cibo di strada

Cibo di strada dall’Italia e dal mondo

silvia

di Redazione

Che la gastronomia rappresenti un’efficace chiave di lettura della cultura di un luogo è ormai assodato, ma tra tutte le sue forme, la versione che probabilmente esprime al meglio identità e tradizioni locali è (quasi) sempre il cibo di strada. A definirne i contorni ci ha pensato la FAO, secondo cui può dirsi cibo di strada tutto ciò che viene preparato e distribuito già pronto per il consumo da commercianti ambulanti, su banchetti provvisori, furgoni, carretti, chioschi…

Sicuramente si tratta della più antica e onesta forma di ristorazione autentica, necessariamente votata a preparazioni semplici e legata alla tradizione agroalimentare del territorio a cui appartiene. Poco influenzabile dalle mode passeggere, spesso consente di leggere la storia di un luogo e dei suoi abitanti, ma anche le contaminazioni reciproche fra paesi diversi: alcune di queste preparazioni hanno viaggiato assieme ai flussi migratori ben oltre i propri confini territoriali…
La pizza, il kebab, la piadina, o il gyros vi dicono niente?

Italians do it better è un motto valido anche a proposito di cibo di strada: dalle nostre parti, lo sappiamo, ogni regione è un piccolo mondo gastronomico.
Iniziamo dalla Toscana e il suo panino con il lampredotto, un po’ l’antesignano del fast food: considerato un sottoprodotto della carne bovina, il cosiddetto quinto quarto è diventato una delle tradizioni gastronomiche più apprezzate di Firenze. Così come la trippa alla fiorentina, tagliata a bastoncino e cotta in un soffritto di sedano, carota e cipolla, con l’aggiunta di pomodori e servita con una spolverata di parmigiano.

La Romagna rilancia con il suo piatto nazionale, la Piadina, definita da Pascoli cibo del viandante. Nonostante l’antichissima origine, fino a qualche decennio fa non era considerata prodotto commerciabile: troppo povera la composizione (acqua, farina, sale e poco altro) e troppo semplice la preparazione (un mattarello, una lastra rovente e un fuoco vivo) per lasciarne immaginare un uso fuori dalle mura domestiche…
Se oggi la Piadina non ha bisogno di presentazioni, si deve alla fantasia e all’innovazione dei romagnoli.

Il fast food tradizionale dei pescatori romagnoli, però, è il pesce fritto al cono; mentre i Tortelli alla lastra sono una specialità dell’Alta Valle del Savio: grandi tortelli di sfoglia sottile, farciti con un compenso di patate lessate e uova (oppure patate e zucca, o cavoli e cardline – cardi selvatici-), conditi con un battuto di lardo soffritto con l’aglio e cotti uno alla volta su una lastra di pietra ben calda, girandoli più volte finché la superficie non risulta sbruciacchiata.

L’Emilia risponde con svariate paste fritte, diverse di provincia in provincia, rigorosamente da farcire con l’imbattibile campionario di salumi DOP emiliani: Crescentine, Gnocco fritto, Torta fritta di Parma (losanghe di sfoglia tagliate con la rotellina dentata a base di farina, latte, acqua, lievito di birra, strutto, acquavite e aceto che evita restino unte dopo la frittura).

Se in pianura si cuoce più grasso, le colline e l’Appennino modenese danno vita alla Tigella, che nell’impasto è simile al gnocco, ma viene cotta originariamente tra due puliti sassi piatti di fiume, oggi sostituiti con piastre doppie di ghisa. La Tigella va tagliata a metà e farcita con un impasto speciale di lardo macinato, aglio, rosmarino e formaggio grana.

