Pane carasau sardo

Alla scoperta del pane carasau sardo e dell’antico rituale di preparazione

Alessia Rossi
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    In sardo c’è un proverbio che recita “pane et casu e binu a rasu”, ossia “pane, formaggio e bicchiere pieno”. Oltre a indicare la perfetta ricetta per la felicità in cucina, in quelle sette parole è contenuto un mondo, quello della gastronomia sarda, che apre le porte alla semplicità dei sapori e a quelle tradizioni povere, tramandate nel tempo. Se del Pecorino Sardo – gioiello caseario dell’isola apprezzato in tutto il mondo – vi abbiamo già parlato, oggi ci occuperemo di un’altra specialità, che testimonia abitudini consolidate nei secoli, come quello dell’arte della panificazione: stiamo parlando del pane carasau sardo! Per me che la Sardegna è un po’ come una seconda casa, non c’è estate senza antipasti e cene a base di queste sfoglie di pane sottilissime e “scrocchiarelle”. Partiamo, dunque, alla volta di quest’isola meravigliosa e del suo entroterra brullo e selvaggio, per scoprire questo antico pane, la sua storia e i suoi mille usi in cucina.

    All’origine del nome: la storia del pane carasau

    Pane carasau pecorino e salsiccia

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    Pane carasau, pane carasatu, pane carasadu, pane fine, pane ‘e fresa, pane fattu in fresa: mille nomi per la stessa bontà! Che si tratti di una tipologia di pane, insomma, ci è chiaro: ma cosa contraddistingue il pane carasau, differenziandolo dagli altri prodotti da forno italiani? Per scoprirlo, ci facciamo aiutare dall’origine del nome: “carasau” deriva dal verbo sardo “carasare”, che significa “tostare”. Questo pane – generalmente, in forme di dischi estremamente sottili – è biscottato, ossia ha la particolarità di subire una doppia cottura, che gli conferisce una croccantezza unica e una lunghissima conservabilità. Infatti, grazie alla carasadura –  fase in cui il pane viene rimesso in forno per una seconda volta – si elimina gran parte dell’acqua contenuta e non si crea mollica, ottenendo un prodotto secco e croccante: così, la shelf life si allunga fino alla durata di 180 giorni.

    Tutti questi elementi facevano – e fanno – del pane carasau un prodotto nutriente – l’apporto energetico del pane è elevato, per via dell’alta concentrazione di carboidrati – e la grande capacità conservativa lo rendeva perfetto per essere consumato dai pastori sardi durante i lunghi periodi di transumanza. Così, le donne lo preparavano per i mariti che, grazie alla sua particolare forma e consistenza, lo usavano – letteralmente – come piatto, mangiandolo via via insieme agli altri ingredienti, soprattutto formaggi. Oppure, poteva essere ammorbidito nell’acqua o nel brodo e accompagnato da un pezzo di carne.

    Pane carasau, ingredienti semplici che “suonano” al palato

    Pane carasau ingredienti

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    È un pane antico, quindi, e profondamente legato alla tradizione della pastorizia in Sardegna, ma sembra che sia addirittura risalente all’epoca dell’età del bronzo, come testimoniano alcuni reperti archeologici di epoca nuragica. In pratica, consiste in sfoglie croccanti di pane senza mollica, dalla forma discoidale e dal diametro compreso tra i 15 e i 40 centimetri, e con un colore che va dal paglierino al dorato. Gli ingredienti di base sono farine e semole di grano duro, acqua, lievito e sale, di cui gli ultimi due sono stati ovviamente introdotti a metà del Novecento, perché la ricetta più antica prevedeva soltanto un impasto di farina e acqua.

