5 Cose da sapere se invitate a Cena un Calabrese

Licia Giglio

Esiste una Regione d’Italia in cui le vendite del Brioschi non sono mai in calo ma anzi, fanno registrare impennate sempre più rapide, specialmente nei periodi delle feste. Questa regione è la Calabria, un posto in cui se parli di “lenta ripresa” non ti riferisci all’economia nazionale ma al pranzo della nonna, difficile da digerire.

Prepararsi alla cena con un/una Calabrese è come allenarsi per la maratona: hai bisogno di forza fisica, e di una volontà ferrea. Per non arrivare impreparati occorre conoscere a fondo la cultura del Sud. Tanto per iniziare sappi che il calabrese non sarà contento o soddisfatto di una cena fino a quando la tua cintura non sarà allentata e i bottoni della tua camicia messi a dura prova, ma soprattutto quando i piatti, le teglie e le bottiglie di vino saranno vuote. Cos’altro c’è da sapere? Te lo spiego qui…

Invitare a Cena un Calabrese: 5 cose da sapere 

1. Partiamo dalle basi: le unità di misura

sott'oli

Il calabrese è generoso, orgoglioso e utilizza il cibo come dimostrazione del proprio affetto e della propria stima. Se ti regala un barattolo di pomodori secchi sott’olio ti vuole bene, se ti regala una bottiglia di Cirò ti stima profondamente, se ti fa a parmigiana i’ mulunciani ti ama e se viene a casa tua per due giorni a farti gli scaliddrhi per Natale… è tua suocera.
Se invece sei tu a dover preparare una cena per lui/lei ti conviene conoscere prima le sue preferenze in fatto di cucina e soprattutto le quantità con le quali solitamente ha a che fare. Ecco un piccolo vademecum sulle unità di misura calabresi:

  • a’ buttighia (la bottiglia) unità di misura della salsa fatta in casa. Quando la apri senti tutto il profumo del pomodoro San Marzano preparato ad agosto, con 40 gradi, nel garage di zio Tanuzzo che, sudato come non mai, urla alla zia Ninetta “Oi Nì! A’ finutu i annettari a pummarola?”. La polpa verace nasce così.
  • u’ buccacceddrhu (il barattolo) unità di misura dei sott’oli. Il boccaccio ha un peso che va da un minimo di 250 gr ad un massimo di 500. Di solito contiene le materie prime alla base dell’alimentazione calabrese: cipuddri i Tropea, marmellata di cipolle, cipuddhruzzi ianchi, mulunciani, pummadori sicchi, funci silani, alive scacciati piccanti”. Altre volte, invece contiene preparazioni d’inimitabile bontà e piccantezza: stricata silana, nduja di Spilinga, pipareddri piccanti ripieni, piccantina e fugata silana. I formati più piccoli vengono aperti a coppie e guai a non consumarli tutti entro il pasto: a nonna servono i barattoli vuoti per fare la conserva e le servono subito!
  • a’ tanicheddrha (la tanica) unità di misura dell’olio. Le bottiglie, le oliere e tutti quei contenitori da un litro sono ritenuti inutili. Il calabrese versa l’olio direttamente dalla tanica “da 5” (litri) e misura il condimento dei piatti in “giri”. Il giro è il movimento circolare della bottiglia sul piatto mentre si versa l’olio ed è una tecnica di condimento che segue le sue regole: 3/4 giri per l’insalata, 6 per il sugo, 8 per il sugo di nonna. Ci sono piatti come la Parmigiana di melanzane o il Morzello che vengono giudicati in base all’unto: si dice che il Morzello buono, il giorno dopo deve avere ancora l’olio che cola gargi gargi (traduzione non pervenuta).

