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Etichette alimentari: quali sono le informazioni utili al consumatore?

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    Quello delle etichette alimentari nel nostro Paese è un terreno scivoloso. Tra prodotti “senza” e prodotti “con”, claim pubblicitari e campagne, come quella contro l’olio di palma capaci di modificare il mercato, nella domanda e nell’offerta, il consumatore esce confuso dal supermercato, ritrovandosi, forse a causa di troppe informazioni, disinformato. Questo tema è stato discusso anche in occasione del recente Festival del giornalismo alimentare di Torino, dove tra i relatori è intervenuto il dott. Agostino Macrì. Per anni dirigente di ricerca presso l’Istituto Superiore di Sanità, Macrì si è sempre occupato di sicurezza degli alimenti ed è attualmente docente all’Università Campus Biomedico di Roma, dove insegna “Ispezione degli alimenti”. Collabora, inoltre, con l’Unione Nazionale Consumatori e ha creato il blog Sicurezza Alimentare, “per dare risposta ai molti dubbi dei consumatori nel campo alimentare”.

    Dal momento che ci siamo sempre occupati di come leggere le etichette alimentari e delle notizie di attualità su questi temi, abbiamo voluto intervistare Agostino Macrì per parlare di etichette alimentari e normativa, in modo da capire qual è la confusione che si genera e perché il consumatore rischia di non capirci nulla.

    Etichette alimentari e normativa: come dovrebbero essere?

    “La formulazione delle etichette è definita nel regolamento 1169/2011 in cui si dice che l’etichetta deve fornire informazioni al consumatore, oltre a definire come deve essere fatta”. Deve, quindi, indicare in modo completo e chiaro le informazioni più utili. Quali?

    Come ci racconta Macrì, “le cose più importanti da dire sono”:

    Queste informazioni costituiscono l’etichetta, ovvero l’immagine dell’alimento, insieme, ovviamente alla data di scadenza o al termine minimo di conservazione. Sono le informazioni di base dell’etichetta, le altre sono complementari”, sostiene Agostino Macrì.

    Leggere le etichette alimentari: dall’iperinformazione alla disinformazione

    Altre informazioni “ad esempio, il prodotto non deve contenere residui di antibiotici o micotossine, sono pleonastiche perché questi elementi non devono essere comunque presenti ed esistono delle norme di riferimento che ne fanno esplicito divieto”. Stesso discorso per informazioni come non contiene salmonella o non contiene escherichia coli: “è scontato che non possono essere presenti”, chiarisce l’intervistato.

    “Le varie altre informazioni presenti sulle confezioni dei prodotti non sono realmente necessarie e distraggono il consumatore dalle reali finalità dell’etichetta”. Alcune sono anche ingannevoli, spiega l’esperto, come ad esempio “scrivere sulle bevande vegetali che non contengono lattosio e colesterolo è un’informazione superflua in quanto queste sostanze sono presenti solo negli alimenti di origine animale”.

    Olio di palma, antibiotici e made in Italy

    Anche sulla questione olio di palma è scettico: “la dicitura senza olio di palma sottende altri interessi, perché la sicurezza non è in discussione, ma sotto la spinta mediatica di chi sostiene che l’olio di palma sia nocivo, i produttori hanno deciso per motivi commerciali di assecondare questa opinione, segnalando l’assenza dell’ingrediente in etichetta”.
    Secondo Agostino Macrì si tratta della stessa confusione che si genera nel consumatore anche quando si afferma che il prodotto biologico è più sicuro: “la produzione biologica è rispettosa dell’ambiente e questo è molto importante, ma non ci sono differenze per la sicurezza, rispetto ai prodotti convenzionali”.

    Così come non si può dire che gli animali siano pieni di antibiotici, perché “non possono essere usati, se non in determinati casi, gravi, in cui viene coinvolto un veterinario, che prescrive la ricetta e cura l’animale con l’antibiotico. Tuttavia, in questi casi, prima che l’animale possa essere macellato, occorre aspettare il tempo necessario affinché smaltisca completamente il medicinale, in modo da non causare problemi al consumatore”, sottolinea l’intervistato.

