La salute nell’orto: perché l’orticoltura terapeutica fa bene

Angela Caporale
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    Lavorare a contatto con la natura, seguire il ciclo della vita delle piante all’interno di un orto, coltivare erbe officinali oppure le proprie verdure preferite. Queste sono solo alcune delle attività incluse in quella che comunemente viene chiamata “ortoterapia”, ma che più precisamente è definita come orticoltura terapeutica. Non si tratta, però, solo di occuparsi di un giardino oppure di un orto, ma di un vero e proprio percorso con finalità terapeutiche guidato da una figura esperta e formata che possa seguire i partecipanti. I benefici sono significativi: un recente studio realizzato dall’Università di Pisa ha osservato come l’ortoterapia abbia ridotto il livello di stress in un gruppo di pazienti con anoressia nervosa di tipo restrittivo. 

    Per conoscere meglio l’orticoltura terapeutica, allora, abbiamo intervistato Monica Mandotti, infermiera di formazione e operatrice di un Centro Psico Sociale a Milano che conduce gruppi di ortoterapia con persone che soffrono di disagio mentale.

    Ortoterapia: lo studio dell’Università di Pisa sugli effetti per stress e autostima

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    Gli esperti del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’Università di Pisa, insieme con gli Istituti di Fisiologia clinica e di Scienza e tecnologie dell’Informazione A. Faedo del Cnr di Pisa, alla Fondazione Irccs Stella Maris e alla Clinica riabilitativa dell’infanzia e dell’adolescenza Gli orti di Ada di Calambrone, hanno recentemente condotto un importante studio relativo all’applicazione della orticoltura terapeutica su un gruppo di pazienti adolescenti con diagnosi di anoressia nervosa.

    Per 12 settimane, le ragazze hanno seguito, oltre al trattamento clinico convenzionale, anche un percorso di ortoterapia. Hanno coltivato ortaggi, piante ornamentali e officinali seguite da un team di professionisti che, tra le attività, hanno chiesto loro di caratterizzare forme, colori e odori. All’inizio e alla fine del percorso, le partecipanti hanno ricevuto una valutazione psichiatrica ed è stato loro somministrato un test di identificazione olfattiva: l’obiettivo era valutare l’impatto dell’esperienza ortoterapeutica. Una volta concluse le 12 settimane, i ricercatori hanno comparato i parametri con quello di un secondo gruppo di giovani con la stessa età e la stessa diagnosi, ma sottoposto soltanto al trattamento clinico convenzionale. I risultati, confluiti anche in una pubblicazione della rivista Nutrients, hanno evidenziato come i livelli di risposta allo stress sono migliorati solo nel gruppo che ha svolto l’ortoterapia. Inoltre, sono stati rilevati effetti positivi anche nella percezione corporea e nel disagio affettivo.

    Quello appena pubblicato non è il primo studio che testimonia il valore di questo tipo di approccio affiancato alla terapia tradizionale. La dottoressa Mandotti ci spiega che lei si occupa di condurre gruppi di questo tipo da circa 6 anni e che, sebbene ancora poco regolamentata in Italia, l’ortoterapia esiste e può essere preziosa per molte persone.

    Che cos’è e come funziona l’orticoltura terapeutica

    “Il rischio” spiega la dottoressa Mandotti, “è che non sia chiaro che cos’è l’orticoltura terapeutica, che corrisponde a quella che veniva definita ortoterapia. Si tratta, infatti, dell’utilizzo di attività nel verde come, ad esempio, giardinaggio, manutenzione e cura dell’orto, passeggiate, tutte con finalità terapeutiche o riabilitative. L’orticoltura terapeutica è un percorso con obiettivi, procedure e trattamenti standardizzati seguito da un terapeuta formato.”