olio calabria

  • nu’ morzu (lett. un morso; trad. un pezzo) unità di misura di carne, pesce, torte rustiche e tutto ciò che si divide in fette. È un’unità di misura che non deve ingannare: ricorda che rimaniamo sempre nell’arco del 450 gr cadauno, quindi occhio.
  • nu’ passu (lett. un passo; trad: un pezzo) unità di misura della salsiccia. Anticamente “nu passu” era una salsiccia singola ma i decenni hanno rivelato come nessun calabrese sia mai stato in macelleria per chiedere una salsiccia singola, quindi quel “nu passu” è diventato 8 pezzi. Di solito il macellaio te ne regala sempre un paio, così la tua cena per due può essere davvero dignitosa.
  • na’ cuppinata (da “coppino”) unità di misura delle zuppe, del brodo e di tutto ciò che ha una componente liquida. Attenti all’attrezzo: il cuppino del calabrese è capiente come un pentolino di media grandezza (750 ml) e si solleva con due mani. Se il vostro ospite chiede “na cuppinata” sappiate fornirgli una dose adeguata.
  • na’ cascetta (cassetta di legno), unità di misura di frutta ed ortaggi. La cascetta è la quantità minima di acquisto di molti cibi come arance, pomodori, fichi d’india e altre prelibatezze, ma è anche il presente più adeguato per poter entrare nelle grazie dei suoceri. Se il tuo amico Calabrese viene a cena con i suoi, regalagli na’ cascetta di frutta, ti adoreranno.

cassa-verdura


Passiamo agli altri punti fondamentali della cultura calabrese

2. La Brasilena

Tutto il mondo beve la Coca-Cola, noi calabresi beviamo la Brasilena. Inutile proporci boriose imitazioni, siamo cresciuti con lei e il legame con questa bevanda gassata al sapore di caffé è troppo forte. Lei c’era nelle afose giornate d’agosto a Tropea, quando il caldo ti stordiva e avevi una sete pazzesca, c’era quando in discoteca a Cirò Marina avevi bisogno di carica, c’era durante i pomeriggi al parco, quando correvi, sudavi e tornavi a casa e tua mamma ti diceva “Mo ti fazz novo novo” (trad. lett. non pervenuta), c’era dopo i panini con la cotoletta di nonna che erano secchi, ma talmente secchi che dovevi bere per non soffocare. E anche se il packaging delle bottiglie non è moderno ma stile anni ’80, non importa, quella donnina col sombrero l’ameremo come se fosse nostra mamma. Se volete quindi invitare a cena un Calabrese, mi raccomando: niente Coca-cola! Procuratevi la mitica bottiglia di vetro con l’etichetta gialla della Brasilena e lo farete contento!

3. Invitare a cena una calabrese… a Natale

Il Natale dei calabresi meriterebbe di essere analizzato in un articolo a parte ma per esigenze di regia lo tratteremo sinteticamente qui (prometto un approfondimento, prima o poi).
Pertanto, se hai intenzione di trascorrere il Natale con un calabrese, sappi che la conferma della partecipazione deve arrivare entro e non oltre l’8 di dicembre, perché dal 9 si iniziano già a pelare le patate per il contorno del Capretto Natalizio. Il calabrese ha sempre un macellaio/fruttivendolo/pescatore di fiducia (attenzione, ho detto pescatore, non pescivendolo) ed è a loro che si rivolge per comporre il maestoso ed opulento cenone.

Al pranzo di Natale partecipa praticamente tutto il rione e nonostante ciò avanza sempre qualche teglia di pasta. È un pasto impegnativo, si rimane seduti a tavola all’incirca per 24 ore, ora più ora meno.

C’è l’aperitivo, l’antipasto, le vrasciole di carne d’accompagnamento, l’entrée di pane-sardella-cipolla e il vino a fiumi. Poi arriva il pranzo, che di solito dura da mezzogiorno alle 5, con primi, secondi, terzi, contorni poi… sono avanzati dei secondi e nonna vuole che si svuoti il piatto, quindi ricominci a mangiare. Poi arriva il momento della frutta, delle paste, poi il panettone, l’amaro, il caffè, il caffè con l’amaro, il pandoro con la Sambuca, i Crustoli fritti con il miele e un cicchetto d’Anice “Che ci sta”. Poi si gioca a carte, quindi la zia di turno tira fuori pistacchi, noci, noccioline, e i classici dolci natalizi calabresi: chinuliddri (mezzelune di frolla ripieni di marmellata e frutta secca) e scaliddrhi (dolci fritti ricoperti di glassa).

calabria a tavola

Poi alle 7 di sera, che fai? Due Susumelle non te le mangi? E alle 8 iniziamo a scaldare gli avanzi perché s’è fatta ora di cena. La tradizione vuole che le portate del pasto natalizio principale, il pranzo, siano 13 e che tutti debbano assaggiare tutto per buon augurio. Chiaramente, il calabrese è abituato a tutto questo, perché 13 portate è il pranzo che la nonna gli prepara ad agosto per lo spuntino al mare sotto l’ombrellone, ma per chi non è abituato la sfida si fa seria. In molti hanno tentato di superare la prova delle 13, ma se davanti all’entrée di vrasciole si sono dimostrati ottimisti e davanti alla pasta cca’ muddrhica, felici, quando sono arrivati alle torte rustiche di contorno, però, hanno ceduto, implorando pietà e un digestivo potente.

