la trota fa bene

Perché la trota fa bene e come viene allevata?

Matteo Garuti

Per diversi motivi, possiamo dire che la trota fa bene. Anche se in genere sono le specie ittiche di mare a essere preferite dai consumatori, ci sono alcune buone ragioni per rivalutare questo pesce d’acqua dolce, tradizionalmente pescato e allevato nelle acque interne italiane. Dopo esserci occupati delle caratteristiche e del rischio di estinzione del tonno rosso, questa volta approfondiremo le proprietà e le modalità di allevamento della trota. Per saperne di più abbiamo coinvolto anche Giuliano Gandolfi, esperto di ittiologia e acquacoltura.

La trota fa bene? Ecco perché

Come la maggior parte delle specie d’acqua dolce, anche la trota viene erroneamente considerata un pesce di “serie B”. Questo preconcetto si deve essenzialmente alle abitudini e alla tradizione gastronomica di un Paese mediterraneo come il nostro, dove è naturale la predilezione verso le specie di mare. Come stiamo per vedere, però, la trota fa bene e si distingue per delle prerogative che dovrebbero spingere a valutarla come merita nella dieta.

Proprietà nutrizionali

filetto di trota

Sul piano nutrizionale le carni della trota, pur essendo mediamente ricche di grassi, presentano un ottimo contenuto di Omega 3 – circa 800 milligrammi ogni 100 grammi – e sono povere di colesterolo. L’apporto di proteine si attesta intorno al 20 per cento, mentre quello di minerali come lo zinco, il ferro, il fosforo e lo iodio è notevole e può coprire una parte importante del fabbisogno giornaliero. Nel complesso, le qualità nutrizionali e la digeribilità di questo pesce lo rendono adatto a tutte le fasce di consumatori, comprese quelle più sensibili come i bambini, gli anziani e le donne incinte.

Sicurezza e sostenibilità

Come abbiamo appena visto, la trota fa bene innanzitutto per le sue peculiarità nutrizionali, anche se i pregi non finiscono qui. Sul versante della sicurezza, questo pesce offre buone garanzie, e almeno negli anni recenti non si sono fatte registrare segnalazioni di infestazioni o contaminazioni, come quelle da anisakis e da sindrome sgombroide tipiche del pescato di mare.

Uno dei vantaggi più interessanti della trota è rappresentato dalla sostenibilità del suo allevamento, che ha un impatto inferiore rispetto a quello di molte altre specie. Il rilascio di ammoniaca nelle acque in uscita, infatti, resta inferiore a 1 milligrammo per litro, a fronte di un limite massimo consentito di 15 milligrammi per litro. Rispetto alla resa finale, peraltro, la trota consuma dosi di mangime piuttosto contenute, arrivando a triplicare, nella taglia da porzione, la quantità di proteine assunte con l’alimentazione. Come per altre produzioni, per di più, anche per gli allevamenti di trote è possibile ottenere la certificazione biologica, qualifica non frequente parlando di itticoltura. Per approfondire questi aspetti, può essere interessante leggere il nostro articolo sulla pesca sostenibile.

Prezzi accessibili e qualità gastronomica

trota salmonata

Al netto delle proprietà fin qui descritte, si può dire che la trota fa bene anche al portafoglio. Indicativamente, per il consumatore finale il prezzo dell’esemplare intero si attesta intorno ai 9 Euro al chilo, mentre il filetto può raggiungere i 13 Euro al chilo. Considerando il valore nutrizionale e la salubrità di queste carni, si tratta di cifre tutto sommato contenute.
Non meno interessante, inoltre, è la versatilità  della trota in ambito gastronomico. Nella tradizione mitteleuropea e non solo, infatti, sono numerose le ricette che vedono protagonista questo pesce, dal gusto delicato. La trota si presta a diversi tipi di preparazioni – antipasti caldi e freddi, primi e secondi piatti – rivelandosi idonea alle grigliature, alle fritture, alle affumicature, alle cotture al vapore e al cartoccio, in abbinamento con varie aromatizzazioni e contorni. Non si sposano altrettanto bene, invece, le cotture molto lunghe e l’abbinamento con i sughi.

Allevamento e produzione della trota in Italia

Dopo aver riportato le qualità appena descritte, è interessante saperne di più sulle origini, sulle caratteristiche e sull’allevamento della trota. In questo parte dell’approfondimento ci aiuterà Giuliano Gandolfi, esperto di ittiologia e acquacoltura.

Le specie allevate

La specie che domina la troticoltura destinata al consumo alimentare è la trota iridea, che, come precisa l’intervistato, è originaria del versante pacifico dell’America settentrionale. Questa specie alloctona si è diffusa in ambito commerciale grazie a un ritmo di accrescimento più rapido e a una maggiore resistenza alle temperature elevate, alla concentrazione d’allevamento, ai tenori di ossigeno più bassi e alle malattie. La robustezza che si evince dalle caratteristiche appena citate rende il pesce adatto a vari tipi di itticoltura, in situazioni ambientali anche abbastanza diverse. La trota iridea che può superare il metro di lunghezza e i venti chili di peso in natura si nutre di invertebrati acquatici e terrestri, piccoli pesci e vegetali.

Ripopolamento e ibridazioni

trote allevamenti

Diverso è il caso dell’itticoltura da ripopolamento, dove invece si alleva la trota fario, specie autoctona italiana. Gandolfi ha precisato che “nelle zone montane sono presenti installazioni di medie e piccole dimensioni, in genere gestite da associazioni di pescatori, che hanno lo scopo di immettere gli esemplari nelle acque libere dei torrenti, dei fiumi e dei laghi”.

