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Pata Negra: caratteristiche e produzione di un prosciutto spagnolo d’eccellenza

     

     

    La tradizione del maiale è una di quelle che meglio rappresenta le nostre origini contadine. Fino agli anni Cinquanta, infatti, quasi tutte le famiglie avevano e allevavano almeno un maiale all’anno, da uccidere e lavorare in un momento davvero sociale di riunione familiare, in cui tutti avevano ruoli e compiti ben precisi. Lo dimostra il fatto che in ogni regione si è mantenuta e tramandata nel tempo la lavorazione di un particolare salume, con tecniche differenti, come ad esempio vi abbiamo raccontato a proposito dell’uccisione del maiale in Cilento. Eppure, per quanto sia una questione molto italiana, non siamo gli unici ad avere una cultura così forte del suino, anzi; anche in Spagna c’è un’importante tradizione norcina, come dimostrano il Chorizo, la Cecina di Léon o il prosciutto più costoso del mondo: il Pata Negra.

    Il prosciutto Pata Negra: la tradizione norcina iberica

    L’allevamento del maiale in Spagna ha origini antichissime. Le prime citazioni storiche su suini iberici si hanno a partire dal quarto secolo avanti Cristo; poi compaiono nel De re coquinaria di Marco Gavio Apicio, una raccolta di ricette romane del primo secolo, anche perché non c’è animale che abbia indotto a scrivere così tanta bibliografia. Quindi già ai tempi dei romani, i salumi iberici erano molto apprezzati, soprattutto per l’alimentazione dei suini uno dei punti di forza del Pata Negra, che letteralmente significa “zampa nera”, quella tipica del suino spagnolo.

    La sua unicità (e il suo prezzo) è dovuta al fatto che viene preparato a partire da maiali di razza Bellota 100% Iberico, che vivono allo stato brado, nelle dehesas spagnole, le foreste di querce, consumando erba, bacche, ma soprattutto ghiande dolci cadute dagli alberi, le “bellota”. Così, le cosce di questi suini neri acquisiscono acido oleico – la stessa sostanza chimica presente nelle olive – diventando, dopo la macellazione, il prodotto conosciuto col nome di “Pata Negra”.

    Gli italiani, da buon norcini, sono stati tra i primi ad apprezzarne fin da subito la qualità, già ai tempi della conquista romana della Spagna; poi, nel corso degli anni, il nome di questo prosciutto si è diffuso sempre di più ovunque. Per questo il governo spagnolo ha dovuto approvare una legge che tutelasse il prodotto nel mondo, con misure su provenienza, tipo di alimentazione e la razza dei maiali: oggi può essere considerato jamon de pata negra solo se possiede almeno un 50% di razza iberica e un 50% di duroc bianco (maiale “comune”), ma l’etichetta Pata Negra di colore nero, viene concessa solo ed esclusivamente a prosciutti e carni ricavate da suini “de Bellota 100% Iberico”. Ma vediamo bene quali sono le varie differenze e come orientarsi all’interno di questo affascinante mondo della norcineria spagnola, a partire appunto dai colori delle etichette.

    I colori delle etichette

    Foto: Emanuela Colombo

    Il colore dell’etichetta varia poi, in modo che al consumatore sia facile capire la qualità dello Jamón Ibérico bellota. Ecco come valutare a colpo d’occhio la qualità del prosciutto iberico:

    Differenze con il Serrano

    Il Pata Negra, o Jamón ibérico, è sempre più apprezzato ormai nelle cucine di tutto il mondo, dove è considerato un prodotto di alta gamma. Non è da confondersi con il Serrano, che pur essendo un prosciutto di tutto rispetto, oggi riconosciuto anche come specialità tradizionale garantita, si differenzia dal Pata Negra per vari fattori: proviene da più razze, quindi anche con alimentazioni differenti; ha una stagionatura più breve, al massimo di due anni, mentre il tempo di stagionatura minima del Pata Negra dipende dal suo peso iniziale: meno di 7 kg richiedono minimo 20 mesi, di più almeno 24 mesi; inoltre il Serrano è ottenuto principalmente dalla salatura e seccatura all’aria dagli arti posteriori solo del maiale di razza bianca. Infine, cambia la zona di produzione: il Serrano si produce nella zona di Teruel (Aragona), Trévelez (Granada, Andalusia) e Serón (Almeria, Andalusia), mentre il Pata Negra ha un disciplinare ben preciso che riguarda altre aree, con ecosistemi particolari, come ad esempio la Dehesa, un bosco della parte meridionale e occidentale della Penisola Iberica, generalmente destinato proprio all’allevamento del bestiame.

