Emiliana da generazioni, per me la pasta fatta in casa, sopratutto quella ripiena, è una coccola speciale, un regalo, un’occasione per festeggiare e stare in compagnia. Tagliolini, garganelli, tagliatelle, pappardelle, tortellini e tortelli farciti, sono cresciuta in una famiglia in cui la pasta si faceva rigorosamente a mano con farina e uova. Ma oltre a quella classica tipica della mia regione, mi piace provare anche formati diversi, di altre tradizioni. Come per esempio i Malloreddus, degli
gnocchetti sardi a base di grano duro, acqua e zafferano, molto simili ai
capunti o cavatelli, di cui sono parenti stretti. Entrambi infatti appartengono alla famiglia delle paste fresche “trascinate” così denominate per il gesto che si compie nel momento in cui si confezionano, trascinando sulla spianatoia un pezzetto di pasta per formare, facendo pressione al centro con la punta delle dita, l’incavatura interna caratteristica, ideale per raccogliere il sugo, da cui i Cavatelli prendono il nome.
Il
termine Malloreddus invece, diminutivo di malloru dal dialetto sardo “toro”, significa “vitellini” e farebbe riferimento al formato panciuto di questa pasta, simile nell'immaginario di un tempo ad un piccolo vitello, che le massaie usavano incavare e rigare con un attrezzo di giunco (Cucina regionale. 630 piatti della tradizione, Ed. Slow Food 2010).
Vediamo come preparare i
malloreddus nella ricetta con lo zafferano, i pomodorini, i porri e i piselli.