Marche: martino turista per formaggi nelle marche

Adriana Angelieri

di Martino Ragusa. Le Marche hanno vissuto in maniera traumatica, se non disastrosa, le conseguenze socioculturali dell’abolizione della mezzadria negli anni cinquanta. Con la conseguente perdita d’identità del contadino, che si è trasformato in operaio-emigrante nei nuovi poli industriali del paese nei successivi anni sessanta.La forte crisi della civiltà agricola a metà del secolo scorso ha colpito ogni regione della penisola, ma specialmente questa regione, per secoli provincia dello Stato Pontificio e priva di una vera capitale. Il sapere della campagna qui è sempre stato esclusivo patrimonio culturale dei contadini, una volta analfabeti come dappertutto, e perciò soliti trasmettere oralmente le loro conoscenze senza lasciarne tracce scritte. Un caso quasi unico nell’Italia delle tante capitali e innumerevoli piccole corti nobiliari. Vi basti pensare a Mantova, Ferrara, Modena e Parma, tutte capitali di Stato dove è stato facile tramandare tecniche e tradizioni, perché il lavoro nelle campagne era osservato e descritto dagli intellettuali di corte. Nelle Marche la ricostruzione dopo la tabula rasa compiuta dalla riforma agraria e dall’urbanizzazione è stata un’impresa quasi archeologica, realizzata in gran parte da appassionati consapevoli di quale patrimonio si stesse perdendo. Vincenzo Beltrami è uno di questi. Dalla metà degli anni ottanta si è impegnato a recuperare quanto è ancora possibile, con le fatiche e i rischi che una simile missione comporta in termini di sperimentazioni e investimenti. I buoni risultati sono arrivati e li potete vedere e gustare nel “Covo dei Briganti” a Cartoceto, meta dei pellegrinaggi di molti golosi. “I miei prodotti parlano da soli” mi ha detto e ha preferito farmi assaggiare alcuni dei 23 formaggi che lui stagiona e affina anziché descrivermeli. Ho gustato il suo pecorino di fossa, il pecorino all’aglietto (un’erba selvatica che lui strappa alle pietre armato di piccozza a quote fra i 1200 e i 1500 metri) quello all’aneto dei Monti Sibillini e le forme affinate nelle vinacce di Sangiovese e i caprini a latte crudo ottenuti dalle capre che lui stesso alleva in rigoroso regime biologico. E poi c’è il suo pregiato olio di Cartoceto – ora una “DOP” – anch’esso scampato al pericolo dell’estinzione e sopravvissuto grazie ai pochi olivicoltori di questo paese, tra i quali Vincenzo, che hanno reimpiantato le cultivar autoctone cancellate stavolta non dall’uomo ma dalla tremenda gelata del 1985 responsabile del quasi azzeramento del patrimonio olivicolo in gran parte dell’Italia centro-settentrionale.Post ScriptumNel Covo dei Briganti sono raccolte con il rigore del collezionista tutte le specialità marchigiane. Ci trovate la Casciotta di Urbino DOP, un formaggio semifresco e dolce. Pare che Michelangelo ne fosse talmente ghiotto da acquistare un podere ad Urbania per garantirsene l’approvvigionamento. Poi c’è il prosciutto di Carpegna IGP, campione di dolcezza, il salame, la lonza, la soppressata di Fabriano e pressoché tutti i prodotti della regione meritevoli di essere conosciuti. L’indirizzo è:Il Covo dei BrigantiVia Morcia Loc. Ripalta61030 Cartoceto (PU)Tel. +39 0721 89 30 06E-mail: info@ilcovodeibriganti.it 

Siciliana trasferita a Bologna per i tortellini e per il lavoro. Per Il Giornale del Cibo revisiona e crea contenuti. Il suo piatto preferito può essere un qualunque risotto, purché sia fatto bene! In cucina non devono mancare: basilico e olio buono.

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