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Tè: I Tipi Di Tè

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di Gianluigi Storto.

Questo prodotto è commercializzato anche nei circuiti del commercio equo solidale!

Hai già letto la prima parte dell’approfondimento di Gianluigi Storto sulla storia del tè, pubblicato qui sul Giornale del Cibo? Ti ricordiamo che Gianluigi è un chimico ed esperto di tè, nonché autore del libro “Il tè, verità e bugie, pregi e difetti” (Avverbi editore, Roma 2006).

La fermentazione

Chi ama il tè sa che ne esistono molte varietà dai nomi esotici. Tuttavia la principale differenza è fra tè verdi o non fermentati e tè neri o fermentati.
In genere per fermentazione si intendono reazioni in cui sono coinvolti microrganismi come muffe o batteri: la fermentazione alcolica, per esempio, trasforma le sostanze zuccherine contenute nel succo d’uva, in alcool etilico proprio sfruttando alcuni microrganismi; anche la fermentazione acetica, che trasforma l’alcool etilico in aceto, è una reazione biochimica in cui agiscono microrganismi naturali.

La fermentazione del tè è una cosa completamente diversa e lo stesso termine “fermentazione”, da un punto di vista rigoroso, non sarebbe neanche corretto. In realtà, come vedremo, in questo caso avvengono reazioni enzimatiche di ossidazione e polimerizzazione in presenza di ossigeno, senza necessità di lieviti o batteri estranei come nel caso della fermentazione alcolica. Per capire bene di cosa si tratta, occorre dare un’occhiata a come sono fatte le cellule vegetali. Le cellule vegetali hanno una struttura interna abbastanza complessa, con molte strutture distinte, ciascuna con una particolare funzione. Fra i costituenti della cellula vegetale, ci sono i vacuoli e i plastidi. I primi sono delle specie di sacche apparentemente vuote, specie di bolle all’interno della cellula vegetale. In queste strutture sono contenuti i polifenoli, sostanze chimiche molto interessanti di cui ci occuperemo in seguito. Nei plastidi, invece, si ritrova la clorofilla che serve a governare l’intero ciclo dell’ossigeno della pianta, catturando l’energia solare ed utilizzandola per assemblare i vari materiali costituenti la pianta stessa. Insieme alla clorofilla, nei plastidi sono presenti anche alcuni enzimi. Questi ultimi sono sostanze naturali che aiutano l’innesco di specifiche reazioni chimiche. Senza enzimi le reazioni chimiche necessarie alla vita della cellula sarebbero lentissime o non accadrebbero affatto. Gli enzimi sono quindi fondamentali alla vita cellulare.

Ora, se gli enzimi contenuti nei plastidi vengono a contatto con i polifenoli contenuti nei vacuoli e attorno c’è abbondante aria fresca, ecco che in breve tempo scatta una reazione chimica e si formano sostanze nuove, che prima non c’erano. Questa è la fermentazione del tè. Essa consiste quindi nel favorire l’intimo contatto fra gli enzimi contenuti nei plastidi e i polifenoli contenuti nei vacuoli in presenza dell’ossigeno dell’aria. Se questa reazione viene favorita avremo i tè cosiddetti fermentati, o neri. In caso contrario, ovvero se si fa in modo che il contatto fra enzimi e polifenoli avvenga poco o non avvenga affatto, avremo i tè verdi o i tè bianchi. I tè Oolong, molto apprezzati dagli estimatori, sono una via di mezzo, ovvero tè ottenuti con fermentazioni parziali.

Non bisogna pensare che questa reazione fra polifenoli ed enzimi sia straordinaria: le reazioni che coinvolgono enzimi sono abbastanza comuni nel mondo vegetale, come sa qualunque massaia: l’annerimento dei fusti dei carciofi quando vengono spezzati, l’annerimento delle banane o delle mele che hanno subito un trauma meccanico, l’effetto fortemente irritante della cipolla tagliata da un coltello e così via, sono tutti effetti di reazioni enzimatiche naturali, provocate dalla fuoriuscita cellulare degli enzimi che innescano particolari reazioni chimiche, in genere aventi effetto di difesa della pianta stessa.

