cotoletta a milano

Dove mangiare la cotoletta alla milanese a Milano (e non solo)

Giulia Ubaldi
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    Spesso più persone mi hanno detto che, se fossi un piatto, sarei una cotoletta! In effetti l’origine milanese c’è (sono una delle poche superstiti ad avere una famiglia originaria di Milano da generazioni) e la passione per questo piatto anche, tant’è che quando ero piccola avevano chiamato mia mamma dall’asilo per dirle che mi ero mangiata anche le cotolette dei miei compagni. Insomma, ne ho testate tante, quindi del mio parere potete fidarvi, ma ricordatevi che si tratta pur sempre di un punto di vista personale, con cui non tutti potrebbero essere d’accordo. Quelli che seguono, quindi, sono semplicemente alcuni luoghi dove mangiare una buona cotoletta alla milanese a Milano (ma non solo): sono i miei preferiti, quelli del cuore, che mi ricordano come le preparava mia nonna Carla, milanese doc.   

    Cotolette alla milanese: 5 locali dove mangiarle a Milano (e non solo)

    Innanzitutto, nella grande diatriba tra alta o bassa, per me la cotoletta è la classica orecchia d’elefante, come la faceva mia nonna: quindi, come suggerisce il nome stesso, sottile, ben sbattuta, grande e bella larga. Per molti altri, invece, la vera cotoletta originale è solo quella dai 2 centimetri e mezzo in su, ma io dico: perché scegliere? Ognuno si mangi un po’ la cotoletta che preferisce! Un’altra delle questioni in corso è che a Milano siano rimasti in pochi a farla veramente buona a prezzi accessibili, e su questo non posso che essere d’accordo. Spesso, vengono vendute cotolette di una qualità medio-scadente a prezzi ingiustificabili. Poi, c’è anche chi non utilizza la carne di vitello, ma quella di altri animali quali pollo, tacchino o maiale, che come vedremo fa parte anch’essa della tradizione.

    Insomma, ci sono un’infinità di questioni su come fare la cotoletta alla milanese, per questo il mio criterio principale di scelta è stato solo uno: le cotolette che mi ricordo, quelle che mi sono rimaste impresse delle tante mangiate a Milano, ma anche spostandosi un po’ dalla città. Inoltre, i locali che seguono sono quelli che, per fortuna, hanno riaperto i battenti dopo il lockdown, con una particolare attenzione alle norme di sicurezza previste dall’ultimo decreto, permettendo così il piacere di gustarsi una cotoletta stando tranquilli e sereni. 

    Damm-atrà

    Damm atra

    Foto di Damm-atrà

    Vero e proprio tempio della cucina milanese. Siamo nel cuore pulsante della città, sui Navigli, dove da anni Damm-atrà resta il punto di riferimento per tanti, per tutti quelli che vogliono provare la cucina locale, quella autentica, buona e vera di Milano. Già il nome è un avviso: infatti, damm-atrà significa “dammi retta” in dialetto. E alla famiglia Tenconi, milanese doc, dovete proprio darle retta su tutto, perché qui non è buona solo la cotoletta, in assoluto tra le migliori della città; ma anche tanti altri piatti quali risotto, patate povere, mondeghili e rustin negà. La particolarità della loro cotoletta, però, è che qui, per mettere pace agli animi sulle varie diatribe, viene proposta in tre modi: c’è la classica orecchia di elefante, molto larga e sottile, impanata due volte e cotta nel burro chiarificato, anche nella versione primaverile a scelta con pomodorini e rucola; poi c’è quella più alta, di almeno un dito e mezzo, che secondo Marco Tenconi, chef e titolare, è quella vera e originale; e infine quella di maiale, perché “i milanesi non sapevano nemmeno cos’era il vitello prima dell’arrivo degli austriaci, e infatti la maggior parte dei piatti, come la cassoeula, erano con la carne di maiale”. 

