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Palermo: la citta’ e’ servita!

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di Martino Ragusa. In esclusiva per il Giornale del Cibo l’articolo di Martino tratto dal primo numero di Turistipercaso Magazine! Scarica il pdf con le pagine originali della rivista. A Palermo il cibo è offerto dappertutto in modo sensuale, verrebbe da dire perfino osceno. Lo stesso odore di Palermo è quello del cibo, un misto di fritto, dolciastro e fumo di braci pronto a colpirti l’olfatto ogni dieci passi. Non sto parlando dei mercati, dove si raggiungono livelli orgiastici, ma di tutto l’enorme centro storico finalmente tornato a nuova vita dopo il lungo abbandono negli anni sciagurati della cementificazione della periferia. Siamo nel reame della cucina di strada, una cornucopia di specialità gastronomiche ereditate da greci, latini, arabi, angioini, svevi e spagnoli. Alcune sono rozze quasi fino al raccapriccio, altre incredibilmente raffinate ma tutte miracolosamente sopravvissute uguali a loro stesse e ancora cucinate e consumate a cielo aperto. Questo grazie a un clima che spinge a vivere fuori casa per buona parte dell’anno, ma soprattutto al profondo attaccamento dei palermitani e di tutti i siciliani al loro antico, personale fast food, talmente amato da riuscire a sopravvivere all’invasione dell’hamburger-made-in-Usa. Basti pensare che in tutta la Sicilia i McDonald’s sono 12 contro i 23 della sola Milano. Insomma, se è vero che anche qui i bambini frignano per il panino globalizzato, è anche vero che i genitori li distraggono facilmente con un’arancina di riso. Da mangiare con gli occhi Per il primo incontro con lo street food palermitano vi consiglio di avventurarvi in uno dei quattro mercati storici della città. Il più celebrato è quello della Vucciria purtroppo in un momento di declino. In compenso Ballarò, il Capo e Borgo Vecchio sono in gran forma e offrono cibi a rotazione continua, i primi tre solo di giorno, l’ultimo fino a notte fonda. Nei mercati storici potete andarci anche solo per guardare e per sentire le “abbanniate” dei venditori delle quali non capirete una parola ma che potete ugualmente godervi perché sono delle vere composizioni melodiche dalla cadenza orientale. Potete ammirare i pesci in mostra sui banconi di marmo illuminati da lampade potenti anche sotto il sole di mezzogiorno per rendere ancora più brillante l’acqua con la quale sono furbescamente innaffiati di continuo. Oppure per farvi impressionare dagli spettacoli grandguignoleschi di quarti di bue, agnelli e capretti interi davanti alle macellerie. O per scoprire ortaggi di ogni sorta e dei quali potreste anche ignorare l’esistenza, o ancora per giocare alla lotteria e provare a vincere – con solo un euro – qualche chilo di pesce portato in giro su una carrozzina per bambini dal banditore Agostino. Ma la cosa migliore è andarci per mangiare, sempre che siate disposti ad affrontare le tipicità della cucina “vastasa” (leggi grezza) che fanno la felicità dei palermitani. Cominciate da Ballarò, che prima di essere una trasmissione televisiva, era (e fortunatamente continua a essere) il mercato dell’Albergheria sulla strada che collega corso Tukory a Casa Professa. In realtà è un libero territorio ignorato dallo Stato italiano e dalle sue norme. Tutto qui sembra confuso, caotico, anarchico. Le decine di attività affastellate le une sulla altre sembrano dover crollare da un momento all’altro su loro stesse, e invece funzionano con la precisione di un orologio svizzero. Perché tutto, dall’architettura mobile di tavolacci e cartoni, all’approvvigionamento delle derrate, ai prezzi è regolato dalle leggi proprie di questo enclave. A Ballarò si va per fare la spesa e per mangiare. Oltre alle carni crude, le macellerie vendono piedi e muso di maiale, costato, pancia e lingua di vitello. Tutto già lessato e da mangiare freddo con sale, pepe e limone. Anche molti dei fruttivendoli sono forniti di vistosi pentoloni. Ci tengono in caldo patate bollite da gustare anche subito con un po’ di sale gentilmente offerto, oppure carciofi, cipolle peperoni o fagiolini a seconda della stagione. Nel cuore di Ballarò, in piazza Carmine, si può degustare una fra le più singolari specialità di strada palermitane: il quarume servito da “Joè il quarumaro”. Sono trippe di vitello di tutti i tipi (ziniere, ventra, centopelle, matruzza) cotte in brodo con cipolle, carote, sedano, prezzemolo e sale. Vengono servite asciutte dentro ai “coppi”, coni di carta pesante (condite con sale e pepe), oppure in brodo in un piatto di plastica. Il quarume è venduto anche a Borgo Vecchio, ma solo a partire dal tardo pomeriggio e fino a notte fonda. Sempre in questo mercato a speciale vocazione notturna, ci si imbatte nel gigante buono Michele, un “mangiafuoco” cordialissimo che ha piazzato una grande griglia fra un pescivendolo e un macellaio (anch’essi aperti tutta la notte). Gli avventori comprano la carne o il pesce e li consegnano a Michele che li arrostisce per un prezzo modico a regola d’arte. Golosità degli ambulanti Nelle friggitorie si trovano le golosità più impensabili: “ficatu di setti cannola” (zucca