Ma torniamo al tè. In questo caso l’effetto di tali reazioni enzimatiche è che i piccoli polifenoli, originariamente presenti nei vacuoli, si trasformano in polifenoli molto più grandi e soprattutto differenti, per colore, aroma e gusto, da quelli di partenza. Ecco perché un tè nero, fermentato, è così diverso, per colore e aroma, da un tè verde o da un tè bianco che non ha subito questo processo. Possiamo distinguere questi nuovi polifenoli più grandi che si formano con la fermentazione in teorubigine e in teoflavine: le prime sono responsabili del colore rossastro dell’infuso di un tè nero – che non a caso i cinesi chiamano tè rosso; le seconde invece sono responsabili del suo aroma così particolare.
Per fare un tè nero, quindi, occorre facilitare il contatto fra enzimi e piccoli polifenoli, a volte chiamate catechine, alla presenza di abbondante aria. In pratica occorre rompere e stropicciare le foglioline fra di loro. Solo così i polifenoli e gli enzimi riescono a reagire fra loro per dare i desiderato prodotti di reazione.

Questa operazione, un tempo compiuta a mano, semplicemente sfregando con forza foglie di tè appassite fra le palme delle mani, facilita la fuoriuscita degli enzimi dai vacuoli facendoli penetrare nei plastidi. L’ossigeno dell’aria, la temperatura e il tempo fanno il resto finché la reazione non è conclusa. Ovviamente variando il tipo di foglie trattate, i tempi di contatto, le temperature, la quantità d’aria disponibile e il grado di appassimento iniziale delle foglie, si possono ottenere teoflavine – ovvero aromi e teorubigine –ovvero colori- differenti. Questa la ragione per cui le stesse foglie di tè, lavorate in modo differente, conducono a risultati completamente diversi. E qui sta tutta l’esperienza dei produttori, capaci di offrire migliaia di qualità diverse di tè.
Oggi, in genere, invece delle mani si usano macchine particolari, dette CTC, dall’inglese Crush, Tear and Curl, ovvero schiacciare, lacerare e accartocciare. Queste macchine fanno in modo che il contatto fra enzimi e polifenoli sia ottimale e che così si possa ottenere il tè fermentato desiderato.
I tè bianchi sono quelli che non dovrebbero subire alcuna reazione, i verdi qualche piccola fermentazione, gli Oolong una fermentazione parziale. Ma non è soltanto la quantità di grandi polifenoli – teorubigine e teoflavine – che si forma ma anche il loro tipo particolare, che conta. Così un tè Oolong non può essere ottenuto semplicemente miscelando fra loro un tè verde e un tè nero, perché le teoflavine tipiche dei tè Oolong si formano soltanto nel processo di fermentazione caratteristica di quel particolare tè che non si ritrovano, per esempio, fra le teoflavine dei tè neri.

Se per fare i tè neri occorre dunque favorire, anche se in momenti opportuni, le reazioni fra polifenoli ed enzimi, nel caso dei tè verdi, ed ancor più per i tè bianchi, questa reazione va invece contrastata il più possibile. Ecco il motivo per cui le foglioline destinate alla preparazione del tè verde vengono immerse per qualche secondo in acqua bollente o, come in alcune lavorazioni giapponesi, trattate con vapore bollente: in questo modo si inibiscono proprio quegli enzimi che reagendo con i polifenoli danno origine ai composti dei tè fermentati. Nel caso dei delicati tè verdi occorre dunque procedere all’essiccamento delle foglioline immediatamente dopo la raccolta, senza dare possibilità alle foglie di appassire, cosa che faciliterebbe, con la rottura delle pareti cellulari, il contatto fra enzimi e polifenoli e, in definitiva, la fermentazione sopra descritta.

Tè profumati, affumicati, in mattonelle

Esistono moltissimi tipi di tè, distinti non soltanto in base al fatto di avere o no subito il processo di fermentazione. Per esempio, chi non conosce i tè profumati al bergamotto, che pare siano fra i preferiti della Regina d’Inghilterra o quelli profumati al gelsomino, diffusissimi in Cina ma sempre più graditi anche in Occidente?

