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Le stoviglie biodegradabili cosa sono e quanto sono green

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Ti è mai capitato di essere a una festa o a un picnic all’aperto e di sentirti in colpa per l’uso massiccio di stoviglie di plastica usa e getta? Per fortuna, da tempo che esistono soluzioni alternative che uniscono proprio la praticità e la comodità di piatti, bicchieri e posate monouso con un maggiore rispetto per l’ambiente: le stoviglie biodegradabili e compostabili. Non a caso, negli ultimi anni la parola d’ordine è “sostenibilità”, anche per ciò che riguarda il settore degli imballaggi e dei prodotti monouso. 

Eppure, il rapporto Rifiuti Urbani 2024 di Ispra ci ricorda che c’è ancora molta strada da fare per trasformare le buone intenzioni in azioni efficaci. La raccolta differenziata in Italia ha raggiunto il 66,6%, con punte del 73,4% al Nord, ma resta il fatto che “raccolta differenziata” non equivale necessariamente a “riciclo”. Infatti, solo il 50,8% dei rifiuti urbani è a tutti gli effetti avviato al riciclo, un dato in crescita ma ancora lontano dagli obiettivi europei: 55% entro il 2025 e 65% entro il 2035.

Ma cosa significa tutto questo per le stoviglie biodegradabili e compostabili e qual è la loro differenza? E soprattutto, quali sono le loro reali potenzialità per contribuire a ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti? In questo articolo, facciamo un po’ di chiarezza e cerchiamo di capire se e quanto possiamo davvero fidarci del loro “green power”.

Stoviglie biodegradabili: cosa si intende?

stoviglie di carta
New Africa/shuttestock

È recente l’introduzione delle nuove norme contro la plastica monouso anche in Italia. Il decreto legislativo, che recepisce la direttiva europea SUP (Single Use Plastics) 2019/904, vieta la vendita di posate, piatti, cannucce e altri prodotti in plastica, inclusi quelli “oxo-degradabili”, ossia quei materiali che si decompongono in presenza di ossigeno. Con questa mossa, ormai da anni si spinge verso l’adozione di alternative più ecologiche, come appunto le stoviglie biodegradabili e compostabili.

Partiamo dalle definizioni: la “biodegradabilità” di un materiale consiste nella proprietà di scomporsi in composti semplici, come acqua, anidride carbonica e biomassa, attraverso l’azione enzimatica di alcuni microrganismi naturali. Quindi, le stoviglie biodegradabili comprendono tutti quei prodotti – piatti, posate, bicchieri, cannucce – realizzati con materiali che, grazie all’azione batteri, funghi e alghe, possono decomporsi naturalmente negli elementi semplici sopracitati. 

Attenzione, però: è bene specificare che la biodegradabilità non avviene “magicamente” e richiede precise condizioni ambientali, come temperatura, umidità e presenza di ossigeno. Quindi, “biodegradabile” non implica che il prodotto si dissolverà in maniera rapida e totale, senza lasciare residui dannosi se disperso nell’ambiente. Ad esempio, secondo la normativa, le stoviglie biodegradabili devono decomporsi almeno del 90% entro sei mesi in un ambiente aerobico, che corrisponde alle condizioni tipiche degli impianti di compostaggio industriale, ma la biodegradazione avviene in tempi variabili e può risultare incompleta se il materiale non è trattato nel modo giusto. 

Stoviglie compostabili: cosa significa?

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Passiamo ora alla definizione di “compostabile”: il compostaggio è un processo di decomposizione controllato che avviene in impianti industriali specifici e converte i materiali organici in compost, una sostanza ricca di nutrienti e priva di elementi tossici, che può essere utilizzata come fertilizzante naturale per migliorare la qualità del suolo. 

Mentre le stoviglie biodegradabili possono decomporsi nel tempo in condizioni favorevoli, quelle compostabili sono soggette a uno standard più rigoroso. Devono decomporsi completamente in un periodo massimo di 12 settimane e trasformarsi in frammenti di dimensioni inferiori a 2 mm, senza ostacolare il processo e senza compromettere la qualità del compost finale. 

Qual è la differenza tra stoviglie biodegradabili e compostabili?

Stando a quanto abbiamo detto sopra, tutte le stoviglie compostabili sono biodegradabili, ma non tutte quelle biodegradabili sono compostabili. Per esempio, una forchetta biodegradabile potrebbe richiedere anni per decomporsi in un contesto naturale, mentre una compostabile, se smaltita correttamente in un impianto di compostaggio industriale, contribuirà alla creazione di compost fertile in tempi brevi.