Il nord è rappresentato dal Trentino Alto Adige e dalla sua cucina di strada d’ispirazione nord europea a base di Webwurst: salsicce bianche di vitello e pancetta fresca tritati, insaporite con prezzemolo e servite con senape dolce, crauti e brezel. Il brezel pare essere il cibo da merenda più antico del mondo: la sua invenzione si deve ai monaci francesi e italiani del 600, che annodavano i resti dell’impasto a forma di anello, a mo’ di braccia in preghiera con tre buchi simbolo della Trinità, per premiare i bambini più bravi a imparare a memoria versi della Bibbia. In origine consumati mezzi crudi, divennero belli tostati grazie a un fornaio che si addormentò sul posto di lavoro…

É nel sud Italia che si celebra il vero trionfo del cibo di strada, a partire dalla sua indiscussa regina: la vera pizza napoletana! Restando in Campania c’è anche tutta la parabola del grande fritto napoletano: crocchette di patate, panzerotti, verdure in pastella, mozzarella in carrozza, arancini di riso, frittata di maccheroni… fino alle arie fritte (o paste cresciute), delle palline fatte con la pastella usata per impanare le altre pietanze! La pizza fritta, infine, è una specie di calzone con ingredienti racchiusi tra due dischi di pasta combacianti, racchiusi a orlo e buttati nell’olio bollente. L’imbottitura tradizionalmente è una trattativa col pizzaiolo… la classica è vuota con sopra il ragù, la chicchinese è con scarola cruda, acciughe e olive, oppure con mozzarella, salame e pomodoro.

La Sicilia non è da meno con le sue arancine di riso condite con ragù di carne e piselli, oppure nella variante al burro, prosciutto e mozzarella. Re dello street food palermitano, però, è il pani ca’ meusa schietto (ripieno di interiora di vitello), maritato (con aggiunta ricotta di pecora soffritta nello strutto di maiale e condita con caciocavallo a listarelle), le panelle (frittelle di farina di ceci), le sarde a beccafico, il polpo bollito e lo sfincione (pasta di pane molto lievitata con aggiunta di sarde salate, cipolla, pecorino fresco, olio, origano e nel palermitano salsa di pomodoro).

La Puglia propone una cucina di strada semplice ed essenziale: friselle al pomodoro e panzerotti, ovvero mezzelune di pasta di pane fritta da servire caldissime, con ripieno di mozzarella e pomodoro, carne di maiale o ricotta, pomodorini saporiti e pecorino, salsiccia e pecorino. Gli gnumarieddi, invece, sono involtini di frattaglie o di fegato di agnello, legati con un pezzo di budella, tipici delle Murge e della valle dell’Itria. Così come le bombette di capocollo, servite in cono e accompagnate col pane di Santeramo.

 

Cibo di strada dal mondo

Il Venezuela va sempre alla grande con il suo piatto simbolo, l’Arepa: un pane a base di mais bianco, che originariamente veniva cotto, macinato e mulinato dagli indigeni tra sassi piatti. Si cuoce nell’aripo, una piastra un po’ curva fatta di fango, e in Venezuela si vende un po’ dappertutto nelle cosiddette arepere. L’Arepa è un’icona culturale, si mangia sia come piatto principale che come accompagnamento, vuoto o ripieno. Tra i ripieni più comuni l’Arepa Dominò con fagioli neri e formaggio, l’Arepa Reina Pepiada con pollo e avocado mantecato, o semplicemente l’Arepa catira al formaggio e l’Arepa al pollo.

La cucina messicana è una fusione fra nuovo e vecchio mondo, incontro tra l’antica cucina Maya e gli usi dei conquistadores spagnoli, senza contare i prodotti africani arrivati con le migrazioni. Il suo fondamento è la tortilla, una specie di piadina cotta sulla piastra a base di farina di mais o di grano. Sostituiva del pane, è utilizzata come contenitore dei cibi più diversi che prendono a seconda della preparazione il nome di Burrito (tortilla farcita con pesce, carne o riso, a forma di fagottino coi bordi chiusi da stuzzicadenti), Taco (farcita e piegata a metà), Quesadilla (al formaggio), Enchilada (ripiena e poi arrotolata), Tostada (fritta), Chimichanga (una versione fritta del burrito).
L’altro pilastro della cucina messicana è il peperoncino, che va dal dolce al fuoco. Anche le famose Fajitas a base di carne possono diventare un cibo di strada, servite avvolte in un’immancabile tortilla con peperone, cipolla e un mix di spezie riproducibile mescolando cumino, peperoncino piccante, paprica e origano.

