Vino in anfora: quali sono le caratteristiche e i vantaggi?

Giovanni Angelucci
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    Moda o storia? Come sempre le due cose combaciano e c’è chi usa la storia per lanciare “nuove” mode e chi, rispettandola in toto, la riporta in auge. Parliamo delle anfore, le giare in terracotta che una volta venivano utilizzate per conservare alimenti, poi cadute nell’oblio e oggi tornate alla ribalta con fervore dei produttori non solo di vino in anfora, ma anche di birra e distillati come grappe e gin! Scopriamo quali sono le loro caratteristiche, vantaggi e i loro migliori interpreti. 

    Vino in anfora: e origini, i qvevri georgiani patrimonio Unesco

    In Georgia i produttori hanno conservato nei secoli i metodi e le tecniche di produzione antiche In origine, non c’era vino senza anfora: nei recipienti in terracotta, chiamati qvevri, i vini nascevano, si affinavano, venivano trasportati da una sponda all’altra del mare. Una storia che risale  all’età della Magna Grecia, quando l’uomo utilizzava la terracotta per la conservazione del vino. Le anfore arrivarono con i Greci e furono gli etruschi a diffonderle in Italia. Perché? Semplice, vino e terracotta era il connubio perfetto, il metodo naturale più facile da adottare; la straordinaria capacità di isolamento termico della terracotta permetteva una perfetta conservazione del vino grazie alle caratteristiche chimico-fisiche del materiale. 

    La rinascita del vino in anfora 

    Per mantenere viva questa tradizione ed evitare che l’artigianato a essa collegato scomparisse, l’UNESCO ha inserito la produzione dei vini georgiani in qvevri nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità. I qvevri vengono interrati fino alla primavera successiva per consentire prima la fermentazione e poi l’affinamento dei vini, sia bianchi sia rossi. A seconda delle tradizioni locali le tecniche possono variare. Tipica dell’area di Khakheti, nella Georgia orientale, è poi la pratica di fermentazione e affinamento con macerazione sulle bucce. Una tradizione secolare per garantire un trattamento assolutamente naturale, che esalti le caratteristiche varietali. 

    Il vino in anfora in Italia

    Alba_alioth/shutterstock.com

    Oggi si è voluto riprendere quella che è stata una delle più antiche tecniche di conservazione del vino nella storia dell’uomo per ridare vita ad un nuovo armonico equilibrio tra vino e natura.

    Nel mondo enoico è ormai da una decina di anni che molti produttori hanno deciso di tornare all’utilizzo di questo metodo di vinificazione ancestrale, anche se c’è chi non ha mai smesso, come il produttore di vino in anfora per antonomasia, Josko Gravner: in Italia è stato il primo a sperimentare le tecniche di vinificazione imparate in Georgia, e dall’anno 2000 ha sostituito tutti i contenitori della sua cantina con dei qvevri georgiani. Il resto è poesia e dovrete indubbiamente andare a fargli visita su quella sottile linea di confine tra Italia e Slovenia. 

    La terracotta e il vino” in Italia: Impruneta

    Ogni anno ormai, a Impruneta, paesello toscano nella provincia di Firenze nonché cuore della produzione di anfore, viene organizzato l’evento dedicato La Terracotta e il Vino”.  

    Aziende della Georgia, uno dei paesi dove più è diffusa la pratica della vinificazione in anfore, le francesi di Borgogna, Champagne, Valle della Loira e Provenza, dall’Armenia con i suoi vini provenienti da vigneti di duecento anni e posti a 1500 metri di altezza sul livello del mare, dal Montenegro, ma anche dalla California, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, e ovviamente dallo stivale tricolore, si danno appuntamento per fare il punto su questo stile di produzione che ormai è diventato diffusissimo in Italia.

    Sin dalla prima edizione un banco d’assaggio è stato occupato dal produttore Francesco Cirelli, giovane vignaiolo abruzzese che dal 2003 realizza i suoi vini sulle colline teramane, nella Riserva dei Calanchi di Atri. Ed è a lui che abbiamo chiesto qualcosa in più sugli speciali vini in anfora. 

    Francesco Cirelli, l’italiano dell’anfora

    Ventidue ettari di genuinità di cui 6.5 vitati e il resto dedicati a fichi, ulivi, grani antichi, farro, ceci, aglio, luppolo e allevamento delle oche per prosciutti e salumi. Canonica produzione abruzzese con Montepulciano, Trebbiano e Cerasuolo, ma su due linee: la base che vede l’utilizzo di cemento e acciaio, e l’anfora che utilizza le 22 giare di Artenova per fermentazione e affinamento, e che regala appena 25.000 bottiglie annue (con una capacità di 30.000). Un Montepulciano molto bevibile e carico di freschezza, netto al naso con i classici profumi rossi e intensi dell’autoctono abruzzese ma con profumi più terrosi e piacevolmente rustici donati dall’anfora.

