I risi e risotti più tipici della cucina lombarda

Roberto Caravaggi
3 minuti

     

    Ne abbiamo già parlato come terra di grande tradizione casearia, con i suoi quattordici formaggi DOP, ma la Lombardia è anche una Regione ricca di risaie. Non sorprende quindi che tra le specialità della tradizione lombarda siano protagonisti i risotti. Se nelle tipiche osterie milanesi spicca il risotto giallo allo zafferano, talvolta accompagnato all’ossobuco, in Brianza primeggia il risotto alla monzese, mentre il riso alla pilota è piatto simbolo del mantovano. Insomma, come avrete capito, oggi portiamo in tavola la Lombardia, raccontando origini e caratteristiche di tre dei suoi risotti più identitari: alla milanese, alla monzese e alla pilota.

    Alla milanese, alla monzese e alla pilota: la tradizione raccontata in tre risotti lombardi

    Risi e risotti: in Lombardia ce n’è per tutti i gusti. E come potrebbe essere altrimenti in un territorio dove, soprattutto nella parte bassa dominata dalla Pianura Padana coi suoi corsi d’acqua, c’è una storica vocazione alla coltura del riso? Cascine e risaie sono un tratto caratteristico del paesaggio del mantovano e della Lomellina, in cui si concentra gran parte della produzione che fa della Lombardia la seconda Regione italiana dopo il Piemonte. Se per caratteristiche il riso si presta in particolare alla preparazione di primi piatti, a livello popolare si sono diffuse e tramandate tante ricette, non solo nelle campagne, come sarebbe lecito aspettarsi, ma anche in città. A partire dal capoluogo Milano, dove il risotto giallo allo zafferano è un’istituzione. Il risotto alla milanese però è soltanto uno dei tre piatti attraverso cui vogliamo raccontarvi il legame tra la Lombardia e il riso.

    Risotto alla milanese

    Insieme al panettone e alla cotoletta, il risotto alla milanese è una specialità simbolo della città. Le sue origini tuttavia non sono certe e porterebbero ben lontano dal capoluogo lombardo. 

    Si tratterebbe infatti di un piatto di derivazione araba o ebraica, dove preparazioni simili sono attestate già nel medioevo, mentre la prima associazione storica con Milano risale al 1574. Leggenda vuole che al banchetto nuziale della figlia del mastro vetraio Valerio di Fiandra, un suo allievo aggiunse a una base di risotto al burro lo zafferano, all’epoca usato come colorante per decorare le vetrate del Duomo. L’intensità del colore e dell’aroma ne decretarono il successo e da lì in poi il risotto giallo sarebbe entrato a far parte della tradizione meneghina.

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    Oltre allo zafferano, però, il risotto alla milanese si caratterizza per la presenza del midollo di bue o di manzo. La carne che se ne ricava è ingrediente di un soffritto con burro e cipolla, dove si fa tostare il riso, prima dell’aggiunta di brodo, un poco alla volta. Il risotto alla milanese va cucinato così, con pazienza e prestando attenzione ad aggiungere i pistilli di zafferano, precedentemente lasciati in ammollo in una parte di brodo, solo a due terzi della cottura, al fine di non disperderne l’aroma. Per lo stesso motivo, se si ricorre allo zafferano in polvere è invece consigliabile farlo a cottura ultimata, quando si procede alla mantecazione con burro e grana padano grattuggiato. Il risotto dev’essere “all’onda”, cremoso, ma al contempo coi chicchi ben sgranati. 

    Dal 14 dicembre 2007 questo piatto ha ottenuto la De.Co., ovvero la denominazione comunale, a coronamento del legame con la città di Milano. La ricetta ufficialmente depositata prescrive, in particolare, che il brodo non sia “da dado” e che non si usi il vino nella preparazione perché svilirebbe l’apporto aromatico dello zafferano. Un’abitudine molto diffusa nelle tipiche osterie milanesi è quella di servire il risotto come accompagnamento agli ossibuchi di vitello in gremolata, cioè infarinati, soffritti e completati da un trito di aglio, prezzemolo e scorze di limone.

    Risotto alla monzese

    Piatto tipico di Monza e dell’intera Brianza, è associato alla leggenda della Giubiana, ovvero una strega dei boschi che volava di albero in albero. Secondo una leggenda popolare, durante la notte dell’ultimo giovedì di gennaio andava in cerca di bambini da mangiare. Una madre preparò allora un pentolone di risotto con la luganega e lo lasciò fuori dalla finestra della camera di suo figlio. La strega ne fu ingolosita e finì col mangiarsi l’intero contenuto della pentola, non curandosi del tempo che passava e soprattutto del sorgere del sole, che la annientò. Ancora oggi si celebra questa ricorrenza con falò di piazza in cui si dà fuoco a fantocci che rappresentano la Giubiana e con delle risottate. 

