Distese di acqua stagnante, dalle sfumature rossastre, in cui il cielo estivo va a specchiarsi regalando suggestivi giochi di luce: questo è il colpo d’occhio con cui si presentano, in genere, le saline. Si tratta di impianti dedicati all’estrazione del sale dall’acqua marina e sorgono in aree pianeggianti, a ridosso del mare. È in queste zone che si creano, infatti, le condizioni ideali per la stagnazione delle acque, che attraverso vari fasi portano al prodotto finale: il sale. Il nostro paese, coi suoi chilometri di litorale, può vantare numerosi di questi impianti. A fronte di tanti che sono stati dismessi nel corso degli anni, ce ne sono però altrettanti ancora attivi per la produzione di sali dalle particolari qualità. È quanto andremo a scoprire oggi, in questo viaggio tra le saline italiane più rinomate.
Il sale come dono del mare
Dall’acqua del mare ai grani di sale: il processo che porta dalla risorsa primaria al prodotto finale richiede tempo e dedizione. Da un lato, c’è l’azione fondamentale del sole e del vento, che favoriscono i processi di evaporazione e concentrazione al termine dei quali sul fondo va a formarsi un deposito di sale allo stato grezzo. Qui poi interviene il fattore umano, col lavoro dei salinari a rompere i blocchi depositati in grani, che vengono accumulati in montagnette spesso visibili ai margini delle saline, prima di essere avviati allo stabilimento di stoccaggio. Nonostante i problemi legati al suo consumo eccessivo, il sale è un elemento imprescindibile dell’alimentazione umana. La sua importanza è infatti radicata in secoli di storia, quando ha spesso rappresentato anche una fonte di sostentamento: ai tempi dell’Antica Roma, ad esempio, i re usavano integrare la paga dei soldati proprio con una razione di sale, da lì termine “salario”.
Saline italiane: 4 rinomate realtà ancora produttive
Ma ciò su cui vogliamo focalizzarci oggi sono le saline: luoghi in cui l’acqua marina viene intrappolata in vasche, da cui, attraverso vari passaggi, si arriva a estrarre il sale. Ambienti suggestivi e in molti casi habitat ideali per la riproduzione di alcune specie volatili, al punto da coincidere anche con riserve faunistiche protette e visitate dagli amanti del birdwatching: da Cervia a Trapani, passando per Margherita di Savoia e Sant’Antioco, andiamo dunque a conoscere le quattro saline italiane ancora produttive.
Salina di Cervia (RA)
Tra le saline italiane, è quella più a nord del paese e si trova all’interno del Parco del Delta del Po, da sempre riserva naturale di popolamento e di nidificazione per molte specie animali e vegetali. Si estende per 827 ettari, pari a circa un terzo dell’intera superficie del comune di Cervia (provincia di Ravenna), ed è composta da più di 50 bacini, attraverso i quali si snoda un canale di oltre 16 chilometri. Si tratta del canale immissario, che consente all’acqua del mare Adriatico di entrare e uscire dalla salina.
Il prodotto che se ne ricava è il Sale Dolce di Cervia. È definito “dolce” perché le acque da cui lo si estrae vantano un’alta concentrazione di cloruro di sodio purissimo, a fronte invece di una scarsa presenza di altri cloruri, in genere più amari. Quello di Cervia si caratterizza inoltre per essere un sale marino integrale, che non subisce alcun trattamento artificiale. Una volta raccolto, viene infatti lavato con la cosiddetta ‘acqua madre’ – arricchita cioè da oligoelementi quali iodio, zinco, rame, manganese, ferro, calcio, magnesio e potassio – e lasciato essiccare in modo naturale. Il fatto di non subire alcun processo di raffinazione è responsabile inoltre del suo tipico colore: un bianco sporco, arricchito da sfumature che vanno dal rosa al grigio-azzurro.
La produzione di questa salina, gestita dalla Società Parco della Salina di Cervia, istituita nel 2002 e retta per il 92% da enti pubblici – al momento in cui scriviamo – è temporaneamente sospesa a causa dei danni dell’alluvione del maggio 2023, ma punta a tornare operativa nell’agosto del 2024. Al suo interno, include anche un museo dedicato e un punto vendita dove acquistare il sale e i tanti prodotti che ne derivano.
Salina di Margherita di Savoia (BT)
Coi suoi circa 4500 ettari di superficie è la salina più grande d’Italia. Siamo in Puglia, e più precisamente nella provincia di Barletta-Andria-Trani, in un’area caratterizzata dal fondo prevalentemente argilloso, che garantisce al terreno un elevato grado di impermeabilità. Il suo naturale dislivello favorisce il deflusso dell’acqua marina verso le vasche di evaporazione, processo innescato dall’azione meccanica delle idrovore (macchine a pompa utilizzate per assorbire e movimentare grandi masse d’acqua). Una volta completata la fase di separazione del cloruro di sodio dall’acqua di mare, attraverso i vari passaggi dalle vasche evaporanti a quelle salanti, la crosta di sale affiorata viene lasciata asciugare. Dopodiché si passa alla raccolta, coi cristalli di sale che vengono lavati in acqua madre e successivamente centrifugati. Da qui in poi si procede a seconda del prodotto da ricavare: se la parte destinata a diventare sale integrale non subisce nessun altra lavorazione, il resto viene essiccato e sottoposto a vagliatura. In questa fase, i grani vengono separati in base alle dimensioni, così da ottenere sale grosso e sale fino. Seguono, infine, il confezionamento e lo stoccaggio.
