Un viaggio in Senegal attraverso il Ceebu Jen e le sue tradizioni legate alla pesca

Giulia Ubaldi
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    Quando finalmente riuscirò ad andare in Senegal, non ho dubbi: passerò moltissimo tempo  con i pescatori di Saint Louis, per farmi raccontare le loro storie e cercare di capire i vari problemi che sta attraversando la pesca locale. E poi, mi gusterei un buon ceebu jen, a base di riso, pesce e verdure di stagione di cui vi parleremo oggi e di cui vi daremo la ricetta della cuoca senegalese Astou. Oltre a essere il piatto nazionale senegalese, è anche Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità per l’Unesco per vari motivi, tra cui principalmente quello legato alla pesca. Per farvi entrare un po’ nell’atmosfera, utilizzeremo anche alcune parole in wolof, uno delle lingue più parlate in Senegal, in quanto corrispondente al gruppo etnico che costituisce quasi la metà della popolazione.

    L’importanza della piccola pesca in Senegal e la sua crisi 

    Prima di parlarvi del ceebu jen, è fondamentale approfondire la questione della pesca in Senegal, in quanto fortemente legata all’importanza di questo piatto e al suo essere anche Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità per l’Unesco. C’è una parola che descrive perfettamente il senso più profondo di questa attività in Senegal: suñu gaal, che in wolof significa “la nostra piroga”. Si tratta di una piccola barca, simile a una canoa, ricavata da un tronco d’albero, poi colorata e dipinta a mano. Sono queste le imbarcazioni utilizzate tradizionalmente dai pescatori sia in Senegal che in altri paesi dell’Africa occidentale. Se per anni questa attività ha rappresentato la principale fonte di sussistenza degli abitanti di queste zone, nel tempo è poi entrata in crisi in quanto priva di tutto l’equipaggiamento necessario per far fronte alla pesca moderna. Questo ha costretto i pescatori locali a rivolgersi a investitori stranieri, che in cambio di attrezzature hanno iniziato a chiedere gran parte, se non tutto, il pescato.

    Curioso.Photography/shutterstock.com

    Così per quanto le coste senegalesi siano ritenute tra le più pescose al mondo, la concorrenza è diventata spietata: i piccoli pescatori locali devono vedersela con flotte straniere, che vengono principalmente dalla Russia, dalla Cina, ma anche dall’Europa o da altri paesi africani con maggiore potere d’acquisto, come ad esempio la Costa d’Avorio. In questo modo il pesce migliore viene congelato e destinato all’esportazione e la maggior parte delle volte i senegalesi non possono gustare quanto pescato proprio lì, davanti alle proprie coste. Inoltre, sono state aperte anche tantissime industrie estere di trasformazione ittica, che hanno portato i prezzi alle stelle. Dunque, come potrete facilmente immaginare, tutto questo ha favorito l’emigrazione e mandato in crisi moltissime famiglie che da generazioni vivevano di quest’attività. Ma, per fortuna, non ha troppo alterato la presenza del pesce nell’alimentazione locale, in particolare di una grossa sardina, yaaboy in wolof, anche se negli ultimi anni il suo consumo medio a persona è passato da tre a una al giorno. Questa sardina è anche uno degli ingredienti principali del ceebu jen. Dunque ora capite tutto il valore e l’importanza che ha questo piatto e perché è stato dichiarato dall’Unesco Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità?

    Ceebu Jen: il piatto nazionale senegalese e le sue varianti

    Il piatto nazionale senegalese è senza dubbio il ceebu jen, che ha origine tra i pescatori di Saint Louis, un villaggio sul mare. Ceebu in wolof significa riso e jen pesce. Ne esiste anche un’altra versione ugualmente diffusa, ovvero il ceebu yapp, che significa carne e si può preparare con pollo, agnello, manzo o vitello, ma in questo articolo ci concentreremo sul primo. Del ceebu jen ne esistono diverse versioni che cambiano da famiglia a famiglia e da regione a regione, anche soprattutto in base al pesce disponibile.