    Ma com’è fatto questo risotto alla monzese? Ci sono due scuole di pensiero: una prevede l’aggiunta di zafferano, l’altra invece lo vuole rigorosamente in bianco e sfumato col vino rosso. A mettere d’accordo tutti ci pensa però l’elemento caratterizzante, e cioè la luganega. Prodotto di antica origine, che riporta all’epoca romana, è un insaccato di carne di suino macinata col suo grasso e arrotolata su se stessa a mo’ di chiocciola. La versione monzese si distingue per l’impasto arricchito da Grana, brodo di carne e vino, capace di infondere sfumature aromatiche che trovano la loro massima espressione nella preparazione del risotto, dov’è aggiunta a pezzetti dopo averla fatta rosolare e sfumare nel vino. Altro accorgimento importante del risotto alla monzese è la tostatura del riso, che permette al chicco di cristallizzarsi e di rilasciare meno amidi in fase di cottura, risultando quindi più integro.

    Riso alla pilota

    Fanfo/shutterstock.com

    In questo caso non si può parlare di risotto: qui infatti il riso è bollito in acqua fino al suo completo assorbimento. Alla termine della preparazione i chicchi devono risultare asciutti e ben sgranati, pronti ad accogliere il ricco condimento a base di “pisto” (detto anche “pistume”), ovvero un battuto di carne suina fresca con sale, pepe e aglio. In alternativa non è raro trovarvi la salamella mantovana spezzettata e rosolata in padella con abbondante burro. A completare tutto, una generosa spolverata di Grana Padano. Caricare con gli elementi insaporitori è un elemento cardine di questo piatto, che deve il suo nome agli addetti alla pilatura del riso (i “piloti”, appunto). Un’operazione che consiste nel pressare i chicchi di riso sotto la pila, una sorta di grosso mortaio manovrato meccanicamente, che ne elimina le glume. Un lavoro manuale, dispendioso dal punto di vista energetico, che tradizione vuole venga quindi ripagato da un piatto di sostanza. 

    Il riso alla pilota è tipico di Mantova e provincia, con particolare riferimento a quei comuni al confine col veronese. Questa è una zona di risaie, grazie all’abbondanza di corsi d’acqua – il fiume Mincio su tutti – e tra le varietà di riso prodotte spicca il Vialone Nano semifino, ideale per questo piatto proprio per la sua capacità di rimanere sodo nonostante la cottura prolungata. A questo proposito, c’è tutta una procedura che prevede di versare il riso all’interno di una capiente pentola d’acqua bollente formando una specie di piramide, la cui estremità deve emergere per 1-2 centimetri. La pentola va poi scossa un po’ alla volta, smuovendo la massa di riso, che proseguirà la cottura prima a fuoco vivace e poi a fuoco spento, coperta da un canovaccio, utile ad assorbire l’umidità in eccesso, sormontato dal coperchio.

    Esistono tante piccole varianti, oggetto anche di goliardiche dispute campanilistiche, come nel caso dei comuni di Villimpenta e Castel D’Ario, ciascuno dei quali ha codificato la propria ricetta. Nel 1990 è stata depositata quella del “Risotto alla villimpentese”, mentre vent’anni più tardi è nata la De.C.O. “Riso alla pilota di Castel D’Ario”, dove ogni anno, nel mese di maggio, si tiene una festa dedicata a questa specialità.

    Altra tradizione popolare è quella del riso alla pilota col “puntel”, che consiste nel conficcare letteralmente nel piatto, con la parte d’osso rivolta all’insù, delle braciole o delle costine di maiale spadellate col burro o, in alternativa, grigliate. L’usanza prevede, in questo caso, che con una mano si brandisca la forchetta e con l’altra si afferri il manico (da cui il termine “puntel” in mantovano) della braciola, alternando quindi un boccone di riso a un morso di carne.

     

    Se ci avete seguito fin qui, vi invitiamo ora a dire la vostra: alla milanese, alla monzese o alla pilota… quale dei tre risotti lombardi è più nelle vostre corde? 


    Immagine in evidenza di: LipeBorges_Foto/shutterstock.com

     

    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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