    I programmi, dunque, possono variare a seconda del gruppo o delle persone che vi partecipano. Come nel caso del progetto di ricerca condotto dall’Università di Pisa, possono essere rivolti a persone con patologie sia di tipo fisico sia psicologiche, ma hanno un significativo valore anche di tipo sociale. “L’ortoterapia può essere rivolta anche a persone fragili, anziani o persone migranti per fare due esempi, per favorire dei percorsi di risocializzazione.”

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    Le attività che solitamente possono essere integrate in un percorso di orticoltura terapeutica sono la cura dell’orto, la realizzazione di un giardino sensoriale, le passeggiate nella natura, attività di esplorazione e osservazione che pongono l’attenzione sulla biodiversità. “La connessione con il verde è un importante chiave di funzionamento” spiega Mandotti. “L’orto in particolare si rivela fondamentale perché prevede la progettazione di cosa si vorrà ottenere, la manutezione e la cura degli spazi, e si arriva fino alla raccolta di prodotti che vengono consumati.” 

    Gli studi suggeriscono, dunque, che sia una delle attività che può favorire il miglioramento delle condizioni psicologiche delle persone che partecipano al percorso. “La mia esperienza lo conferma” aggiunge l’ortoterapeuta, “con un gruppo di pazienti psichiatrici abbiamo realizzato un orto di tipo sinergico, collaborando con realtà e associazioni del territorio, sempre vicino a Milano, e i risultati sono stati significativi sia dal punto di vista clinico sia sociale e umano.”

    Fisici, psicologici e sociali: i benefici dell’orticoltura terapeutica

    Chiediamo alla dottoressa Mandotti quale sia il potenziale impatto di un percorso di orticoltura terapeutica sui partecipanti e in che modo possa portare dei benefici. “Le aree di beneficio sono quattro: parliamo di miglioramenti di tipo fisico, cognitivo, psicologico e sociale.”

    Le attività terapeutiche, infatti, stimolano le capacità di sensoriali, le attività motorie e migliorano la coordinazione in virtù delle mansioni pratiche e manuali che bisogna svolgere per coltivare zucchine, carote o melanzane. La varietà dei lavori che il giardino e l’orto ci propongono favorisce un miglioramento anche dal punto di vista cognitivo: il cervello è più attivo e più reattivo.

    “Si crea, inoltre, un legame con la pianta che fa sì che le persone ottengano un grande senso di soddisfazione per aver portato a termine un percorso nella natura, come può essere aver coltivato un ortaggio dal seme al piatto. In questo senso osserviamo” specifica la dottoressa Mandotti a proposito dei benefici psicologici, “una crescita dell’autostima, una maggiore indipendenza e una riduzione dei livelli di stress”.

    Infine, la maggior parte dei percorsi di orticoltura terapeutica in Italia vengono svolti in gruppo. Questo migliora le capacità sociali delle persone coinvolte, la capacità di comunicazione e l’interazione. In questo senso assume particolare importanza il coinvolgimento di persone fragili, come avviene in alcune realtà associative in diverse parti d’Italia che abbiamo già incontrato: Fuori di Zucca ad Aversa e Molise5 a Rozzano. 

    “In Italia osserviamo tanta sensibilità e tanta attenzione all’ortoterapia” riflette l’intervistata, “anche perché siamo un Paese con una storia e tradizione agricola molto forte. Questo favorisce il riconoscimento del valore di progetti di questo tipo. Da poco è attivo anche un master di primo livello per la formazione degli operatori e, passo dopo passo, confido che anche qui ci sarà un corso di laurea come avviene già negli Stati Uniti.”

    L’ortoterapia, dunque, sta diventando uno strumento sempre più riconosciuto all’interno delle strutture sanitarie, e cresce il numero di persone formate per seguire chi ne ha bisogno. La strada perché questo tipo di terapia possa essere integrata sistematicamente con i trattamenti clinici convenzionali è ancora lunga, ma i primi passi sono compiuti e i risultati sono senza dubbio incoraggianti. 


    Immagine in evidenza di: wertinio/shutterstock.com

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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