L’agricoltura 4.0 mette a disposizione delle aziende agricole molti strumenti altamente tecnologici. Secondo il recente report dell’Osservatorio AgriFood del Politecnico di Milano, il valore economico di questo comparto è cresciuto del 270% tra il 2017 e il 2018. Tuttavia ci sono ancora dei freni alla piena diffusione di software e applicazioni che consentono di ridurre gli sprechi e degli altri sistemi per monitorare in maniera costante l’attività nei campi e non soltanto. “Non è una questione di aziende grandi o aziende piccole – ci spiega Pier Luigi Romiti, responsabile ufficio filiere agroalimentari di Coldiretti – ma un problema culturale.” Una possibile soluzione su cui investire è la “trust economy” e, in occasione della presentazione del CIRFOOD District abbiamo chiesto direttamente a Romiti in cosa consiste.
Agricoltura 4.0, in Italia è ancora poco diffusa
L’agricoltura di precisione permette di limitare gli interventi alle aree dove c’è reale necessità. La tecnologia, quindi, viene in aiuto, tramite satellite e altre attrezzature, permettendo di risparmiare sui costi e sullo spreco delle risorse.
“Bisogna dire che l’agricoltura 4.0 è un fenomeno in crescita, ma è anche inevitabile – commenta Romiti – perché l’agricoltura del futuro sarà, principalmente, di precisione e il passaggio può avvenire in uno, dieci o anche vent’anni, ma è una trasformazione inequivocabile.” Il responsabile Ufficio Filiere di Coldiretti aggiunge che la crescita dell’utilizzo di queste tecniche produttive è effettiva, in Italia, ma ancora molto lenta e non soltanto per la mancanza di finanziamenti, ma anche per un limite culturale. “È necessaria un’evoluzione in tal senso, attraverso la formazione di agricoltori e agronomi”, con lo scopo di fornire loro le conoscenze sia per scoprire le modalità di sostegno per gli investimenti, che le competenze per utilizzare gli strumenti più tecnologici.
In tal senso la dimensione delle aziende è solo uno dei fattori critici: “bisogna sfatare un mito, perché l’agricoltura di precisione si può applicare ad appezzamenti piccoli e grandi, ma è necessario un supporto per gli investimenti e figure capaci di applicare questa tecnica colturale.”
Quali strumenti per le aziende italiane?
Esistono già alcuni strumenti pensati proprio per supportare le aziende in questo processo di transizione. È il caso, per esempio, del programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020, che sostiene iniziative orientate allo sviluppo di strumenti anche nell’ambito dell’agrifood. Il Ministero per lo Sviluppo Economico, per esempio, ha definito agevolazioni specifiche in favore dei progetti di ricerca e sviluppo promossi nell’ambito delle aree tecnologiche: Fabbrica intelligente, Agrifood, Scienze della vita.
Anche il nuovo governo si sta muovendo in questo senso: “sta facendo passi in avanti – spiega Romiti – stanziando diversi milioni di euro sull’applicazione e lo sviluppo di tecnologie come la blockchain e sullo smart farming.” Lo scorso marzo è stato presentato a Torino il Fondo Nazionale Innovazione (FNI), un fondo voluto dal MiSE proprio per sostenere con risorse pubbliche e private startup, scaleup e piccole medie imprese che operano nell’ambito dell’innovazione.
Trust economy: la strada dell’innovazione ha bisogno di fiducia
Risparmio idrico, fonti rinnovabili, consumo di suolo, agromafie, sono sfide che richiedono l’impegno di tutti gli attori della filiera agricola. Per rispondere a questa esigenza, anche nell’incontro di presentazione del CIRFOOD District, si fa strada il concetto di trust economy. Romiti la definisce come “un visione nuova della filiera che dovrà iniziare a collaborare, e dove tutti gli anelli che la compongono dovranno imparare a fidarsi reciprocamente per poter rispondere alle esigenze e alle priorità del consumatore, che sono sempre più complesse.”
Il termine è mutuato dal mondo della sharing economy e richiama la necessità di mettere a disposizione e condividere informazioni e risorse per offrire un servizio ai cittadini. “Oggi la filiera agroalimentare è ricca di conflitti – aggiunge l’intervistato – e questo ha delle conseguenze anche sulla qualità di quanto viene proposto.” L’approccio della trust economy vuole ribaltare questa situazione per creare le condizioni di produzione ideali.
Ciò è particolarmente urgente poiché Romiti sottolinea quanto il consumatore sia oggi capace di influenzare le scelte delle aziende: “attraverso i media e i social, possiamo dare input diretti e veloci alle aziende che, per sopravvivere, li devono tenere in considerazione.”
Gli stimoli, secondo quanto emerso all’evento di anteprima del CIRFOOD District, richiamano primariamente la questione della sostenibilità che si declina sia in ambito ambientale che sociale. “La trust economy – specifica Romiti – parla di fiducia intesa come fondamenta nel rapporto tra i vari attori della filiera, ma è anche alla base della blockchain, una nuova tecnologia che si basa sul consenso delle parti a registrare determinati sensibili e utili in un database.”
Se il consumatore, dunque, cerca alimenti sostenibili, prodotti rispettando l’ambiente e riconoscendo il giusto valore a chi ha partecipato alla filiera, le aziende hanno anche gli strumenti dell’agricoltura 4.0 per poterli realizzare. Sono pronte?