    Durante il periodo di lockdown i Tenconi non si sono persi d’animo e hanno iniziato a preparare nuovi piatti per il delivery: è nato così il panino con cotoletta, insalata e pomodorini e quello con i mondeghili (“un mondeghili che si sente un hamburger”, scherza Marco). Da fine maggio, invece, per fortuna è possibile tornare a mangiare nel loro locale, anche nei tavolini all’esterno, ovviamente rispettando le regole previste dall’ultimo decreto: quindi controllo della temperatura, mascherina addosso fino al momento del pasto e più di un metro di distanza tra i tavoli. “La ripresa è lenta e la situazione davvero critica; le cene di lavoro ancora non sono riprese, e infatti lavoriamo tantissimo con le coppie, che sono l’80% dei nostri clienti”. Quindi, se volete passare una serata romantica (è aperto solo la sera) immersi in un’atmosfera calda e accogliente della Milano di una volta, magari accompagnati da un bel calice di vino rosso, lombardo e non solo, questo è il posto giusto, che da generazioni continua a far uscire felici i suoi clienti. “Speriamo che mio figlio Matteo, che è cresciuto qui e ama il mondo ristorazione, insieme a quello della musica, continui questo grande e prezioso lavoro iniziato ormai anni fa da mio padre!” conclude Marco.

    La Belle Epoque 

    cotoletta frittura

    fldlcc/shutterstock.com

    Siamo fuori dal centro di Milano, lontano dai luoghi più iconografici e conosciuti della città. Siamo a Baggio, in uno dei posti più belli che ci sia, dove si respira ancora la vita di quartiere, dove si parla il dialetto milanese, dove il ritmo della vita è ancora scandito dal suono della campana della chiesa, proprio come se fossimo in un piccolo paese. Eppure, siamo solo a pochi chilometri dalla frenesia della metropoli. Qui, c’è un piccolo bar e tavola calda, dove Daniela Penati prepara tutti i classici della cucina milanese, in particolare su ordinazione: “giovedì, ad esempio, faccio la trippa, me l’ha chiesta il dottore! E se pensate che non è stagione, io vi dico che la trippa ci sta sempre!”. Il risotto giallo con l’ossobuco c’è quasi sempre, mentre la cassoeula solo d’inverno: “quella sì, con il caldo proprio non si può!”. Poi Daniele prepara anche polenta e bruscitt, un piatto tipico di Busto Arsizio, che sarebbero degli straccetti di carne di manzo (nella sua versione lei ci aggiunge anche la salsiccia) rosolata in padella con polenta. Ma regina della sua cucina è sua cotoletta, bella larga e sottile come piace a me, cotta alla perfezione, con l’aggiunta della salvia nel burro: “devo ammettere che si difende bene, poi è una bella dose, si mangia sempre in due!”. E a un ottimo rapporto qualità-prezzo! Durante i mesi di quarantena, Daniela non si è persa d’animo e ha continuato a preparare i suoi piatti, disponibili con il servizio di take away, mentre oggi ci si può sedere anche nel locale, ovviamente rispettando le regole, che sono le stesse di cui vi abbiamo parlato a proposito di Damm’atrà. 

    L’Osteria d’Asti

    cotoletta-alla-milanese

    AS Food studio/shutterstock.com

    Dimenticate luoghi patinati e turistici sul lago: l’Osteria d’Asti è tutta un’altra storia. Situata in una piccola via dietro alla stazione di Arona, sul Lago Maggiore, è facile non accorgersi di lei e quindi proseguire oltre, facendo così il grave errore di perdere il piacere di un luogo così, intimo, di casa. “A due passi dal lungolago questo ristorante non ha certo nella posizione il suo punto di forza, quindi puntiamo solo su ciò che proponiamo”, si legge sul loro sito. La gestione, infatti, così come l’ambiente è familiare: c’è Eros in sala e la famiglia di sua moglie, Albergante, in cucina; i piatti sono di stampo piemontese (anche perché Arona per pochi chilometri è in Piemonte). Per questo non perdetevi anche i ravioli del plin fatti a mano da loro così come tartare di manzo piemontese, o la selezione dei formaggi di Guffanti, che si trova proprio nella stessa via (via Milano, per altro). 

