Site icon Giornale del cibo

La Fame Aguzza L’ingegno

la-fame-aguzza-l-ingenio

Titolo: La fame aguzza l’ingegno
Autore: Andrea Perin
Casa Editrice: Elèuthera, Milano
Anno: 2005
Pagine: 128
Brutta bestia la fame. Vendicativa e trasformista. Se una società come la nostra riesce a lasciarsela alle spalle, ecco che torna a terrorizzare in altre vesti, che non sono più quelle cenciose della miseria, ma quelle griffate dell’opulenza. In questo caso si chiama dieta, ma sempre fame è, anche se non è più imposta dalla povertà ma è ordinata dal medico. Sembra quasi che l’uomo sia condannato a convivere con la fame qualunque sia la sua condizione economica e a lottarci, o cercando il cibo o cercando di resistergli.
Perciò stupisce che a una popolazione italiana a rischio di sovrappeso e con il colesterolo alto venga proposto un libro che parla della fame “prima maniera”, quella da povertà diffusa nel nostro territorio nazionale fino al boom economico degli anni sessanta.
Ma come? Il nostro problema è riuscire a resistere al richiamo di un salamino alla cacciatora tutte le volte che apriamo il frigo e il signor Andrea Perin ci vuole insegnare a cucinare le bucce di piselli? Perché proprio di questo tratta il piccolo volume edito da Elèuthera “La fame aguzza l’ingegno”: delle geniali risposte che la sorprendente creatività umana ha saputo dare a quella brutta bestia della fame, documentate da cinquanta ricette provenienti da un passato di stenti rigorosamente italiani. La scelta del periodo storico dal quale trarre le ricette di cucina povera è caduta sulla Grande Guerra. Ed è stata in certo senso una scelta obbligata, non perché la cucina povera non esistesse in altri periodi più remoti. Anzi! Ai nostri antenati poteva mancare di tutto ma non certo la fame. Ma per il semplice fatto che la cucina povera è stata sempre ignorata da chi scriveva di gastronomia. Nessuno, insomma, si è mai preso la briga di relazionare per iscritto come la casalinga di Voghera del Medio Evo o della Bella Epoque riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena.
I ricettari, beninteso, ci sono sempre stati. Hanno attraversato tutti i tempi fin dall’Epoca Romana e sono giunti fino a noi, ma a testimoniare esclusivamente come fosse la cucina dei ricchi. Tutto questo fino al secondo decennio del Novecento, quando sotto il termine di “ricettari di Guerra” si trovano pubblicazioni edite tra il 1916 e il periodo del dopoguerra.Questi libri erano una sorta di manuale di autodifesa dalla fame con la proposta di ricette di cottura rapida (per risparmiare combustibile) e realizzate con ingredienti super-economici e tuttavia gradevoli oltre che nutrienti. Forse queste ricette non erano rivolte tanto ai poveri, che per la maggior parte erano ancora analfabeti, quanto a una a borghesia male in arnese per le restrizioni della guerra. Ma in ogni caso era la prima volta che piatti pensati più nell’ottica del risparmio che in quella del gusto avevano l’onore di essere consegnati alla storia. Lo stesso Pellegrino Artusi, autore del primo grande libro di cucina italiana, scriveva per i ricchi e lo dichiara senza mezzi termini (e con discreto cinismo) nel suo libro: “S’intende bene che io in questo scritto parlo alle classi agiate, che i diseredati dalla fortuna sono costretti, loro malgrado, fare di necessità virtù e consolarsi riflettendo che la vita attiva e frugale contribuisce alla robustezza del corpo e alla conservazione della salute”.

Le cinquanta ricette che Andrea Perin ha tratto da cinque ricettari sono state tutte provate personalmente dall’autore e scelte in base al giudizio di una giuria di amici chiamati a dare l’imprimatur alle più riuscite dopo un regolamentare assaggio. Fra le più povere e fantasiose, la zuppa di farina abbrustolita, il riso con i gambi di carciofo, la frittata senza uova, il budino di zucca. E non mancano i piatti dei giorni di festa, come il pollo all’italiana e l’anatra arrosto, trattati con il rispetto che si deve agli eventi eccezionali. A tutte le ricette è affidato il compito di restituire visibilità alla cucina povera dei nostri avi e permetterle finalmente l’ingresso nella storia della gastronomia. Ma secondo me la loro missione si spinge oltre. Affrontando l’argomento della fame da un punto di vista opposto a quello attuale, questo libro restituisce dignità al cibo, che non è più visto né come puro veicolo di pericolose calorie, né come oggetto di un consumismo drogastico. In queste pagine torna a essere risorsa primaria per il corpo, esercizio creativo per la mente, importantissima testimonianza storica. E viene restituita dignità anche alla fame, perché è quella decorosa dei poveri, non quella volgare delle società sazie e disperate.

 

di Martino Ragusa

Exit mobile version