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Paolo Borrometi: “Le mani del sistema mafia sull’agroalimentare”

Redazione

Criminalità organizzata, agromafia, mercati ortofrutticoli a rischio infiltrazioni. Da Vittoria a Milano il viaggio dei prodotti della terra siciliana è un esempio di come e quanto i clan, non solo mafiosi, riescono ad entrare nella filiera alimentare. Anzi, nelle filiere: come abbiamo descritto analizzando il percorso che l’ortofrutta compie dai box all’ingrosso del sud a quelli al dettaglio del nord, gli affari sono molteplici e coprono tutti i settori dal trasporto all’imballaggio. Ne abbiamo parlato con chi questo marciume ha provato a scoperchiarlo, riuscendovi ma pagando in termini di libertà personale: Paolo Borrometi, giornalista di Modica, nel Ragusano, è stato minacciato e aggredito in seguito alle sue inchieste sulla mafia nella provincia più a sud d’Italia, e per questo da due anni vive sotto scorta lontano dalla Sicilia.

Paolo Borrometi: il mercato di Vittoria, la “base operativa” dell’agromafia

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Al centro della sua opera di sensibilizzazione sulla presenza mafiosa in un territorio che sino a non troppo tempo fa si credeva libero da infiltrazioni c’è proprio Vittoria, sede del mercato ortofrutticolo più importante del sud Italia. La madre delle inchieste giornalistiche di Paolo Borrometi, che ha appena 33 anni ma può contare già un numero importante di successi professionali, è proprio qui, in questa grande esposizione e in alcuni box che la occupano: “Il viaggio di un pomodoro Pachino parte da Vittoria e termina sulla tavola di un qualunque italiano, più a nord, dopo aver toccato il mercato di Fondi e aver puntato il timone verso Milano: sembrerebbe tutto normale, se non fosse invece che ciò che succede da subito dopo la raccolta all’arrivo ai banchi al dettaglio lombardi non ha niente a che vedere con la legalità”.

È la mafia liquida, che si insinua e permea il settore che ha scelto di contaminare. Completamente, perché l’agromafia non è un settore staccato dal resto: “No – prosegue Borrometi -: pensare questo significa fare come chi negli anni ’80 considerava di serie B la mafia di Ragusa. E invece no, e la cronaca lo ha dimostrato. Nell’agroalimentare le infiltrazioni sono di serie A: hanno preso tutto, dal trasporto all’imballaggio, dividendosi gli introiti e collaborando tra clan e tra mafie diverse. È un sistema vero e proprio, un marcio che io vedo speculare a quello dell’Italia”.

Quando mafia e camorra collaborano

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Nel Ragusano questa particolare forma di mafia è penetrata con grande facilità, tanto che la provincia nell’ultimo rapporto di Coldiretti ed Eurispes è in testa alla classifica dei territori più colpiti da questo flagello dell’agroalimentare: “A Ragusa c’è, o perlomeno c’era, ricchezza, e il numero degli sportelli bancari, il più alto d’Italia, lo dimostra. In questa provincia, e in questo settore in particolare, il malaffare ha attecchito perché l’agroalimentare rende: non è la sola vendita a fruttare, è tutto ciò che le ruota intorno. Tutto ciò che parte dall’acquisto presso il produttore (a prezzi da fame) e prosegue in tutte le fasi che portano la frutta e la verdura nelle buste della spesa degli italiani. Qui il settore è stato visto come oro, e in effetti il business nazionale dell’agromafia si aggira intorno ai 16 miliardi di euro, e sfruttato al pari del traffico di droga”.

Le inchieste più recenti, d’altronde, hanno confermato ciò che Borrometi nel suo sito La Spia sostiene da tempo: “Cosa Nostra, la Stidda ragusana, i Casalesi e la ‘ndrangheta non si fanno la guerra, in questo campo, dividendosi i compiti e, ovviamente gli introiti. I clan siciliani si occupano degli affari locali, quelli campani dei trasporti, i calabresi infine continuano a gestire il mercato degli stupefacenti adattandolo anche a questa realtà”.

Denunciare l’agromafia e vivere sotto scorta

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Paolo Borrometi, giornalista dell’agenzia Agi ed editorialista del quotidiano Il Tempo, a questi temi sta dedicando la sua vita, professionale e non solo: a causa di ciò che ha scritto sul mercato di Vittoria e sulle infiltrazioni mafiose di Scicli è stato minacciato, dal 2014 sino ad oggi, finché gli è stata assegnata una scorta permanente. Picchiato due anni fa, pesantemente minacciato di recente su Facebook da mafiosi che si firmano senza scrupoli (una risposta al fatto che nelle sue inchieste il giovane giornalista non abbia mai lesinato nomi, cognomi e nomignoli degli affiliati ai clan della sua zona), oggi è costretto a stare lontano dalla sua Sicilia: “Ci tornerò, è il posto più bello in cui si possa vivere, ma per il momento resto lontano. Mi manca tantissimo”.

Una vittoria della criminalità? No. Anzi, Borrometi non recede di un passo rispetto a quanto ha fatto sinora: “Credo nel lavoro dei giornalisti, e tanti ce ne sono che hanno fatto bene. Purtroppo, non tutti in questa categoria hanno marciato nella direzione giusta. Ma non bisogna arrendersi: io continuo nelle mie inchieste ispirandomi alla figura per me mitica di Giovanni Spampinato, ucciso dalla mafia a Ragusa nel ‘72”.

Informazione e consumo consapevole

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Sono queste le armi in mano al cittadino che vuole fare qualcosa per arrestare le infiltrazioni mafiose nell’agroalimentare: “Se il consumatore si informa, se sa quello che rischia acquistando un prodotto, non sbaglia. Così si comincerebbe a far mancare la terra sotto i piedi dei mafiosi, evidentemente scaltri nell’infilarsi nelle maglie della distribuzione e nel raggiungere così le tavole degli italiani. Perché se siamo arrivati a questo punto la responsabilità è a tutti i livelli, compresa una parte della grande distribuzione organizzata”. Borrometi, come fa nel suo sito, non ha certo paura di additare responsabili, così come di ammettere che la società civile non è stata insensibile nei confronti della sua vicenda: “La gente comune, quella onesta, mi ha sempre regalato grande solidarietà. Anche le istituzioni, ma solo nella fase più recente”.

Paolo Borrometi apre con le sue parole una finestra su un mondo marcio e impregnato di malaffare: i prodotti della terra sono il mezzo più pulito per arrivare ad un profitto facile e illegale. Tanti, in Sicilia e nelle altre regioni a forte presenza mafiosa, combattono quotidianamente per estirpare questo male, anche nell’agroalimentare. Lo fa anche lo chef Natale Giunta, che di recente abbiamo intervistato sulla sua vicenda di cuoco alle prese con la piaga del racket. Dalle sue parole un messaggio di speranza, ma anche tanta amarezza per un fenomeno che, purtroppo, non accenna a scomparire.

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