    Anche le etichette di origine made in Italy (che di fatto decadranno dal 2020 alla luce della recente approvazione del regolamento esecutivo sulle indicazioni da parte dell’Unione Europea n.d.r.), sono provvedimenti, giusti, per la difesa delle produzioni nostrane, come sta avvenendo con l’olio extravergine, “ma l’origine non può influenzare la sicurezza alimentare: tutti gli alimenti indipendentemente dalla loro origine devono avere lo stesso livello di base di sicurezza. Il problema è che ad esempio, produrre pomodoro in Sicilia costa di più che produrlo in Marocco o Tunisia, per cui i rivenditori che cercano il minor prezzo, si rivolgono ad altri, mettendo in crisi il mercato nazionale italiano”, spiega Macrì.

    Le etichette a semaforo sono la soluzione?

    Ultimamente si parla molto anche di etichette a semaforo, introdotte prima in Gran Bretagna e poi, con modalità diverse in Francia con il Nutri-Score, e fortemente contrastate in Italia. Potrebbero essere una soluzione anche nel nostro Paese per ottenere maggiore chiarezza e trasparenza? Secondo Agostino Macrì si tratta di uno strumento inutile, per le stesse ragioni avanzate dalle Istituzioni, dalle industrie alimentari e dalle associazioni, come Coldiretti, le quali le ritengono ambigue e penalizzanti per molte eccellenze del Made in Italy. “Il paradosso è il caso del Parmigiano Reggiano che per l’alto contenuto di grassi e proteine viene etichettato come nocivo per la salute, senza neanche considerare le quantità di consumo”, afferma l’esperto.

    Obbligo in etichetta per lo stabilimento di produzione

    Parlando di etichette alimentari e normativa, non possiamo non fare accenno alla notizia di queste settimane, sull’entrata in vigore dell’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione e/o di confezionamento degli alimenti: “è una buona disposizione, perché fornisce un’informazione che può essere utile al consumatore”, commenta Macrì. Dichiarare la sede dello stabilimento dove sono prodotti gli alimenti era già obbligatorio, ma l’iter che ha portato al Regolamento Europeo 1169/2011 ha eliminato tale obbligatorietà. Tuttavia il nostro Governo si è mosso fin da subito, emanando il Decreto Legislativo 145 del 15.9.2017, “Disciplina dell’indicazione obbligatoria nell’etichetta della sede e dell’indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento”, entrato in vigore lo scorso 5 aprile. Purtroppo l’efficacia della norma è limitata in quanto, trattandosi di normativa nazionale, “si applica solo agli alimenti “made in Italy” e commercializzati nel nostro Paese”.

    Per l’esperto, in conclusione, per informare correttamente i consumatori, occorre metterli in condizione di saper leggere le etichette alimentari, interpretare i dati e mangiare bene: “questo è compito delle Istituzioni, che negli ultimi anni si stanno impegnando, anche in termini di educazione nelle scuole. Ad esempio, la collaborazione tra il Ministero della Salute e i produttori dell’industria dolciaria siglata in occasione di Expo Milano, ha portato a una riduzione dello zucchero nei merendine per bambini del 20% in due anni”, ricorda Agostino Macrì, evidenziando come, in mezzo a tanta confusione, le cose per fortuna vadano avanti.

    La confusione attorno alle etichette degli alimenti conosce anche delle zone d’ombra, come è emerso sempre durante il Festival del giornalismo alimentare in riferimento alle vendite di prodotti alimentari online, o come vi abbiamo raccontato rispetto alle etichette lacunose presenti nei prodotti venduti al mercato.

    Qual è la vostra esperienza? Siete abituati a leggere le etichette alimentari? Vorreste delle informazioni in più?

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