Progetto Semino, i cibi esotici a km zero

Angela Caporale
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    Avete mai immaginato di poter acquistare un superfood come edamame, gombo o cavolo cinese prodotti in Emilia-Romagna, coltivati insieme da agricoltori della zona e migranti provenienti dai luoghi di origine di questi alimenti? È una sfida sociale, etica ed ecologica quella del progetto Semino – Alimentare Positivo, promosso dalla cooperativa Kilowatt di Bologna che propone di coltivare in Italia vegetali originari di Africa e Asia, ormai entrati nella nostra dieta e in quella delle comunità migranti, in maniera ecologicamente e socialmente sostenibile. Curiosi di saperne di più? Abbiamo intervistato Samanta Musarò, socia di Kilowatt e referente di Semino, che ci ha raccontato come è nato il progetto e dove si trovano i prodotti!

    Progetto Semino – Alimentare Positivo

    Orto urbano

    Kilowatt/facebook.com

    Il primo “semino” è stato piantato nel 2017 nel piccolo orto dell’area delle Serre dei Giardini Margherita, uno spazio pubblico di Bologna rigenerato e riaperto dalla cooperativa Kilowatt. Qui si trova un piccolo appezzamento di terra adatto alla coltivazione e un ristorante vegetariano con prodotti a km 0, Vetro. Tra le persone coinvolte c’è anche Farouk, aiuto cuoco originario del Bangladesh che, qualche tempo fa, di ritorno da casa, ha deciso di portare con sé alcuni semi per coltivare anche a Bologna lo spinacio indiano. “Il problema per molti migranti, a partire dai nostri colleghi della cooperativa – racconta Musarò – era trovare in Italia ortaggi e vegetali che sono parte della loro alimentazione.” 

    Da qui l’idea di provare a coltivare in questo spazio urbano e condiviso piante diverse: “i collaboratori stranieri non si sono limitati alla coltivazione per sé, ma ci hanno raccontato quali sono le proprietà dei loro alimenti tradizionali, molti superfood, e ce li hanno fatti assaggiare. Abbiamo scoperto così le caratteristiche nutrizionali di questi cibi, ma anche che in Italia si trovano con difficoltà oppure a prezzi molto alti, in ogni caso mai prodotti da una filiera controllata o biologica, né tanto meno freschi.” L’intuizione di Kilowatt è stata proprio quella di comprendere che esisteva una domanda di alimenti come curcuma, edamame o shiso non soltanto da parte dei migranti: le proprietà nutrizionali di questi cibi, che valgono loro l’etichetta di superfood, infatti, attraggono anche i consumi del resto della popolazione.

    Dalla sperimentazione alla distribuzione

    Serre dei Giardini Margherita

    KilowattBologna/facebook.com

    La prima fase di sperimentazione ha coinvolto la cooperativa sociale Pictor che ha coltivato, con il supporto di Kilowatt e dei migranti che conoscevano i semi, patata blu e spinacio indiano. Successivamente è stata inclusa anche la Facoltà di Agraria dell’Alma Mater Università di Bologna per individuare quali fossero le colture più adatte al territorio bolognese, molto argilloso, e affinare, sempre insieme ai migranti, i protocolli di coltivazione preparati per ciascun ortaggio.

    Il raccolto viene utilizzato nel menu del ristorante delle Serre, distribuito inizialmente dalla piattaforma di e-commerce Local to You e, più recentemente, anche attraverso altre reti distributive compresi i GAS, fino a tutta la provincia di Modena oltre al bolognese. “È importante – aggiunge la referente – il ruolo attivo delle persone migranti che, oltre ad aver dato lo spunto per la nascita di Semino, sono coinvolte nel racconto dei prodotti e lavorano attivamente insieme alle cooperative agricole, trovando così opportunità di sviluppo professionale e sociale all’interno della comunità.”

    Filiera etica e biologica per i “Semini” che vengono da lontano

    Orto collettivo

    shutterstock.com

    L’obiettivo è innescare un percorso virtuoso per l’agricoltore, per il migrante e per il consumatore: è stato  importante, dunque, selezionare vegetali che si potessero coltivare secondo i dettami dell’agricoltura biologica e che avessero una bassa impronta idrica

    “L’importazione di edamame, cavolo cinese o gombo dall’estero ha costi economici e ambientali molto alti – sottolinea la project manager del progetto Semino – che in questo modo andiamo ad abbattere, proponendo prodotti esotici a km 0 e biologici.” Oggi sono tre le aziende agricole che, insieme alla cooperativa sociale Pictor coltivano Fagiolo dall’Occhio, curcuma, Gombo, Tatsoi, Cavolo cinese, Mizuna, Edamame e Shiso secondo la stagionalità, che vengono distribuiti a Bologna e in provincia di Modena attraverso la piattaforma di e-commerce Local to You e non soltanto. 

    In futuro, l’auspicio è allargare la rete di aziende agricole interessate a “Semino” anche su altri territori per poter offrire  nuovi prodotti, innovando il mercato e creando posti di lavoro per persone migranti e non soltanto. “Ci piacerebbe anche realizzare dei trasformati di questi prodotti come la marmellata di Gombo oppure un drink allo Shiso per facilitare la diffusione tra i consumatori italiani ancora poco abituati a questi sapori.”

     

    Sareste curiosi di conoscere altri progetti come Semino?

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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