La regina della carne alla griglia resta sempre l’Argentina con il suo rito dell’Asado, sinonimo di riunione, amicizia, festeggiamento, famiglia… la carne argentina merita riconoscimento mondiale grazie all’estensione dei suoi pascoli, alla varietà di climi, ai metodi di allevamento a campo aperto e alla qualità degli animali.
La carne alla griglia viene servita con il chimichurri, una salsa a base di cipolla, aglio, pomodori e prezzemolo mescolati con olio e aceto il cui nome deriva dalla storpiatura della frase give me the curry. Di origine creol-araba l’Empanada, un involtino ripieno di pasta sottile cotto al forno o fritto.

Tornando in Europa anche paesi climaticamente insospettabili come la Russia possono vantare il proprio cibo di strada, evidentemente a prova di passeggiate un po’ rigide: gli Shashlik georgiani sono spiedini di carne marinata nell’aceto e condita con erbe e spezie a base di agnello (ma anche maiale o manzo), cotti su una griglia che si chiama Mangal; il Plov uzbeko è un riso speziato a base di carne di montone (fritta o bollita), cipolle, carote, uva secca, ceci o frutta; i Bliny sono crespelle di farina di segale o grano saraceno dal ripieno dolce o salato.

La cucina rumena ha sapori molto intensi e nel suo cibo da strada si cauterizzano le ferite più o meno profonde apparse nel corso del tempo sul mosaico etnico di queste zone: rumeni, serbi, ungheresi e turchi. Da consumare in piedi i Mici cu mustar, salsicciotti di carne macinata conditi e cotti sul barbecue, e gli Snitel cu salta de varza alba rosie, cotolette servite con insalata di verza rossa.

In Francia la regione più interessante è la Provenza, con la sua cucina a base di olivo, vite e pesca. La Tielle setoise è una torta salata a base di polpi tagliati a cubetti con aggiunta di aglio, cipolla dolce, pepe e salsa di pomodoro; la Rouille à la Setoise è un piatto leggero a base di polipetti o seppie affogati nella saporita salsa Rouille preparata con olio di oliva, aglio, peperoncino, pomodoro e zafferano; la pissaladière una pizza con cipolle, olive nere e acciughe.
Gli Choux à la provencale invece sono bignè salati con brandade di baccalà.

Quando in Europa ancora si ignoravano i rudimenti della cucina eccetto la carne arrostita, in Grecia già si mescolavano ingredienti e spezie, dai tempi di Alessandro Magno. Parlando di cibo di strada, però, qui cucinare carne allo spiedo è davvero comune. I due piatti più famosi sono i Souvlaki, bocconcini di carne bovina o suina cotti ai ferri e infilati in uno spiedino di metallo, e il Gyros pita, una specie di cannolo preparato con una pasta simile alla Piadina chiamata Pyta e farcito con carne di agnello o montone, di solito servito con la celebre salsa Tsatsiki (yogurt, cetrioli, aglio, olio).

Lo stand più affollato del festival appartiene al Kurdistan, con la sua speziata cucina di verdure e carne di agnello. Quasi ogni provincia di tutta la vasta area tra Iraq, Iran, Turchia, Siria e Armenia ha la propria specialità di Kebab, carne di agnello proposta sotto forma di spiedini (Sis Kebab) o arrostita su uno spiedo verticale (Doner Kebab). Particolare il Kikuk kebap, servito con riso, grano, mandorle, yogurt e crema di ceci. Senza contare i famosi Falafel, polpettine fritte di farina di ceci tritata, con aggiunta di aglio, cipolla e spezie.

Dal nord dell’India provengono i famosi piatti di carne come i Tandoori, mentre dal sud vengono i Curries piccanti e speziati. Il Bryani è un piatto unico dove il riso racchiude un ripieno profumato di spezie a base di carne, verdura e a volte pesce. I Pakoras sono stuzzichini fritti fatti di verdure passate in pastella di farina, lievito, acqua e succo di limone. I Samosa invece sono fagottini ripieni di agnello e patate insaporiti da un miscuglio di spezie, mentre gli Aloo tikki sono frittelle di patate, piselli e uova sempre ovviamente con abbondanti spezie.
Nel caso voleste cimentarvi a casa, vi ricordiamo che il curry andrebbe preparato con alcune ore di anticipo, o addirittura il giorno prima per far sì che le spezie abbiano tempo di sviluppare il loro aroma.

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