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La Pesca Friul – Bisiaca. Un Prodotto Sincero

pesca friul bisiaca

di Giuditta Lagonigro.

Una passeggiata al mercato della frutta, in tranquillità e con un pizzico di attenzione, potrebbe essere un interessante spunto per approfondire la conoscenza su provenienza, caratteristiche organolettiche e peculiarità dei prodotti esposti.
La mia curiosità è stata sollecitata confrontando, per l’appunto, merce di varia origine. Che differenza c’è tra i peperoni olandesi e quelli Italiani o tra le ciliegie della Slovenia, della Turchia e della Puglia, che trovo quasi contemporaneamente sui banchi o ancora tra le pesche dell’Emilia Romagna rispetto a quelle del Friuli Venezia Giulia?
Sicuramente il “terreno” con le sue proprietà e caratteristiche, incide sui profumi e sui sapori, per non parlare del tipo di coltivazione che gli addetti ai lavori applicano.
Per quanto possibile ho cercato di capirne un po’ di più, soffermandomi su un prodotto per me a km 0: la pesca friul-bisiaca.

In effetti la definizione di pesca friul-bisiaca è inesistente a livello di mercato ma è adatta a indicare il percorso che ho seguito per scoprire una zona del Friuli Venezia Giulia, particolarmente vocata alla produzione del gustoso frutto.
Il mio punto di partenza è stato Fiumicello (Ud), piccolo paese della bassa friulana, pianura meridionale del Friuli a sud della provincia di Udine che si trova però a poca distanza dalla Bisiacaria ,territorio che comprende la zona che si estende dal Carso Monfalconese fino al basso corso dell’Isonzo.
Bisiacaria , dal latino bis aquae-terra tra due fiumi, l’Isonzo ed il Timavo, misterioso corso d’acqua che nasce in Croazia e dopo qualche decina di km si tuffa nelle profondità del Carso , per riapparire con tre sorgenti, dopo un lungo percorso sotterraneo, nel comune di san Giovanni di Duino, a poca distanza da Monfalcone.
Nonostante che il territorio appaia morfologicamente complesso per i confini che delimitano le varie zone della regione, si passa dalla provincia di Udine a quella di Gorizia nel giro di pochissimi chilometri, lo stesso dicasi per Trieste (solo Pordenone è più distante).
Fiumicello, il suo nome deriva dal latino Flumen Thiel ,il nome del fiume che l’attraversa, è un paese agricolo già presente ai tempi della colonizzazione romana di Aquileia, poi passato sotto vari domini, fino al suo ritorno all’Italia alla fine della prima guerra mondiale, è conosciuto e visitato soprattutto per le sue produzioni ortofrutticole e floreali.
Ogni anno, in luglio, a Fiumicello, Città della Frutta, si svolge la Mostra regionale delle pesche. (link) durante la quale le pesche più belle vengono esposte e premiate, come in un concorso di bellezza.

L’eccellenza delle pesche nella zona, si deve a Pietro Martinis, studioso della colture delle pesche nell’ Isontino, il quale, intorno alla prima metà del 900 si dedicò alla sperimentazione del frutto, raggiungendo gli ottimi risultati di cui ancora oggi si può beneficiare. Sono circa 79 gli ettari di pescheti, in parte innestata su portainnesto, in parte su piede franco. Nella sola Fiumicello, sono state individuate quasi un centinaio di varietà di pesche, tra le più coltivate ricordiamo le Spring –Lady (le prime a raggiungere la maturazione), le Flavor-Crest, Royal –Glory e le Elegant Lady.
Per saperne di più mi sono rivolta ad un amico della Compagnia, Fabio Brumat, chiedendogli di farmi visitare il suo pescheto. Ecco spiegato il mio veloce spostamento dalla provincia di Udine alla provincia di Gorizia, dopo 6 km circa sono in Bisiacaria e precisamente a Turriaco. La nostra guida ci aspetta in un bel pomeriggio di prima estate, e ci introduce immediatamente nel verdeggiante frutteto, con alberi pieni di coloratissime drupe.