    Come si fa il vino in anfora e quali sono i suoi vantaggi?

    shutterstock.com

    “Il vino in Anfora si fa come tutti gli altri vini, non ci sono grandi differenze se non una maggiore lavorazione, un maggiore intervento dell’uomo, una maggiore attenzione da un punto di vista igienico-sanitario. La terracotta funziona come se fosse un contenitore in legno ma il suo pregio è di non cedere alcun sapore. Quindi, in un certo senso, è un contenitore minimale in grado di rispettare maggiormente la purezza del vitigno scelto”, spiega Cirelli.

    Una pratica sempre più diffusa Come mai oggi il vino in anfora è tornato a essere tanto diffuso? “Posso dirvi perchè ci sono tornato io – risponde Cirelli –  è successo perché ero alla ricerca di un metodo di lavorazione che riuscisse a dare un’impronta unica, autentica e fortemente identitaria ai miei vini. Con le anfore riesco a esaltare le uve che coltivo e a imbottigliare l’essenza più vera della mia terra. Chi le usa seriamente lo fa per questo, per glorificare le uve scelte e per rispettare al massimo l’identità dei propri vini”, conclude il produttore.

    Quali produttori sono gli altri produttori italiani di vino in anfora?

    Dopo avere citato il grande Josko Gravner e il valente Francesco Cirelli, difficile è scegliere altri produttori degni di visita (e assaggio), anche perchè oggi sono davvero numerosi. Di certo vale la pena conoscere realtà come Cacciagalli nell’alto salernitano in Campania, la mitica Azienda Agricola Foradori in Trentino Alto Adige, Michele Biancardi in Puglia, nella provincia di Foggia, Cristiano Guttarolo sempre in Puglia ma in provincia di Bari, la famiglia Casadei che lavora in Toscana (Maremma e Chianti) ma anche in Sardegna, il Castello dei Rampolla sempre in Chianti, l’Azienda Agricola Montesecondo ancora nella storica zona del Chianti Classico.  

    Il gin in anfora

    levantespirits/facebook.com

    Merita, oltre al vino, anche una realtà che ha scelto l’anfora per il suo gin: Levante Spirits di Fabio Mascaretti ed Enzo Brini. Un’unione (e gestazione) virtuosa, che ha dato vita al Ginepraio, il Tuscan Dry Gin, fortemente identitario, espressione piena del suo territorio, distillato a Barberino Val D’Elsa. Sono stati usati tre diverse varietà di ginepro (non dimentichiamo che il 47% dei gin nel mondo viene prodotto con ginepro toscano) della Maremma, Chianti e Valtiberina, con 5 botaniche selezionate: elicriso, angelica, rosa canina (petali e cinorridi), coriandolo, arancia e limone (bucce). Da qui i due hanno deciso di evolversi rifacendosi alla storia e producendo il Ginepraio Amphora Navy Strenght, con gradazione alcolica 58% che dopo sei mesi in anfora scende e si stabilizza, per mezzo della microssigenazione, a 57%. 

    “Il gin riposa circa metà anno all’interno di anfore in cocciopesto da 370 litri – racconta Fabio Mascaretti – Questo materiale ha la caratteristica di offrire una notevole durabilità nel tempo, un’alta resistenza e una notevole inerzia termica.
 In questi sei mesi, la microssigenazione permessa dall’anfora, dona al distillato una superiore complessità olfattiva e un ottimo bilanciamento delle botaniche, sprigionando così i profumi primari e secondari tipici di ogni componente”. Chi scrive non può che confermare quanto la parte agrumata sia netta e ben bilanciata a quella di un coriandolo solitamente difficile usare ma egregiamente combinato. 

    “Oggi il cocciopesto sta tornando in auge, lo si utilizza nelle facciate dei centri storici quando non si vuole sostituire l’aspetto vissuto di una vecchia parete, l’uso sempre più ricorrente di materiali recuperati dal passato, ha aiutato la sua diffusione anche nel settore enologico, dove i vasi vinari in cocciopesto sono 
il risultato dell’innovazione e della ricerca al fine
di creare prodotti con tecnologie nuove, ma che
allo stesso tempo siano legate alla nostra cultura”, conclude Fabio.

     

    Avete mai provato il vino in anfora o altri prodotti?

    Giornalista e gastronomo, collabora con numerose riviste e quotidiani che si occupano di cibo e viaggi tra le quali spiccano La Stampa, Dove e la Gazzetta dello Sport. I suoi piatti preferiti sono gli arrosticini (ma che siano di vera pecora abruzzese) e gli agnolotti del plin con sugo di carne arrosto. Dice che in tavola non può mai mancare il vino (preferibilmente Trebbiano Valentini o Barbaresco Sottimano).

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