In realtà quella di profumare il tè è una tradizione antichissima, nata forse assieme al tè stesso. Occorrerebbe tuttavia distinguere fra profumazione tradizionale e aromatizzazione. Nel primo caso, infatti, si aggiungono foglie e più spesso fiori profumati alle foglioline del tè in modo che queste ne assorbano le essenze aromatiche durante il processo di essiccamento. Spesso queste parti vegetali profumate, estranee al tè, vengono eliminate prima di procedere alla commercializzazione. Nel secondo caso, invece, si aggiungono direttamente gli oli essenziali di piante profumate, in una classica operazione di additivazione. Questo è il caso, per esempio, dei tè al bergamotto, ottenuti per aggiunta alle foglioline di tè dell’essenza di questo agrume che fiorisce sulla costa calabrese.

I tè affumicati sono prodotti facendo assorbire alle foglioline, durante il processo di appassimento, il fumo aromatico ottenuto dalla combustione di legni particolari. Il Lapsang Souchong, per esempio, viene ottenuto facendo appassire le foglioline di tè accanto a un forte fumo di legno, di pino o di cipresso, ricco di sostanze aromatiche. Dopo altre fasi di lavorazione, le foglie vengono messe in botti di legno, finché non cominciano a profumare del loro aroma caratteristico. Infine vengono sistemate in cesti di bamboo e appese a una specie di griglia posta su un fuoco fumoso di legno di pino. Si ottiene così un prodotto che quando viene messo in infusione, produce un liquore dal particolare colore arancio-rosso e dall’aroma di fumo molto intenso. Così forte che un tempo, per rispetto, non veniva mai offerto alle donne.

I russi sono sempre stati forti consumatori del tè proveniente dalla Cina. Un tempo il trasporto era affidato a carovane di cammelli che dovevano attraversare migliaia di miglia, spesso in zone desertiche. Per secoli i commercianti russi hanno scambiato i loro carichi di pellicce con le merci cinesi, soprattutto tè, cotone e seta.
Le carovane russe erano formate da duecento o trecento cammelli e impiegavano circa un anno per andare dalle grandi città russe a Usk Kayathta, il luogo di incontro con le carovane cinesi, e tornare indietro. Poiché un cammello, per viaggi così impegnativi, può essere caricato con non più di 250-300 chili di merci, ne consegue che ogni carovana poteva trasportare un carico di circa 50-70 tonnellate. Considerando che nel 1796, alla morte di Caterina la Grande, la Russia consumava circa duemila tonnellate di tè all’anno, possiamo numerare in un paio di carovane al mese, per tutto l’anno, il traffico carovaniero necessario per coprire il fabbisogno russo di tè!
Per stipare meglio i carichi, il tè veniva quindi compresso in mattonelle. Si trattava di foglie, polvere e piccioli di tè, sia nero che verde, polverizzate e compresse, appunto, in mattonelle o tavolette rettangolari o quadrate, più o meno spesse. Le mattonelle erano dure, di colore bruno-verdastro e portavano impresse ideogrammi, disegni cinesi o scritte in russo. Le tavolette di sole foglie, le migliori, pesavano circa 100 grammi ed erano avvolte in carta bianca o stagnola. Erano quindi imballate in cassette di legno foderate di lamine di piombo per garantirne la freschezza, e soprattutto la fragranza, in un viaggio così lungo e in climi così caldi.
Le mattonelle di prodotto più scadente, fatte con rametti, cascami e frammenti di steli, pesavano invece 1 o 2 chili ed erano imballate in cesti di bambù.
Le mattonelle venivano impiegate dai cinesi non solo per le esportazioni in Russia ma anche per quelle destinate al Tibet. Per quest’ultima destinazione, tuttavia, si utilizzavano qualità più pregiate di quelle riservate al mercato russo. Le mattonelle tibetane erano più fragili e si rompevano facilmente, evidenziando alle fratture le foglie costituenti nelle loro forme originali.
Con un infuso caratterizzato dal gusto e dal profumo molto forti, il tè in mattonelle risulterebbe oggi eccessivamente “deciso” per i consumatori occidentali, mentre viene ancora usato soprattutto in Tibet e in alcune regioni cinesi.

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