Quindi il consiglio è: volete invitare a cena una Calabrese a Natale? Iniziate ad allenarvi un anno prima e prenotate un tirocinio presso una nonna calabrese, vi servirà.

4. Le Paste della Domenica

Per i calabresi le pastarelle della Domenica sono un’istituzione, il perché va ricercato nella nostra tradizione pasticcera. Per il Calabrese D.o.c., il cake design si è fermato ai riccioli di panna e alle roselline di ostia sulle torte. Le scritte di cioccolato fatte a mano sono il massimo della personalizzazione. Per noi conta la sostanza ed è per questo che i dolci esteri in Calabria non hanno attecchito. Siamo rimasti saldamente ancorati alle vecchie tradizioni e pertanto, la domenica il vassoio dei dolci comprende almeno due babà, 2 diplomatiche, 3/4 sfogliatelle, 2 tartufi, due bignè con la panna, 3 cannoli misti e i cestini alla frutta per i picciuliddrhi (bambini). Muffin, Macarons, Red Velvet e Carrot Cake non potrebbero mai competere con una Susumella o con una torta fatta in casa farcita con crema allo Strega (liquore). É così da sempre e lo sarà sempre, quindi se inviti  a cena un calabrese di domenica, niente americanate. E ricordati l’Amaro del Capo per accompagnare!

  1. Il Garage del Calabrese

Se la cucina è la stanza in cui il Calabrese esprime sé stesso nel privato, il garage è il luogo della condivisione pubblica, degli incontri e delle esperienze collettive. Diciamo l’Agorà.

conserve calabria

Il garage del Calabrese ha varie funzioni e nessuna di queste ha a che fare con il parcheggio dell’automobile. Fra la fine di agosto e l’inizio di settembre, si trasforma in luogo di produzione: è in questo periodo infatti che il calabrese produce quantitativi indefiniti di scorte per l’inverno, passata di pomodoro in primis. A questa 3 giorni distruttiva  partecipano tutti: i parenti, gli amici, i vicini, la gente comune e ogni genere di avventore che passa di lì. Si vive a stretto contatto: tu, i tuoi, i pomodori, le bottiglie, gli zii, la nonna, il basilico, le pentolacce e i vicini che ogni tanto bussano per portarti da mangiare. Per tre giorni mangi praticamente solo pane e pomodoro, torni a casa stravolto come Mentana dopo la diretta delle elezioni americane e sai che per un po’ farai odore di pomodoro, neanche fossi una pizza Margherita. Alla fine però, accetti tutto quanto, perché la sicurezza di avere una scorta annuale di salsa e sottoli non ha prezzo.  

Sempre d’estate, il garage del calabrese diventa il luogo prediletto per le feste con i pochi intimi, quelli del quartiere. Dalle mie parti, ad esempio, si suole fare la cosiddetta “Crispeddrhata” (da: “Crespelle”, ciambelle di pasta di pizza fritte nell’olio bollente).

Mia zia ne organizzava sempre una d’estate, nel suo garage, e noi che eravamo sempre invitati, anziché portarle in omaggio una bottiglia di vino o altri doni, portavamo le sedie, perché tutto il quartiere era invitato, eravamo troppi e non sapevamo mai dove sederci. I fortunati avevano un posto vicino alla pentola del fritto, gli altri stavano fuori a bisbocciare. Dopo un po’ si spargeva talmente tanto la voce che l’affluenza di gente era tanta: la strada si intasava e il traffico aumentava. Di solito per smorzare i toni tentavamo di omaggiare con qualche crispella gli automobilisti avventori che, vedendo la folla in strada, credevano di trovarsi in mezzo al Derby Crotone-Catanzaro.
Erano occasioni speciali, in cui regnava l’allegria, la condivisione e la puzza di fritto. Le occasioni nostalgiche lasciano sempre addosso un bel sapore di casa, quindi se vuoi fare contento un calabrese, organizza una festicciola in garage, si sentirà a casa.