    Foto di Francesco Fraliga

    Tradizionalmente si prepara con la sardina yaaboy di cui vi abbiamo parlato, ma in mancanza di questa si può utilizzare un pesce bianco come la cernia (thiof in wolof), la carpa rossa (yakh), il barracuda (seud), l’orata o il branzino, a seconda del pescato. Fondamentale è poi la presenza del riso: come vi avevamo già raccontato a proposito della cucina senegalese, infatti, si tratta di un elemento sacro e centrale nell’alimentazione locale, che non manca praticamente mai e costituisce la base di ogni pasto, sempre in accompagnamento a qualcosa. Il riso viene anche prodotto in Senegal soprattutto nella regione della Casamance o a Foute, vicino alla valle del fiume, ma ormai anche questa produzione è entrata in crisi, quindi gran parte viene importato dall’Asia. In particolare, quello utilizzato per il ceebu jen è il riz brizé, detto anche riz cassé, che prende il nome dal fatto che proviene da chicchi di riso frantumati durante la fase di raccolta o di lavaggio.

    Altri ingredienti imprescindibili di questo piatto sono le verdure di stagione: pomodori, carote, melanzane, cavolo bianco, manioca, patata dolce, gombo, e così via. Il tutto condito con aglio, peperoncino, cipolla, prezzemolo e alloro. C’è poi anche chi prepara delle polpettine di pesce da aggiungere al piatto, ma non fanno parte della ricetta originale, sono facoltative. Nella maggior parte delle famiglie, il ceebu jen si mangia con le mani, almeno una volta alla settimana, anche se Astou, la cuoca senegalese a cui ci siamo rivolti, ci dice: “lo mangiamo quando abbiamo voglia, non c’è un giorno preciso! Ma solitamente sempre a pranzo, perché è un piatto sostanzioso”. E ora ecco qui la sua ricetta, che in ogni famiglia si tramanda di generazione in generazione, ma fate attenzione: non si tratta di una preparazione né facile né veloce, come giusto che sia quando si tratta di portate così importanti!

    La ricetta del Ceebu Jen 

    Le dosi che seguono sono per una persona in modo che possiate facilmente moltiplicarle per il numero di invitati previsti. In realtà, come sempre in Senegal, si tratta di dosi abbondanti, quindi potete tranquillamente mangiarci anche in due. Nella ricetta trovate l’orata, ma come anticipato potete utilizzare anche altri pesci. E ora, iniziamo!

    Foto di Francesco Fraliga

    Ingredienti per 1 persona 

    • 1 cucchiaio prezzemolo tritato
    • 2 g di peperoncino fresco
    • 2 g di aglio
    • 1 cucchiaio e mezzo sale
    • ¼ di cucchiaio pepe
    • 75 ml di olio di semi di girasole
    • 500 g di orata
    • 25 g di cipolla
    • 100 g di concentrato di pomodoro
    • 80 g di carote
    • 80 g di melanzane
    • 75 g di igname (yam, patata dolce)
    • 30 g di cavolo cappuccio
    • 10 g di okra
    • 20 g di peperone piccante
    • 4 g di pomodorini

    Procedimento 

    1. Per iniziare, mixate coriandolo, prezzemolo e aglio tritati, peperoncino, pepe, sale, che serviranno per farcire il pesce in un secondo momento.
    2. Pulite la vostra orata, mettete l’olio nella pentola, portate a temperatura e friggete il pesce fino a che non è ben dorato da entrambe le parti. Togliete il pesce dalla pentola.
    3. Tagliate la cipolla e mettetela nella pentola dove si è cotto il pesce; aggiungete il pomodoro concentrato e soffriggete a fuoco medio. Inserite nel pesce la farcia precedentemente preparata e proseguite con la cottura per circa 10 minuti, fino a quando l’olio comincia a fare le bollicine.
    4. Tagliate a pezzi piccoli le verdure (carote, melanzane, cavolo, peperone), aggiungete nella pentola il pesce precedentemente dorato, e incorporate l’acqua. Coprite la pentola con un coperchio e lasciate cuocere a fuoco medio per circa 30 minuti.
    5. Togliete le verdure e il pesce dalla pentola. Lasciate nella padella solo il sugo.
    6. A questo punto, aggiungete il riso lavato, messo precedentemente nel forno a microonde per 3 minuti, per ammorbidirlo. Mescolate il riso nella pentola e lasciatelo cuocere per 30 minuti.
    7. Girate ancora il riso e lasciatelo cuocere altri 10 minuti. Componete a piacere il vostro ceebu jen aggiungendo pesce e verdure (come nella foto) e servite!

    Ma infine non dimenticate di accogliere i vostri ospiti dicendo teranga, parola che in wolof racchiude tutto il senso di accoglienza.

    Vi abbiamo fatto voglia di andare in Senegal e di provare questo piatto?

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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