    Questa preparazione tipica della zona della Barbagia si è poi diffusa in tutta l’isola, con varianti che cambiano leggermente per forma: in alcune zone, le dimensioni sono più contenute; in Ogliastra, ad esempio, c’è il pistocu, che si può trovare in forma rettangolare o anche ovoidale allungata e che ha pasta più spessa e grossa, con tracce anche di mollica. In “continente”, è arrivato col nome di “carta da musica”, proprio per via della sua croccantezza che “suonava” nella bocca, come una musica. Ma nessuno, oggi, lo chiama così…

    Sa Cotta: l’antico metodo di preparazione del pane carasau sardo 

    Pane carasau in forno

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    La ricchezza di questo pane sta soprattutto nell’antico metodo di preparazione, considerata un tempo un vero e proprio rito familiare. L’intera lavorazione – che di solito iniziava la sera precedente, per poi effettuare la cottura il mattino – richiedeva la presenza di tre donne, che potevano essere parenti ma anche amiche: ci si aiutava a vicenda, mentre ci si scambiavano racconti, aneddoti e pettegolezzi del paese. Questo a dimostrazione di quanto il cibo possa essere uno strumento di condivisione – di saperi e di storie – importantissimo

    In generale, alla più esperta veniva affidata la parte più delicata della panificazione, ossia quella della cottura finale, ma poteva capitare che si chiedesse a una professionista a parte – la s’iffurradòra – che veniva pagata per il lavoro fatto.

    Il pane, insomma, era sacro e ogni gesto della lavorazione – che prende il nome di sa cotta – era accompagnato da preghiere, riti e gesti scaramantici, insieme a una cura incredibile per ognuno dei passaggi.

    1. S’inthurta: la prima fase, ossia quella della stesura della sfoglia, detta anche “cominzare su pane”. Al sorgere del sole, le donne erano solite impastare la farina e la semola di grano duro insieme all’acqua leggermente tiepida, in cui era stato precedentemente sciolto il lievito.
    2. Cariare (o hariare): l’impasto veniva poi lavorato energicamente sopra il tavolo (mesa) con il mattarello di legno o anche con il palmo delle mani, aggiungendo l’acqua tiepida un po’ alla volta. Si continuava così, finché la pasta non otteneva la giusta elasticità e morbidezza, che poi veniva suddivisa (orire, festare) in tante sfere schiacciate. Poi, le donne stendevano la singola sfera di pasta (sa festa) per avere una sfoglia sottilissima e circolare (sa tunda).
    3. Pesare: s’intende la fase del riposo; infatti, le sfoglie venivano poi sovrapposte – facendo attenzione a tenerle separate l’una dall’altra con panni di lana o di cotone e lino – e lasciate riposare per alcune ore.
    4. Illadare: trascorso il tempo, una volta che la pasta è lievitata, la si lavora ancora per renderla il più sottile possibile.
    5. Cochere: è il momento della prima cottura. I dischi sono infornati e vengono cotti a temperature molto alte: le si vedranno gonfiarsi molto velocemente.
    6. Fresare (o calpire): quando la tunda appare gonfia, bisogna sfornarla e dividerla in due dischi, facendo scorrere un coltello lungo i margini della circonferenza e separando così le due facce. Questa è una fase molto delicata: infatti, l’operazione deve essere svolta il più velocemente possibile, per evitare che la pasta si afflosci a causa dell’aria.
    7. Carasare: siamo al passaggio finale, questo che contraddistingue il pane carasau. Come abbiamo visto, i dischi vengono rimessi in forno per una seconda volta, per seccarli e abbrustolirli. La durata di questa cottura è variabile, a seconda dei gusti e delle zone di produzione, ma comunque il pane doveva ottenere l’inconfondibile colore dorato, la consistenza leggerissima e “scrocchiarella” e i puntini bruni in superficie. Una volta sfornata, ciascuna sfoglia può lasciata così, rotonda, oppure piegata in due, a mezzaluna o anche in quattro, a spicchio; le sfoglie sono poi impilate e, una volta raffreddate, impacchettate. 

    Inoltre, è interessante notare che una parte del pane si lasciava appositamente molle e non tostata per la seconda: veniva chiamato pane lentu, e veniva consumata direttamente in giornata, oppure regalate alle vicine di casa o a chi entrasse in casa durante la cottura.

    Pane carasau: guttiau o frattau? Le due preparazioni più famose

    Sono due le varianti più famose della preparazione del pane carasau: il pane guttiau e il pane frattau. Vediamo quali sono le differenze.

