Nichilismo e passione nel romanzo di Henry Miller

tropico del cancro galletto

 

Quante calorie ci vogliono per far bene l’amore? Henry Miller non si sottrae a questa domanda.  D’altra parte non ne può fare a meno: la fame lo perseguitava nella Parigi dei primi anni trenta del novecento che racconta in Tropico del Cancro.
“Capito dai Cronstadt e anche lì mangiano. Galletto con riso selvatico. Fatto finta d’aver già mangiato, ma avevo voglia di strappare il pollo dalle mani del bambino. Non è solo falso pudore, è una specie di perversione, penso. Due volte mi han chiesto se volevo sedermi al loro tavolo. No! No! Non ho nemmeno voluto accettare una tazza di caffè, dopo pranzo. Sono uno fine, io! Uscendo do una occhiata distratta agli ossi sul piatto del bambino, c’è ancora un po’ di carne attaccata… Mezzogiorno in punto, e io son qui con la pancia vuota alla confluenza di tutti questi crocicchi di vicoli che odorano di cibo. Davanti a me l’Hotel de Lousiane. Tetra vecchia locanda ben nota ai ragazzacci della rue de Buci, ai bei tempi andati. Alberghi e cibo, e io cammino come un lebbroso coi crampi che mi rosicchiano le budella…”

Questo è il mondo che descrive Henry Miller nel suo capolavoro, vietato per trent’anni in America e censurato in molti altri Paesi perché giudicato scandaloso. Un panorama di migranti intellettuali americani, squattrinati, spesso amorali, desolati e desolanti, e di prostitute, ubriacature, miserie – ma anche di coraggio nell’andare fino in fondo nella conoscenza di se stessi. Con ironia.

Tropico del Cancro: disincanto e libertà nel racconto di Henry Miller

“Come è possibile che un uomo vada in giro tutto il giorno a pancia vuota e riesca di tanto in tanto a farselo rizzare, ecco uno dei misteri che con troppa facilità spiegano gli anatomisti dell’anima.”

Dal punto di vista letterario Tropico del Cancro ha rappresentato una forte innovazione: non è un romanzo con una trama, ma il racconto di incontri, ambienti, ossessioni, piaceri senza un ordine o uno sviluppo. Miller mette in esergo una frase di Ralph Waldo Emerson: “In futuro i romanzi cederanno il passo ai diari, alle autobiografie: libri avvincenti, se soltanto qualcuno sapesse fare una scelta fra ciò che egli chiama le sue esperienze, e conoscesse il modo veridico di raccontare la verità”. La grande diffusione negli ultimi anni di memoir, del racconto di se stessi, o dei propri genitori (raccontare di un papà o di una nonna pare essere oggi un desiderio inarrestabile di quasi tutti gli scrittori), l’invasione delle librerie di questo genere, insomma, sta dando ragione a Emerson e a Miller: non so però, se potessero leggerli, quanto li apprezzerebbero. Scarsa qualità, narcisismo letterario. Io li amo poco e li chiamo romanzi-selfie.

Ho amato moltissimo invece Tropico del Cancro. E’ un libro del disincanto. Gli ideali, l’ottimismo, il senso del futuro sembrano essere scivolati dietro le spalle di donne e uomini che camminano con fatica in un mondo infelice. Si era usciti da poco dalla prima guerra mondiale e ci si avviava alla seconda: Miller è dolente e spietato con l’umanità responsabile di queste tragedie.

Per chi è un libro come Tropico del Cancro di Henry Miller? Per chi ama le autobiografie senza indulgenze e cerca un senso della vita lontano da qualsiasi tentazione consolatoria.

 

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