gialla in agrodolce), calamari fritti, sarde a beccafico (al forno, farcite di pangrattato, pecorino, uvetta, pinoli e aromatizzate con alloro o fette di arancia), pesce marinato, melanzane fritte, impanate o “a quaglia” (in umido)…   … “trigghiola” (minutaglia di triglie fritte), cardi e cavolfiori fritti in pastella, carciofi arrostiti, cazzilli (crocchette di patate)…   …panelle (le celebri frittelle ottenute da una purea densa di farina di ceci e prezzemolo) e raschiature (il residuo della cottura della purea di ceci per le panelle che rimane incrostato nella pentola). Viene raschiato, composto in forma di polpetta e fritto. Le friggitorie sono ambulanti, su banconi mobili attrezzati, fisse dentro a chioschi oppure in negozi (alcuni dei quali ormai storici). Sono moltissime e sparse per tutto il centro e le borgate. Potete divertirvi a scoprirle da soli o andare a colpo sicuro da Minà in via dei Pannieri alla Vucciria; da Ninu ‘u ballerinu, in corso Finocchiaro Aprile; al chiosco della piazza di Ballarò… …da Franco, all’angolo tra corso Vittorio Emanuele e piazza Marina; all’Antica Friggioria in via Palmieri accanto alla stazione Centrale (questa è specializzata nel panino con il pesce fritto). Una citazione a parte la merita l’antica focacceria San Francesco con il suo magnifico arredo liberty originale. Offre street food a una clientela un po’ meno “da strada”. Arabi e siciliani: Commistioni culinarie Il “pani ca’ meusa” è di origine araba, consiste in una focaccia soffice (vastedda) ricoperta di sesamo e farcita con milza di vitello, ritagli di polmone, esofago e fegato bianco. Il tutto è bollito e ripassato nello strutto. Il panino è proposto in versione “schietta” con sale e limone o “maritata” con scaglie di caciocavallo oppure ricotta. È offerto dai “vastiddari” (venditori di panini per strada) ambulanti o a postazione fissa. Il più noto vastiddaro ambulante della città è Rocky Basile detto Rocky, con postazione variabile: di giorno alla Vucciria di notte in corso Vittorio Emanuele, davanti al ristorante “La casa del brodo”. Fra le postazioni fisse, vi segnalo il Baffone a Porta Carbone in via Cala 48; Franco, il vastiddaro di Ballarò; per ultimi i vastiddari della Vucciria, del Capo e di Borgo Vecchio… Mi fermo qui, ma la lista sarebbe veramente lunga. In ambito di gusti forti, non dimenticate le frittole, parti grasse di maiale fritte da mangiare al volo, ben pepate su un quadrato di carta paglia. Sono vendute da ambulanti in bicicletta o appiedati che si fanno notare per un cesto coperto con un panno candido. Dagli spiedini, segnali di fumo bianco Altro appuntamento da non mancare è quello con le “stigghiole”, spiedini alla brace fatti con budella di agnello o vitello o maiale. Si individuano soprattutto seguendo i visibilissimi segnali di fumo bianco provenienti da bracieri, ma se preferite appuntarvi qualche indirizzo vi segnalo Franco alla Cala, di fronte al mercato ittico; il braciere di Pizza Ulivella (in attività fino alle 4 del mattino) e poi quelli della Kalsa, di via Ernesto Basile (vicino all’Università) e il braciere sotto le mura del carcere dell’Ucciardone. Se invece avete voglia di pesce cercate di adocchiare il pentolone di un polparo che vi offrirà polpo bollito da mangiare subito con un po’ di limone. Li trovate alla Vucciria, sul lungomare del Foro italico e lungo via Messina Marine. Ostriche, cozze, vongole, fasolari, granchi e altri frutti di mare sono offerti fino all’alba dal biondissimo Giorgio al Borgo Vecchio. Tentati da pizze alte e arancine di riso giganti Meno “vastase” sono le preparazioni da rosticceria che ormai hanno preso la via dei bar del centro per il break di mezzogiorno di professionisti e bancari. Anzitutto le notissime arancine di riso (a Palermo declinate al femminile, mentre a Catania sono detti “gli arancini”, al maschile) ripiene di ragù o al burro, con prosciutto e besciamella, poi le “ravazzate” (focaccia di pan brioche ripiena di uno stufato di carne e piselli), gli “spiedini” (pan carrè con prosciutto e besciamella impanato e fritto), i calzoni fritti ripieni di mozzarella e prosciutto e quelli al forno variamente ripieni. Ubiquitario, perché lo trovate nelle rosticcerie, nei forni e in piccoli banconi mobili qua e là per la città, è lo “sfincione”, una pizza alta e morbidissima condita con pomodoro, cipolla, acciughe salate, pecorino e pangrattato. Di moda sono diventate ultimamente le arancine “Bomba” del bar Touring in via Lincoln, di fronte all’Orto Botanico. Ben 300 grammi di arancine tradizionali o varianti innovative alle melanzane, agli spinaci eccetera. Proprio davanti al Touring (ma anche davanti al vastiddaro di Porta Carbone) si può toccare con mano cosa sia ancora oggi la cucina di strada a Palermo. Andateci verso le nove di un sabato sera. Vedrete una fila di macchine trasformate in tavole da banchetto, con i tettucci coperti di vassoi di cartone colmi di ogni bendiddio e la gente che mangia fuori, tutta assieme, bambini compresi, come in una lunga tavolata. E nonostante qui il clima sia sempre mite in inverno, portatevi un giacca per mangiare all’aperto.

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