Nell’Unione Europea, le caratteristiche affinché un prodotto possa essere definito compostabile sono stabilite dalla norma EN 13432:2002, che specifica i requisiti relativi alla biodegradabilità, alla disintegrazione fisica e all’assenza di effetti negativi sul compost finale. È importante sottolineare che questa normativa si applica ai prodotti compostabili e non ai materiali solo biodegradabili, che possono avere tempi di decomposizione più lunghi o modalità incompatibili con il compostaggio industriale.

I materiali per le stoviglie biodegradabili e compostabili monouso

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Per cercare di abbattere l’impatto ambientale della sovrapproduzione di plastica, è sempre più comune trovare nei supermercati stoviglie biodegradabili e compostabili, come piatti “eco-friendly” e così via. Ma in che materiali sono realizzati, dunque? Ecco alcuni dei più comuni:​

Stoviglie in bioplastica: quanto sono sostenibili?

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Tra i materiali più diffusi per le stoviglie biodegradabili troviamo appunto le bioplastiche, come il PLA (acido polilattico). Tuttavia, il loro impatto ambientale è più complesso di quanto sembri: la scritta “biodegradabile” o “compostabile” su una stoviglia o un imballaggio non significa che possiamo abbandonarla in natura sperando che si dissolva senza conseguenze.

Secondo un’indagine di Greenpeace, a differenza di quanto avviene in gran parte dei Paesi europei, in Italia i prodotti in plastica compostabile devono essere conferiti per legge nella raccolta differenziata dei rifiuti organici. Il 63% di questi finisce in impianti di trattamento anaerobico, che però non sono adatti a degradare in maniera efficace le plastiche compostabili. Anche nei siti di compostaggio, non sempre le tempistiche o le condizioni operative permettono una decomposizione completa di questi materiali, perché questi restano nei processi di trattamento per un periodo troppo breve rispetto ai tempi realmente necessari alla loro completa degradazione.

 Il che significa che una parte di questi prodotti finisce comunque in discarica o negli inceneritori, tradendo le aspettative di chi li utilizza pensando di fare una scelta più ecologica. E negli altri Paesi europei? In molti casi, i prodotti in plastica compostabile vengono buttati nell’indifferenziato, proprio perché la loro gestione è complessa e non esistono infrastrutture sufficienti per garantire un corretto compostaggio.

Inoltre, l’etichetta “plastica ecologica” può risultare fuorviante: i test di laboratorio che certificano la compostabilità si basano su condizioni specifiche, che non rispecchiano sempre le reali condizioni degli impianti italiani, comportando un disallineamento tra ciò che promettono le certificazioni e la realtà della gestione dei rifiuti. Sebbene quindi le bioplastiche siano un passo avanti rispetto alle plastiche tradizionali, è fondamentale considerare che non rappresentano una soluzione “a impatto zero”: la loro efficacia dipende non solo dal corretto smaltimento, ma anche dalla capacità degli impianti di trattarle in maniera adeguata.

Quanto sono ecologiche?

L’abbiamo detto sopra: non tutte le bioplastiche sono uguali. Mentre alcune, se smaltite nel modo giusto, hanno un impatto ambientale ridotto, altre, se disperse nell’ambiente, possono comportare danni significativi al pari delle plastiche tradizionali, tra cui la contaminazione del suolo e dell’acqua per colpa di una biodegradazione molto lenta o incorretta, con il rischio di formazione di microplastiche e altri danni a lungo termine, o problemi alla flora e fauna locale.

Guida allo smaltimento: “dove lo butto?”

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Lo sappiamo, non è sempre semplice capire dove buttare un rifiuto per il corretto smaltimento e questa confusione cresce quando si tratta di stoviglie compostabili o biodegradabili. Ad esempio, pensiamo a piatti e bicchieri in bioplastica: nonostante la presenza della parola “plastica”, devono essere smaltiti nell’organico e non nel contenitore per la plastica. D’altra parte, però, un prodotto biodegradabile non è necessariamente destinato alla raccolta dell’umido.

Seppur le stoviglie biodegradabili e compostabili rappresentino un passo positivo verso la riduzione di prodotti plastici monouso, non basta sostituire la plastica per dirsi sostenibili. L’obiettivo finale dovrebbe essere, infatti, quello di ridurre in maniera drastica l’uso di tutti i prodotti usa e getta, favorendo soluzioni più durature e davvero sostenibili, come le stoviglie lavabili e riutilizzabili. 

 

Immagine in evidenza di: usmee/shutterstock

 

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