crispelle calabria

Fonte immagine: ntacalabria.it

Questi consigli che ho raccolto sono un omaggio alla mia terra e spero che possano aiutarti a capire un po’ meglio la nostra scala dei valori. Un consiglio su tutti, ed è l’unico che non bisogna mai dimenticare, è che il calabrese è molto generoso e sarà sempre lui a fare il primo passo: sarà lui ad offriti qualcosa, a pagarti la birra o farti un regalo. Egli vuole che la sua generosità lo preceda sempre, quindi se vuoi invitare a cena un Calabrese, assicurati che prima lo abbia fatto lui con te!
Invitare a cena un italiano non è mica semplice perché a seconda della sua provenienza avrà preferenze e gusti diversi. Per fortuna su questo sito potete trovare i nostri consigli migliori… per ospiti da Catania passando per Crotone fino ad arrivare a Bologna!

È nata a Crotone nella primavera dell’ ’87 e da 13 anni vive a Bologna, città che l'ha adottata e coccolata come nessun’altra. Lavora come Social Media Manager per vari brand del mondo food e i suoi piatti preferiti sono fortemente legati alla sua terra e alla sua famiglia: i pip’è patate e il risotto ai frutti di mare di suo padre. Nella sua cucina non mancano mai la Sardella e il peperoncino piccante in polvere.

5 risposte a “5 Cose da sapere se invitate a Cena un Calabrese”

  1. paola ha detto:

    Hai dimenticato il “piccante”!!!! Per un calabrese è una regola!!!

    • Licia Giglio ha detto:

      Ciao Paola, sono l’autrice dell’articolo. Questo omaggio alla mia terra, scritto secondo un parere del tutto personale, non vuole essere la regola ma la mia visione della Calabria. Sono nata a Crotone e da quando vivo al nord ho incontrato spesso persone che riducevano la cultura calabrese alla cultura del piccante. La scelta di non approfondire quindi questo argomento nasce dalla mia esigenza di andare oltre le “solite storie”, perché oltre al piccante c’è molto altro!
      PS= in ogni caso, c’è un articolo sui crotonesi scritto sempre da me che tratta in maniera più specifica questo argomento 🙂 eccolo: https://www.ilgiornaledelcibo.it/invitare-a-cena-un-crotonese-cose-da-sapere/

  2. Paola ha detto:

    Ciao Licia,

    è vero il piccante è uno stereotipo che ci accompagna da sempre e ci distingue ovunque ma non ci riduce, comunque, “solo” a questo!

    Per mia esperienza (e scusa se ti contraddico) i non calabresi lo sanno e si complimentano invece, per l’uso “sapiente” del piccante che noi ne facciamo utilizzandolo in alcuni nostri piatti.

    Rispetto la tua scelta di non introdurre l’argomento”piccante” nel tuo articolo tuttavia penso che non si possa parlare di cucina romagnolo/emiliana senza accennare a tortellini o Parmigiano o di cucina siciliana senza accennare a cassata e cannoli piuttosto che di cucina napoletana senza parlare di babà o pastiera e tuttavia confinarle solo a quello!

    Del resto le cucine di ogni regione (del mondo) sono così: “caratteristiche”.

    Tutti lo sanno.

    Ma sanno anche che c’è molto di più.

    Ed è in questo che sta la loro bellezza!

  3. Sasà ha detto:

    significato di gargi : bocca …. Quando mangi la parmigiana l’olio deve colare … 🙂 Giusta osservazione con la parmigiana del giorno dopo complimenti.

  4. Giovanni ha detto:

    In merito alle traduzioni non pervenute: 1) il giorno dopo deve avere ancora l’olio che cola gargi gargi (traduzione non pervenuta). Gargi Gargi sta per Bocca Quindi Bocca Bocca 2) “Mo ti fazz novo novo” (trad. lett. non pervenuta) Un modo di dire simile a ti rifaccio i connotati una minaccia di punizione corporale.

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