Muscoli ripieni, il gustoso orgoglio della provincia di La Spezia

Piatti di muscoli ripieni su un muretto che affaccia sul golfo

 

A La Spezia e provincia i muscoli ripieni sono scontati. Avete letto bene, perché questo straordinario piatto della tradizione locale è un’icona della comunità, come il Palio d’agosto, la Fiera di San Giuseppe, la focaccia e la mesciua, la tipica zuppa spezzina. Eppure, per i foresti (come vengono chiamati i turisti), c’è qualcosa di intrigante e sfuggente nella ricetta di questa pietanza, amatissima, che affonda le radici nella storia gastronomica di uno dei golfi più belli d’Italia. A partire dal nome, muscoli, che li distingue con orgoglio da ogni possibile imitazione (per dovere di cronaca, altrove dicono “cozze”).

E voi, avete mai assaggiato questa delizia, che mescola con garbo una quantità inimmaginabile di ingredienti, diversissimi fra loro?

Un po’ di storia sul nome  

Sono “muscoli” e non c’è motivo di chiamarli cozze. Stiamo parlando dei molluschi con il guscio nero che caratterizzano numerose ricette di mare della cucina italiana. Nome scientifico Mytilus galloprovincialis, mitilo per gli amici, i muscoli di La Spezia portano questo nome perché, secondo una leggenda assai nebulosa, fu un garibaldino a battezzarli così – forse per la tensione che esercitano aprendoli. 

Più probabilmente, la parola deriva da musculus, termine latino con cui dal Quattrocento vengono menzionati nell’Italia centrale e nord occidentale i mitili. La parola si diffonde nei due secoli successivi e varca le Alpi – ancora oggi si chiamano moules, in francese, mussels in inglese e muskeln in tedesco – finché da sud non arrivano le cozze. Stesso mollusco, dicevamo, ma il termine risale la penisola, ha più successo (qualcuno dice, merito della cucina meridionale…) e rosicchia la memoria, fino a sostituire, quasi ovunque, il caro, vecchio muscolo. “Geosinonimi”, spiegherà più tardi l’Accademia della Crusca, mettendo fine a una curiosa disputa, tipicamente italiana. 

Ma quindi cosa li rende patrimonio e vanto del Golfo della Spezia?

Un piatto di famiglia

Muscoli ripieni, piatto della cucina ligure
PH Francesca Manfredi

Se parli con uno spezzino, è molto facile che ti dica che ogni famiglia ha la sua ricetta per i muscoli ripieni. E di conseguenza, ogni ristorante, trattoria o sagra. Non è semplice contraddirlo, se non altro per l’elevata quantità di ingredienti che rende questo piatto decisamente interpretabile e con innumerevoli varianti. 

Eccetto ovviamente per loro, i molluschi protagonisti del piatto: l’oro nero di La Spezia. 

C’è stato un tempo in cui ogni buon padre di famiglia sapeva dove raccogliere i muscoli, che crescevano in abbondanza lungo le scogliere della zona, dalla foce del Magra a sud est del capoluogo, fino alle Cinque Terre, a Ponente. Salpava con la barca o il gommone la mattina presto, si incuneava nelle calette, maschera, boccaglio, un tuffo e… riemergeva con questi strani, lucidi grappoli di molluschi. Una volta rientrato a casa, dopo un procedimento lungo un giorno, papà e mamma servivano in tavola, la sera stessa, i muscoli ripieni. Pura magia. 

Ma oggi la pesca dei muscoli – e non solo – è vietata in quasi tutto il litorale e la coltivazione e la raccolta sono consentite solo in alcune zone marine autorizzate, nel rispetto di precisi parametri igienico-sanitari: questo perché il mollusco per cibarsi filtra l’acqua e può trasmettere virus e batteri se cresce in acque inquinate. 