    Il pane guttiau

    Pane guttiau

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    Questa è la più famosa – e golosa – variante del pane carasau, tant’è che adesso si trova perfino confezionata in sacchetti e tagliato in svariati formati, da consumare a mo’ di snack. Ma in cosa consiste il pane guttiau? Questo termine in sardo logudorese significa “gocciolato”, ed è una preparazione che si ottiene grazie all’aggiunta di olio di oliva sulla superficie della sfoglia, dopo la prima cottura. A quel punto, si ripassa in forno per renderla ancora più croccante e, una volta terminata anche la seconda cottura, si cosparge il tutto di sale quand’è ancora caldo… Vi assicuro che queste sfogliatine sono così buone che una tira l’altra… provatele sulla spiaggia, al tramonto, accompagnandole con un po’ di pecorino e salsiccia sarda, e sentirete che bontà!

    Il pane Frattau

    Il pane frattau o fratau – o anche detto su pane vrattàu – è una preparazione più complessa rispetto a quella del pane guttiau. Infatti, semplificando, potremmo dire che le sfoglie sono inzuppate in acqua o in brodo e poi usate per creare gli strati di una sorta di lasagnetta al forno. Era una preparazione pensata anche per non sprecare il pane avanzato e bandire così ogni spreco. In che modo? Innanzitutto, andiamo all’origine del nome: “frattare” significa sminuzzare, grattugiare e, quindi, pane frattau significa “pane sbriciolato”. Questo perché, all’epoca, i pastori, di ritorno dal pascolo, utilizzavano i pezzetti di pane rimasto per preparare un piatto saporito e nutriente (soltanto in tempi moderni si cominciano a usare le sfoglie intere). In pratica, il pane carasau viene immerso per un tempo brevissimo in acqua bollente salata, poi viene disposto sul piatto, alternando strati di pomodoro e pecorino grattugiato e altra sfoglia imbevuta, fino a terminare con l’aggiunta di un uovo sopra. Era abitudine consumarlo arrotolando le sfoglie su loro stesse raccogliendo il sugoso condimento e da portare direttamente in bocca, con le mani!

    Come usare il pane carasau sardo in cucina

    Lasagne pane carasau

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    Come abbiamo visto, un tempo la sfoglia di questo pane sottilissimo serviva più che altro come piatto su cui appoggiare le pietanze, da mangiare poi come accompagnamento. Ma oggi come si può utilizzare il pane carasau in cucina? Oltre che nella saporita ricetta del pane frattau, è possibile utilizzarlo in tantissime preparazioni, dagli antipasti ai primi, fino ai dolci. Avete mai pensato di iniziare il vostro pranzo con una lasagnetta fredda, semplice semplice, di pane carasau, pomodorini lasciati marinare in olio, sale e basilico, con l’aggiunta di qualche cappero? Oppure, potete provare una vera e propria lasagna di pane al forno, condita come preferite, ma noi consigliamo quella con ragù e formaggio pecorino. Per un tocco in più, aggiungetelo spezzettato alle vostre insalate, mentre per un dolce goloso, provate una meravigliosa millefoglie dolce con crema pasticcera e frutti di bosco: vi basterà spolverizzare il pane carasau con zucchero a velo e lasciarlo caramellare per qualche minuto e vedrete che bontà!

     

    Così, siamo giunti alla fine del nostro viaggio alla scoperta del pane carasau, che ha una storia antica come la sua terra. Voi lo conoscevate? Avete mai provato il pane guttiau o il pane frattau?

    È nata vicino a Bologna, ma dopo l'università si è trasferita a Torino per due anni, dove ha frequentato la Scuola Holden. Adesso è tornata a casa e lavora come ghost e web writer. Non ha molta pazienza in cucina, a parte per i dolci, che adora preparare insieme alla madre: ciambelle, plumcake e torte della nonna non hanno segreti per lei. Sta imparando a tirare la sfoglia come una vera azdora (o almeno, ci prova).

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