    Aree di produzione del Pata Negra

    Foto: Emanuela Colombo

    La Denominazione di Origine Controllata del Pata Negra comprende quattro regioni di produzione differenti, ognuna delle quali dà jamónes leggermente diversi tra di loro, seppur in modalità di preparazione simili.

    Foto: Emanuela Colombo

    Il suo sapore in cucina

    Come abbiamo visto, il gusto e il sapore del Pata Negra variano molto a seconda dell’area di produzione, dell’alimentazione dei maiali ma anche dal tempo e dalle condizioni ambientali durante la stagionatura. Un altro aspetto importante è il punto di sale, che se equilibrato asseconda la percezione di tutte le sfumature profumate senza essere troppo preponderante. Per questo è fondamentale l’abilità e l’esperienza dei norcini, fondamentali per determinare un prodotto di qualità degno di questa fama e di questo nome nel mondo.

    Ricordate sempre: il gusto di un buon Pata Negra ricorda i territori dove hanno vissuto i maiali di provenienza; terre che sanno di erbe selvatiche, fungo, tartufo, come la Dehesa; l’intensità e la complessità di questo prosciutto aumenterà con gli anni di stagionatura. Se gustato a temperatura ambiente si sentirà al massimo quel suo caratteristico sapore di ghiande, le stesse di cui si sono alimentati per mesi quei maiali iberici nei boschi. Per tutti questi motivi, si tratta del prosciutto più costoso del mondo, eppure, nonostante il prezzo, la sua diffusione non fa che aumentare, soprattutto dopo averlo provato.

    In cucina sta benissimo da solo, come tapas, in modo che si possa gustare a pieno la sua unicità; in alternativa, si abbina al Salmorejo, una zuppa fredda spagnola, tipica della zona di Cordova in Andalusia, a base di pomodoro, aglio, pezzi di pane duro, olio extravergine di oliva, aceto e sale, il tutto frullato insieme. Ma il Pata Negra non è il solo prodotto di punta della norcineria spagnola.

    Le Cecina di Léon IGP

    Foto: Emanuela Colombo

    La Cecina è un altro salume spagnolo con radici antichissime: la parola deriva dal latino siccina e pare che a sua volta abbia origini celtiche da Ciercina, nome che indicava il vento settentrionale necessario affinché la carne seccasse nella maniera ottimale. Si tratta di un salume di carne di manzo, ottenuto dal processo di trasformazione dei quarti posteriori dei bovini di almeno cinque anni e un peso minimo di 400 kg, appartenenti alle razze bovine autoctone di Castiglia e León. La carne viene essiccata e affumicata artigianalmente, in particolare nella cittadina di Léon, nel nord della Spagna. La lenta e prolungata stagionatura, che dura almeno 18 mesi, conferisce alla Cecina un sapore caratteristico e una consistenza molto tenera, oltre che un elevato apporto di proteine.

    Tra i produttori più noti c’è Cecinas Nieto, che ha presentato a Versailles la Cecina de León IGP o quella della famiglia Domecq, gli stessi che producono anche Pata Negra, da soli manzi allevati liberi e completamente grass fed; o ancora, la Cecina di Legio Beef di vaca vieja con riserve straordinarie di stagionature fino a 24 mesi. Affumicata con legni di leccio e rovere, è una Cecina ottenuta ancora con i metodi della tradizione artigianale, con una stagionatura lenta che arriva fino a 24 mesi. Uno dei modi migliori per gustare pienamente il sapore di questo salume è con mandorle e olio extravergine d’oliva, come antipasto, o meglio tapas.

     

    Un altro salame iberico simile al nostro ma molto più speziato, solitamente alla paprica, è il Chorizo, che indica numerosi tipi di insaccati e salsicce, di solito a base di carne bovina, suina e speziati con paprica, tipici della penisola iberica e di alcune ex colonie spagnole, dove si utilizza generalmente nella tortilla di patate. Lo conoscete?

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