 

Molto più sicuro, dunque, affidarsi alla filiera riconosciuta, che porta avanti l’intuizione del tarantino Emanuele Albano, il quale nel 1887 – svelano le fonti – introdusse nel Golfo della Spezia l’allevamento dei mitili, già fiorente nella sua terra natia. In queste acque blu e profonde, attraversate da inusuali correnti sottomarine d’acqua dolce, al riparo dalle violente mareggiate che colpiscono questo tratto del levante ligure, i muscoli trovarono un ambiente ideale per proliferare. 

 

Oggi questa attività coinvolge meno di 90 soci, raccolti nella Cooperativa Mitilicoltori Spezzini, i quali portano avanti – letteralmente, di padre in figlio – una tradizione secolare. La coltura dei muscoli si svolge nei vivai subacquei disposti a ridosso della diga foranea e nel canale che separa Portovenere dall’isola Palmaria. Questi animali crescono su un vasto reticolato sorretto da boe, che hanno soppiantato i pali di ferro zincato, utilizzati fino agli anni ‘60. Impiegano circa un anno per raggiungere la maturità e il periodo migliore per gustarli è da aprile a ottobre, quando le dimensioni diventano ragguardevoli. Una volta raccolti, prima di raggiungere mercati e pescherie, vengono purificati da eventuali batteri, mediante un passaggio obbligato nell’acqua marina purificata dello stabulatore di Santa Teresa, quartier generale della Cooperativa.  

La ricetta (a occhio) 

Muscoli ripieni
PH Francesca Manfredi

Servite come gustoso antipasto o commovente secondo, l’aspetto che rende indimenticabile il primo assaggio e tutti quelli a venire – risiede nella farcitura. Elaboratissima. 

In un crescendo di sapori, con un curioso omaggio alla vicina Emilia, nel ripieno si susseguono mortadella, parmigiano reggiano, prezzemolo, aglio, uova, pane (grattugiato oppure secco, ammorbidito nel latte), timo, maggiorana fresca e muscoli tritati fini fini. E questa è la base comune – più o meno – per tutti. Poi qualcuno utilizza la noce moscata al posto delle aromatiche e altri aggiungono carne macinata, prosciutto cotto oppure tonno, a seconda dei gusti; ma come dicevamo, si tratta di varianti familiari. Il tutto va amalgamato in una terrina, fino a ottenere un composto umido e compatto.

Ma non è finita, perché la liturgia per cucinarli è molto più articolata. 

 

Prima di occuparsi del ripieno, infatti, occorre pulire bene i muscoli e aprirli, ma senza romperli. E qui il primo bivio, perché qualcuno lo fa a crudo, con un coltellino, uno ad uno, per preservare la freschezza del prodotto, mentre qualcun altro lo fa in padella, con l’olio, e attende che si schiudano (di solito, in 5-10 minuti). 

Una volta aperti, vanno divisi in due parti: quelli da farcire, i più grandi, che andranno richiusi e serviti nel piatto, e quelli da sminuzzare, come ingrediente del ripieno. 

Quando tutto è pronto, si inserisce l’impasto nel mollusco aperto, come se fosse una polpetta, ma senza separare le due valve, che devono essere richiuse. Attenzione, perché nel frattempo va cucinato l’intingolo in cui i muscoli ripieni andranno ripassati. Pomodori freschi (o passata di pomodoro), un giro d’olio buono, prezzemolo, l’immancabile spicchio d’aglio e il consueto bicchiere di vino bianco per sfumare. Quando la salsa bolle, adagiate i muscoli, coprite il tegame e cuocete a fuoco molto basso, per un tempo che anche qui risente delle tradizioni familiari (da 20-30 minuti a 2 ore).

 

Ricetta lunga e impegnativa per chi non è pratico, vi avevamo avvisati. Per mani esperte e concentrate, senza dubbio. Oppure per viaggiatori attenti e curiosi, che non si accontentano del menù del turista, e quando mangiano hanno piacere di farsi raccontare, per bene, cosa vedono nel piatto.

 


Immagine in evidenza di: ristorante Locanda La Lucciola (Portovenere, SP)

 

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