Ogni anno si producono, in media, 6 milioni di quintali di sale, caratterizzato dal colore bianco perlaceo e dal tipico sentore pungente. La Salina di Margherita di Savoia è inoltre zona umida d’importanza internazionale: sottoposta a vincolo di tutela in virtù della Convenzione di Ramsar (1971), ospita numerose varietà di flora e di fauna, tra cui una colonia di fenicotteri rosa, che qui ha trovato l’ambiente ideale per nidificare.
Saline di Trapani
All’estremo ovest della Sicilia, lungo il litorale tra Trapani e Marsala, si estendono queste piccole saline a conduzione tradizionale. Ciascuna è costituita dalle 8 alle 25 vasche salanti di circa 2500 metri quadri di superficie e capaci di produrre dalle 80 alle 90 tonnellate di sale all’anno. Fondamentale è il ruolo del cosiddetto “curatolo”, ovvero colui che cura le varie fasi di lavorazione, indirizzando le acque da una vasca all’altra al momento opportuno e occupandosi infine della raccolta. Il sale marino di Trapani è integrale, non subisce altra lavorazione all’infuori della molitura a rulli. In questo modo viene preservata la sua ricchezza di minerali, con almeno 70 delle 84 sostanze normalmente presenti nell’acqua di mare: oltre al sodio e al cloro, calcio, potassio, magnesio, ferro, ma anche zinco, manganese e iodio, elemento preziosissimo per la corretta funzionalità della tiroide. La qualità e le caratteristiche del sale raccolto dipendono da una molteplicità di fattori climatici e ambientali. All’interno della stessa vasca poi c’è differenza tra quello che si concentra nella zona centrale, dove i grani sono tendenzialmente più grossi, e quello che si deposita invece sui bordi, più fino. Il sale colto dalla parte centrale delle vasche è inoltre più puro e considerato quindi di maggior pregio. Prodotto di punta delle saline di Trapani è però il sale da superficie, noto anche come “fior di sale”: invece di favorirne la separazione dall’acqua marina in modo che si depositi sul fondo della vasca, i grani di sale vengono colti direttamente dalla superficie attraverso degli appositi retini. Se ne ottengono dei cristalli di dimensione variabile tra 1 e 4 mm, caratterizzati dall’essere estremamente soffici al palato, motivo per cui quello che se ne ricava è un prodotto di nicchia, molto ricercato soprattutto dagli chef.
Nel 1995 è stata istituita la Riserva Naturale Orientata Saline di Trapani e di Paceco, aperta anche a visite turistiche: un modo per tutelare e valorizzare sia le numerose specie animali e vegetali che popolano l’area, sia il patrimonio storico dei numerosi mulini a vento, un tempo utilizzati per il sollevamento delle acque e per la molitura del grano, oltre che del sale stesso.
Saline di Sant’Antioco (SU)
Siamo nel Sulcis-Iglesiente, storica area nell’estremo sud-ovest della Sardegna, dove sorge l’isola di Sant’Antioco, quarta in Italia per estensione territoriale. È qui che si estendono le omonime saline: circa 20 km per una superficie totale intorno ai 1500 ettari, di cui 1300 di vasche evaporanti e 200 di bacini salanti. L’acqua prelevata dal canale di Porto Pino viene pompata nel sistema di vasche di evaporazione, per poi passare a quelle cosiddette salanti. Il prodotto di maggior pregio è il sale integrale, i cui cristalli, dal tipico colore bianco avorio con sfumature grigio-azzurre, sono ricchi delle sostanze minerali naturalmente presenti nell’acqua di mare. L’attività produttiva è da qualche anno gestita da una multinazionale francese, mentre l’area è sito di interesse naturalistico. Oltre al contesto paesaggistico, in cui alla vegetazione, esempio di macchia mediterranea, si alternano pietre calcaree e rocce vulcaniche, si registra una folta presenza faunistica. Specie come limicoli, spatole, gru e aironi bianchi maggiori trovano qui l’ambiente ideale dove svernare, mentre altre – come il cavaliere d’Italia, l’avocetta, il fratino, il fraticello, la sterna zampenere, la pernice di mare, il gabbiano roseo e il gabbiano corallino – vi nidificano abitualmente. Infine, le Saline di Sant’Antioco ospitano una colonia di fenicotteri rosa che, coi suoi più di mille esemplari, è una delle più importanti d’Europa.
Estrarre il sale direttamente dall’acqua di mare ha sempre fatto parte della cultura del nostro Paese. Lo dimostrano le numerose saline, molte delle quali ormai dismesse: quella di Tarquinia, nel Lazio, oggi oasi naturalistica di pregio, ne è un esempio. Noi vi abbiamo portato a conoscere quelle che, invece, sono ancora attive e che rappresentano il fiore all’occhiello della produzione di questo prezioso minerale. Voi conoscevate già le principali saline italiane?