    Ma regina del menù è la cotoletta di vitello impanata con l’osso: la carne è sempre fresca e di altissima qualità, proveniente da allevamenti piemontesi selezionati da loro; l’impanatura è esemplare e la cottura anche. Unica cosa: come tutte le cose più buone, si fa un po’ attendere, ma l’attesa sarà ripagata dal gusto. In abbinamento, c’è un’ottima selezione di vini regionali e non solo, anche perché l’Osteria d’Asti nasce come cantina. Come ci raccontano all’Osteria, questo ristorante esiste da prima della guerra, ma è negli anni Sessanta che la Cantina d’Asti è entrata a far parte della famiglia. Nel 1998, con la seconda generazione c’è stata la prima evoluzione: è entrato un cuoco in famiglia (il marito della figlia) e la Cantina è diventata prima Trattoria e poi Osteria d’Asti. La conduzione familiare è stata – e continua a essere – un punto di forza, anche nell’affrontare questi ultimi mesi di difficoltà. Ma le cose sono ripartite alla grande, nel rispetto delle regole e con il menù rigorosamente sulla lavagnetta e non più al tavolo.

    Trattoria Casottel 

    Casottel

    Foto di Giulia Ubaldi

    Devo ammetterlo: questo è uno dei miei posti preferiti in assoluto. Ancora poco noto, sicuramente non in una posizione centrale, il Casottel è uno di quelle trattorie di passaggio. Situata proprio su una strada tra le metro Porto di Mare, l’imbocco della circonvallazione e la campagna milanese, ha mantenuto ancora quel fascino tipico dei luoghi di passaggio, dove si passa un po’ per caso, “andando”. La Isa, un po’ in cucina e un po’ in sala, è originaria di Mantova, ma è qui da vita: il suo risotto non tradisce le sue origini che, infatti, qui non è giallo ma bianco, di una bontà incredibile. Storici i suoi tortelli fatti a mano, a volte di zucca, altre di ricotta e spinaci, ma non fatele troppe domande: Isa è una donna che lavora sodo, non ha tempo per troppe chiacchere. La sua cotoletta è qualcosa di incredibile: talmente grande, larga e sottile che anche in questo caso si può mangiare tranquillamente in due. D’inverno si sta bene dentro, in un arredamento d’altri tempi; d’estate, invece, c’è un meraviglioso dehor fuori, con tavolini all’aperto, anche solo per un aperitivo (dimenticate cocktail o simili, qui si va di Campari!). Inoltre, questo spazio verde esterno si è rivelato fondamentale per la riapertura, garantendo un corretto distanziamento sociale, e anche piacevole. E questa è la Milano che mi piace, perché è in luoghi come questi che si respira la città di una volta. Ma a pochi passi c’è anche la Milano che accoglie: infatti, è proprio adiacente al C.I.Q. – CENTRO INTERNAZIONALE DI QUARTIERE, dove ha sede l’associazione Sunugal, di cui vi avevamo parlato a proposito della cucina senegalese. Insomma, da queste parti ce n’è per tutti i gusti! 

    Da Vittorio

    facebook.com/pg/DaVittorioRistorante/photos

    Non sarà un caso se uno degli chef indiscutibilmente migliori d’Italia, tre Stelle Michelin, la cotoletta la fa bassa, a orecchio di elefante, proprio come piace a me. La sua è per me l’idea platonica della cotoletta, quella a cui dovrebbero trarre ispirazione tutte le altre adepte. Innanzitutto, la carne – rigorosamente piemontese – viene battuta perfettamente; poi viene impanata con pane e anche grissini per rendere più croccante l’esterno e morbido l’interno; in seguito viene letteralmente coccolata e massaggiata nella sua panatura e poi cotta nel burro, che viene aggiunto anche in cottura (siamo pur sempre in provincia di Bergamo!). Infine, una bella spolverata di sale di Maldon ed è pronta. Spesso di trova anche nei loro catering, che sono in assoluto tra i migliori che ci sia. Per tutti questi motivi non vi stupirà sapere che, da circa un anno, la cotoletta da Vittorio è solo on demand: chi vorrà gustarla dovrà prenotare, ma senza la certezza che sia ancora disponibile. 

    Dopo questo periodo di lockdown, la famiglia Cerea è ripartita alla grande: ha riaperto il 21 maggio con due turni a pranzo e cena, ha fatto il boom di coperti nelle sede di Shanghai, e visto il successo avuto, sta continuando anche il servizio di delivery #DaVittorioAtHome. Infine, non dimentichiamoci che loro sono stati tra quei ristoratori che hanno dato un grande contributo durante l’emergenza Covid-19, con varie azioni di volontariato, tra cui la preparazioni di pasti e mense negli ospedali. 

    Allora, dove andrete a mangiare la vostra prossima cotoletta?

     

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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