Fabio ci dice che nel basso Isontino c’è una superficie di circa 80 ettari destinata a coltivazioni di pesche. L’albero del pesco comincia a produrre dopo due anni ma è preferibile sempre togliere i primi frutti e aspettare che l’alberello si fortifichi. Il suo ciclo vitale è molto lungo, si può arrivare anche ai 35 anni, per alcune varietà.
Sicuramente, ci racconta Fabio, quando il portainnesto era autoctono l’albero “si sistemava meglio ”-oggi si adoperano portainnesti di altre zone.- L’innesto è un procedimento con il quale, attraverso due diversi tipi di incisione a marza o a gemma, con ulteriori tipologie di tagli, si “uniscono” le parti di due piante diverse, per dare vita ad un’unica pianta, che possa mantenere intatte le sue caratteristiche.
E’ definita “Franco” la pianta selvatica nata dal seme che può essere comunque moltiplicata per via vegetativa.
Con mia sorpresa, Fabio mi mostra un albero che non riconosco quale pesco, in effetti è un pesco selvatico che ha i frutti molto somiglianti al mallo delle mandorle fresche, quello che serviva per gli innesti.

Torniamo alla cura degli alberi. Una minima parte di concime è necessaria poichè la pianta impoverisce la terra. I trattamenti invernali sono necessari per combattere le malattie funginee quali la bolla, i cancri rameali, oidio, monilia, corineo… Durante la fioritura si effettuano trattamenti contro i parassiti animali come la mosca, e bisogna sempre tener d’occhio la cocciniglia, le afidi, gli acari… Fabio tiene a precisare che gli interventi sono mirati, eseguiti sempre nel rispetto dell’ambiente e mai prima della raccolta. Queste buone notizie confortano i consumatori.

L’albero del pesco va seguito anche nella potatura che avviene quando la pianta è vegetativamente ferma, cioè durante l’ inverno, periodo in cui si tagliano anche rami apparentemente sani ma inutili per la produzione… i rami succhioni.
Interessante è anche il diradamento. In pratica le drupe non possono crescere vicine perché non aumenterebbe il loro volume, quindi più d’una viene sacrificata per dare la possibilità alle altre di raggiungere una buona pezzatura. Bisogna contenere l’abbondante impollinazione dei fiori!

A proposito dei fiori di pesco, ricordati in una famosissima canzone, a parte la loro bellezza e il loro delicato profumo, nella cultura cinese sono associati all’immortalità e in alcune zone sono donati agli sposi in augurio di eterno amore. Tornando alla saporita frutta, siamo in periodo di piena raccolta, rigorosamente manuale, seguendo la maturazione di ogni drupa. Si comincia dai rami più alti. Per i grandi quantitativi, le pesche vengono prima sistemate in cassoni, poi lavate ed asciugate con un soffio d’aria, immagazzinate e conservate in frigo. Noi abbiamo avuto il privilegio di cogliere dall’albero una pesca profumata, succosa e delicata ed una nettarina, dalla polpa più asciutta e più resistente.

Se volete piantare nel vostro giardino, un alberello di pesco, aspettate novembre si irrobustirà fino alla primavera, oppure fatelo a marzo.
Le pesche hanno un basso valore energetico: 28 calorie per 100g; oltre che essere gustate al naturale possono essere utilizzate per dolci, in macedonia, “marinate” in un buon bicchiere di vino, bianco per le pesche a pasta gialla, rosso per le pesche a pasta bianca. Ai più coraggiosi consigliamo la Piarsolada, dessert tipico di Fiumicello con il quale si recuperano le pesche molto mature. Tagliate le pesche a pezzi, aggiungete un po’ di zucchero, succo di limone, vino e grappa. Fate insaporire in frigo per qualche ora e, mi raccomando, dopo averne mangiato non mettetevi al volante!

Il nostro breve ma interessante viaggio in un pescheto finisce qui. Si potrà obiettare che la passione e l’impegno accomunano tutti gli agricoltori, a qualsiasi latitudine. E’ vero, com’è vero che mai, come in questo momento, urge una presa di coscienza da parte dei consumatori per riscoprire, difendere e proteggere quanto la Natura ci ha generosamente donato, in tutta la Terra ma in particolar modo ciò che è più vicino a noi, avendo cura di non disperdere un patrimonio irripetibile.

 

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