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magnum.3
Questo è un piatto inventato da Memmena (mio Padre, chissà perché, chiamava così la sua dolcissima sposa Annagrazia) negli anni dell’immediato dopo guerra, quando soldi ce n’erano molto pochi e la fortuna era decisamente cieca, mentre la jella ci vedeva benissimo.Non era più il tempo in cui Mamma portava a casa un chilo di bucce di fave rimediato a prezzo da borsa nera – i tedeschi ed i loro amici raspavano tutto il non molto cibo che circolava a Roma – per poi lessarle e portarle a tavola, col cuore piccolo come una nocciolina. E noi, quei baccelli mollicci ce li mangiavamo così e dicevamo, con aria da gran buongustai, che “sembravano proprio fagiolini”… Però, anche se la guerra era ormai un ricordo, grazie a Dio, per quanto ancora terrificante ed angoscioso, non è che ci fosse molto da scialacquare. Ed allora Memmena, il cui marito era appena ricomparso dal nulla, da quel nulla da cui lei aveva pensato di non vederlo tornare mai più, tentava di dar da mangiare a lui ed ai suoi due bambini qualcosa di saporito, malgrado gli ingredienti fossero inevitabilmente pochi e poveri.Siccome tra le sue notevolissime qualità, Anna poteva far conto anche su un istinto naturale da grande cuoca, il gioco le riusciva abbastanza bene. I pomidoro, a quei tempi, costavano ancora cifre accettabili, qualche uovo lo rimediava da donne di campagna che passavano di casa in casa offrendo la propria produzione – qualche uovo, un po’ di verdura, qualche litro d’olio – a poche ma impagabili lire, ed il pane grattugiato era quello avanzato dai giorni precedenti, religiosamente conservato per un riciclo preziosissimo. A quei tempi, in un ipotetico “sacchetto dell’ umido” da destinare ad una futura raccolta differenziata, di resti utili ce ne sarebbero rimasti molto, ma molto pochi.Indulgendo ad un dolce ricordo, vi offro questa ricetta, nella quale l’ingrediente più prezioso è l’amore per mia Mamma. L’ho ricordato e rifatto qualche giorno fa, questo piatto. Temevo che mi avrebbe deluso, come spesso accade per le cose gustate in “un altro tempo, un altro luogo”, per via di motivi spesso irrazionali. Ed invece il mio palato l’ha riscoperto gustosissimo, proprio come allora. Spero che possa piacervi tanto quanto a me. E cioè, moltissimo.
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Preparazione 2 ore
Tempo totale 2 ore
Portata Primi asciutti
Cucina Italia
Porzioni 4 persone

Ingredienti
  

Istruzioni
 

  • Sbuccio l’aglio e lo trito molto minuto. Meglio ancora, lo passo con l’apparecchietto apposito.
  • Tosto il pangrattato dopo avervi mischiato l’aglio, in una padella unta con un filo d’olio.
  • Mentre il pane rosola, taglio ai pomodori una calotta superiore, ne estraggo succo e polpa con un cucchiaino, possibilmente a bordi taglienti, aiutandomi eventualmente con un coltello sottile e molto tagliente. E’ importante che i pomidoro non si rompano, ciò è possibile, soprattutto attorno al bordo, se non si opera con molta delicatezza.
  • Raccolgo polpa e succo in un pentolino capace o nell’apposito bicchierone per minipimer e frullo sino a d ottenere una sorta di passata omogenea. Non importa, se una parte del contenuto dei pomidoro appare un po’ duretto e meno colorato della polpa vera e propria: sotto l’azione del frullino, si omogeneizza anche quello.
  • In una pentola, verso la passata ed aggiungo il pangrattato. Dovrà risultare una specie di pasta densa, ma non troppo. Se vi sembrasse troppo liquida aumentate la quantità di pangrattato, sempre previa tostatura.
  • Salo, pepo ed aggiungo la noce moscata. Non posso quantificarne la dose: bisogna procedere per tentativi, regolandosi sul gusto.
  • Divido i tuorli delle uova dagli albumi. Sbatto un poco, ma solo un poco, i primi, con un pizzico di sale. Metto le chiare dentro un recipiente adatto e le monto a neve ferma con le fruste, dopo averle salate con parsimonia.
  • Aggiungo ambedue alla passata: prima i tuorli, curando di mischiare bene con un paio di colpi di fruste a bassa velocità; poi le chiare con l’aiuto di un mestolo di legno, incorporandole dal basso verso l’alto, sino ad ottenere un insieme liscio ed omogeneo.
  • Con l’aiuto di un cucchiaino, riempio i pomodori con il ripieno che ho preparato, quasi all’orlo.
  • Dispongo i pomidoro su una teglia abbastanza grande (preferibilmente quella rettangolare del forno, coperta con un foglio di carta da forno unta con un poco d’olio. Nel frattempo, riscaldo il forno (io ne ho uno ventilato) a duecento gradi.
  • Infilo la teglia e faccio cuocere per una ventina di minuti circa, controllando la cottura attraverso il vetro, sino a quando la superficie dei pomodori si gonfia un poco e si dora.
  • Si possono mangiare caldi o freddi. Probabilmente, freddi sono ancora più buoni. Una possibile variante è quella di aggiungere al ripieno circa un etto di parmigiano; in alternativa si può unire al ripieno un etto o poco più di fontina tagliata a dadini. In questo caso, però, è decisamente meglio mangiare i pomidoro caldi.