ma anche la loro applicazione pratica in uno stile di vita più equilibrato”. È il pensiero alla base del trio formato da Shota Hayashy, Yukako Sato e Justin Yip, giovani e caparbi convinti che la soluzione per la salvaguardia di anima e corpo sia la gratitudine verso la natura e il rispetto per gli altri. Approccio giapponese insomma.
Giungere per la prima volta nel paese del Sol Levante con GEN è certamente un valore aggiunto perché si ha la possibilità di avvicinarsi ad una cultura così lontana, resa più famigliare proprio dalle loro attività in loco. Abbiamo avuto la fortuna di vivere il Giappone più tradizionale e puro senza però lasciarci scappare la mirabilante Tokyo.
Toba e le donne Ama
L’approccio iniziale è stato con la Prefettura di Mie lungo la Via delle Perle che si snoda da Toba verso la costa della Penisola di Shima. Qui esiste qualcosa di magico e storico, tanto profondo quanto lieve, è l’antica tradizione delle “Ama”, le donne pescatrici che ancora oggi in apnea esplorano i fondali marini della baia alla ricerca di perle e abaloni (conosciuti in Italia come orecchie di Venere per la forma della conchiglia che li ricopre).
Un’attività ancora affascinante praticata come nel passato: le Ama si immergono in apnea, senza bombole ma con la sola maschera, per pescare a mani nude o al massimo protette da guanti speciali. Unica differenza sono la muta (introdotta dal 1964) o la leggera veste di lino bianco (isogi) che fino a mezzo secolo fa non venivano indossate. Oggi le Ama sono poco meno di duemila e la loro età è compresa fra i 20 e i 70 anni, si trovano nella regione di Ise-Shima, lungo la baia di Toba e le isole di Toshijima, Sugashima e Kamishima. La loro immagine è diventata il simbolo del luogo e sono candidate all’Unesco come Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
Queste straordinarie pescatrici gesticono gli “Ama-hut” o “Amakoya”, capanni sulla costa che un tempo utilizzavano per rifocillarsi e scaldarsi, oggi adibiti all’accoglienza. Si può prenotare un pranzo a base di frutti di mare freschissimi come le sazae (le conchiglie a turbante) o i suddetti abaloni cotti su griglie allestita a terra, insaporiti con salse vegetali locali e accompagnati anche da altri pesci di piccola taglia e dall’immancabile tè verde. Sono generose e sorridenti, umili e accoglienti.
Condividere con loro il pranzo, per quanto oggi divenuta pratica per i turisti, resta comunque l’approccio più vero alla loro vita e alla loro storia, un contatto con la tradizione del Giappone tramite una condivisione di sapori e saperi di altissimo livello. (Volendo pernottare in alberghi tipici, con tanto di feste-karaoke per cui i giapponesi vanno matti, le migliori opzioni sono l’Hotel Todaya in Toba e l’hotel Suzunami nella vicina isola di Toshi)
La Tokyo gastronomica in 4 tappe
Ti confonde e spiazza, è una New York senza chiasso e più composta, ha bisogno di tempo per presentarsi e vuole riceverne per essere conosciuta. Noi ovviamente abbiamo scelto il cibo per capirne qualcosa durante questa prima visita.
Il mercato ittico di Tsukiji
La capitale giapponese conta numerosi monumenti e templi, l’enorme mercato del pesce di Tokyo non avrà nulla di spirituale ma certamente merita la visita. Bisogna raggiungere il quartiere Tsukiji ed ecco che compare il più grande mercato del mondo dove vengono venduti oltre di 400 tipi di prodotti ittici per un commercio che attesta circa 2000 tonnellate di pesce ogni giorno. Dimenticate i mercati italiani che avete in mente e trasferitevi in una cittadina nella città: gran folla, acqua che scorre sul pavimento tra i migliaia di banchi in cui il pesce freschissimo (nella maggior parte dei casi vivo) viene pulito e venduto all’istante. Dimenticate anche la puzza di pesce, sembra assurdo ma non sentirete fetidi richiami salmastri se non ricordi marini dalle numerose sfumature.
L’asta dei tonni è una delle attrazioni più famose perché in nessuna altre parte (se non in dimensione minore) del mondo si ha la possibilità di assistere ad una pratica commerciale/culturale così piena di fascino e ricchezza per gli occhi che guardano gli immensi tonni contesi tra i vari acquirenti, per lo più ristoratori. Se però non avete intenzione di mettervi in coda alle tre del mattino potrete arrivare intorno alle otto (non più tardi se non volete essere con i numerosi turisti) e perdervi tra le viuzze formate dalle postazioni dei venditori giapponesi che si susseguono, rimarrete altrettanto appagati.