Da segnalare i fenomeni di inquinamento genetico, che minano la tipicità delle trote autoctone. L’intervistato sottolinea l’esistenza di popolazioni di trota iridea che si sono naturalizzate in ambiente selvatico, riproducendosi in Trentino come in Emilia. Queste contaminazioni possono essere veicolate anche dai ripopolamenti, specialmente quando si utilizzano le uova. L’ibridazione delle trote e dei salmonidi in genere è molto impattante, fino a indurre alcuni esperti a sostenere che non esista più una vera e propria trota autoctona italiana. L’ambito, pur essendo tecnico, ci aiuta a comprendere la diffusione di specie aliene e invasive nei nostri ecosistemi, come è avvenuto nel caso già trattato del gambero killer della Louisiana, che in pochi anni è riuscito a colonizzare le acque interne italiane.

La trota salmonata

Erroneamente, si può ritenere la cosiddetta trota salmonata – la più richiesta e meglio pagata sul mercato – una specie a sé. Questa particolare colorazione delle carni, tendente all’arancione e simile appunto a quella del salmone, dipende semplicemente dall’alimentazione seguita dalle trote. Come ricorda l’intervistato, in natura gli esemplari possono assumere questa tinta nutrendosi di crostacei contenenti astaxantina, il principale carotenoide responsabile della salmonatura. Nell’allevamento, questa peculiarità è ricercata e riprodotta inserendo nei mangimi delle trote iridee farine di gambero o altri ingredienti specifici.

L’evoluzione dei mangimi

Le carni della trota, che in assenza di carotenoidi nella dieta sarebbero bianche, vengono salmonate grazie alla mangimistica. L’intervistato ha aggiunto che la continua evoluzione in questo ambito permette di ottenere caratteristiche di qualità, riducendo al minimo, sul piano organolettico, le differenze con gli esemplari selvaggi. In questo modo, i filetti possono raggiungere ottimi livelli di gusto e compattezza.

Come funziona la troticoltura?

trota

Giuliano Gandolfi prosegue descrivendo le tipologie di allevamento, che possono variare dalle piccole dimensioni a conduzione familiare fino alle estensioni maggiori con un discreto livello di meccanizzazione. In genere, i riproduttori vengono tenuti in vasche all’aperto con fondo in cemento, di dimensioni che dipendono dai singoli allevamenti. La troticoltura prevede un ciclo chiuso, con le avvannotterie nelle quali si effettua la spremitura (inseminazione artificiale) sui maschi e sulle femmine. Le uova vengono tenute in incubazione, e in seguito avviene la schiusa. Nelle vasche di ingrasso, invece, di dimensioni ridotte, gli esemplari vengono portati alla taglia da porzione.

Il ciclo di accrescimento ha una durata variabile. Nelle acque montane come quelle del Trentino, più fredde e ossigenate il ritmo di accrescimento è leggermente inferiore. Nelle acque di pianura di fascia sorgiva come in quelle del Veneto e del Friuli le temperature sono più elevate e la capacità di accrescimento è superiore. Per ottenere una trota da porzione in genere sono necessari 12-15 mesi, ma si può arrivare anche a 20 mesi dove l’acqua è più fredda. Gli esemplari riproduttori raggiungono i 3-4 chili e i 40-50 centimetri, per un filetto da 250-300 grammi. La trasformazione e la vendita interessano la trota intera e i filetti, ma oggi anche gli hamburger, le cotolette e altri formati che consentono di commercializzare al meglio il prodotto.

In Trentino qualità e tradizione

L’intervistato ha sottolineato l’importanza della troticoltura trentina, che costituisce il grosso della produzione nazionale e si distingue anche per i livelli di qualità. In questa regione, infatti, l’allevamento della trota ha tradizioni secolari e già da molti anni si è puntato sul valore alimentare e sulla riduzione dell’impatto ambientale, pur considerando lo “svantaggio” dato dai tempi di accrescimento più lunghi. L’Associazione troticoltori trentini (Astro) ha anche uno stabilimento che permette di aggiungere alla produzione le attività di trasformazione e vendita alla grande distribuzione.

trota salmonata colore

Inoltre, è stato siglato un disciplinare specifico di allevamento della trota, che implica l’uso di mangimi con dosaggi mirati dei nutrienti, per avere carni di ottima qualità. In Trentino, inoltre, non viene iniettato ossigeno nell’acqua, procedimento che altrove talvolta si adotta per aumentare la densità d’allevamento, allo scopo di ottenere risultati quantitativamente superiori. I carichi organici delle acque e l’impatto ambientale, peraltro, dipendono molto dalla concentrazione degli esemplari. Il protocollo, non a caso, prevede anche il monitoraggio delle acque in entrata e in uscita, per rispettare determinate caratteristiche biologiche, chimiche e fisiche. In sostanza, il Trentino ha puntato decisamente sulla qualità: tempi più lunghi, minor densità e minor carico in allevamento, ma di conseguenza maggiore qualità e minor impatto ambientale. L’allevamento trentino copre gran parte del fabbisogno nazionale e, in questo senso, la trota fa bene anche all’economia.

Dopo questo approfondimento sulla trota, può essere interessante leggere i nostri articoli sul pesce di stagione di novembre e sulla sostenibilità degli allevamenti ittici.

Altre fonti:
Trote Astro
USDA – Food Composition Database
RASFF Portal EU

Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

Una risposta a “Perché la trota fa bene e come viene allevata?”

  1. Mariano Facchini ha detto:

    Ormai, a parte qualche eccezione, gran parte degli allevamenti in Trentino utilizza ossigeno liquido nell’allevamento. Il resto è tutto corretto

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