Tutto attorno poi, all’esterno, c’è un altro mercato che si snoda tra le strade che circondano il Tsukiji in cui è possibile trovare, ed assaggiare, davvero di tutto. Street food di matrice nipponica, centinaia di semi, legumi, erbe, salse, insetti, tè, minuscoli ristoranti dove far colazione con un buon ramen o un fresco sushi, e ancora riso, spezie, sakè e pesce essiccato. A novembre il mercato di Tsukiji sarà trasferito a Toyosu, un’area del quartiere speciale di Koto, a est di Tokyo. Per cui datevi una mossa.
Sakè
Non distante dal mercato del pesce esiste un luogo in cui poter assaggiare anche qualche buon sakè, non è un bar, non è una cantina e neanche un’enoteca, è l’ufficio di rappresentanza dell’azienda produttrice di sakè Hakkaisan. Non vedrete la produzione (per quella dovete raggiungere la Prefettura di Niigata) ma il giovane staff vi farà divertire con un’eccellente degustazione con più di dieci etichette prodotte. Parliamo di un’azienda molto grande, non tra le maggiori, ma comunque di una realtà in cui in base al periodo dell’anno lavorano complessivamente un centinaio di persone. Se è vero come è vero che raramente la quantità convive con la qualità è anche vero che esistono le eccezioni. La Hakkaisan produce sakè di livello con l’aqua purissima dell’omonima montagna ai cui piedi sorge la cantina, molto differenti tra loro per mercati e palati diversi. La linea premium ha convinto come il Daiginjo e il Ginjo dalla forte complessità aromatica e spiccata armonia sia al naso che in bocca. Una realtà nata quasi un secolo fa che tra non molto troveremo anche nel mercato italiano che finalmente sta dimostrando interesse verso questa bevanda millenaria.
Cha no yu: cerimonia del tè
L’avrete vista solo nei film e non ci avete capito neanche poi molto. Si pensa sia un modo di preparare il tè verde attraverso un rituale ben preciso scandito da gesti e piccoli movimenti ripetuti in luoghi predisposti, è vero. Però a differenza di quanto si possa immaginare non è un momento organizzato per bere del tè ma un incontro in cui dedicarsi alla riflessione e alla celebrazione seguendo quattro aspetti principali quali l’armonia, il rispetto, la purezza e la tranquillità.
La maniera in cui farlo è nelle mani del maestro del tè, nel nostro caso il giovane trentaquattrenne Okada Sougai, che guiderà il percorso interiore di ognuno (spesso vi partecipa un gruppo di massimo dieci persone) durante l’intera durata della cerimonia. Se siete fortunati da avere una cerimonia tutta per voi, avrete modo di intendere maggiormente alcuni aspetti del momento perché fatti esclusivamente per voi con maggior tempo a disposizione: l’utilizzo del Chasen, strumento con il quale viene mescolato il tè verde, l’offerta dell’okashi cioè di un piccolo snack tenuamente dolce che contrasta e accompagna l’amarognolo del matcha, un particolare tipo di tè verde giapponese sotto forma di polvere molto sottile che sciolto in acqua dona un tè meno liquido del normale. Tra inchini, sguardi e permessi chiesti con gestualità prima di ogni sorso, tra silenzi e pace diffusa, sarà la possibilità di alienarvi per un paio d’ore seppur in un modo non facile da decifrare.
Mangiare in Giappone: i Ristoranti
Se poi volete un consiglio per una cena allora prendete in considerazione il ristorante Den, appena premiato dalla World’s 50 Best Restaurants 2016 con il One to Watch Award e fino al 2014 detentore di ben due stelle Michelin. Oggi vanta una stella ma poco conta, a lui interessano le persone che siedono alla sua tavola, è un incontro da fare quello con lo chef Zaiyu Hasegawa e la sua brigata di dieci ragazzi (come lui, 37 anni). È riuscito con successo a creare una cucina giapponese rinnovata, composta dall’alta cucina delle ryōtei (i raffinati ristoranti a gestione familiare dove lavoravano anche le geishe, come sua madre) e da quella più informale e popolare delle izakaya, dove si condivide il pasto si e beve in compagnia.
Cucina e spirito di ospitalità giapponese devono andare di pari passo per lui ed è così che riesce a far sentire ogni cliente unico, a pensare piatti su misura per ognuno. Il menù varia quotidianamente e mangerete ad un bancone con dieci sedute di fronte la cucina che mostra le proprie preparazioni. Verdure e vegetali sono immancabili, sono gli ingredienti preferiti dallo chef e non potrete ordinare alla carta ma seguire il menù che il ristorante ha pensato per la giornata. Da soli la coscia di pollo ripiena di riso mochi e verdura di montagna, e l’insalata con venti diverse varietà, valgono la prenotazione (da fare con largo anticipo considerando anche che il Den lavora solo a cena). In un vicoletto nascosto l’autenticità di una delle cucine più replicate e imitate nel mondo.
Questi sono alcuni suggerimenti per conoscere un paese dal punto di vista enogastronomico. E la vostra prima esperienza giapponese com’è stata? Com’è stato per voi mangiare in Giappone?