Il Giornale Del Cibo Mangia Abruzzese! E Tu?

Adriana Angelieri

di Martino Ragusa. Non è la prima volta che il Giornale del Cibo mangia abruzzese. Nei nostri due anni di vita abbiamo visitato questa regione più volte, per esempio sono andato a Navelli come ‘Turista per Cibo’ per parlare di Zafferano e a Campotosto, per degustare le famose mortadelle e gli altri eccellenti salumi, per segnalare ristoranti meritevoli di una visita. Stavolta, però, vi parlerò delle eccellenze gastronomiche abruzzesi con ancora più passione e senza bisogno di spiegare il motivo fin troppo presente nella mente e nel cuore di tutti. C’è un modo discreto e piacevole di dare una mano ai nostri amici in difficoltà: quello di conoscere la loro magnifica gastronomia e di consumarne i prodotti, chiedendoli ai nostri negozianti di fiducia, nei supermercati o acquistandoli in rete o direttamente dai produttori. Facciamo sentire la nostra vicinanza attraverso questa via di grande efficacia. Ricordate: mangiare abruzzese è un aiuto utile e senza controindicazioni. Favorendo l’economia non si rischia di eccedere, nè di disturbare, nè di ferire la dignità di nessuno. Semplicemente si permette a molte persone di tornare a fare il loro lavoro. Raccogliete questo invito. I prodotti sono tanti e di grande qualità. Eccoli: Le specialità dell’Abruzzo di Mara Briganti. I salumi In tempi lontani le famiglie contadine dell’Abruzzo ogni anno allevavano con cura un suinetto, fonte di sostentamento dell’intero anno all’insegna del ‘non buttar via nulla’, come accade in tutte le economie rurali. Queste le specialità della salumeria abruzzese: La Ventricina racconta le tradizioni di ciascun paese abruzzese, tanto che potremmo quasi disegnare una cartina della regione sostituendo ai nomi delle province le varie forme e composizioni di questo insaccato! Nella preparazione vengono usate dappertutto le parti più nobili del maiale, condite spesso con l’inconfondibile peperoncino abruzzese e insaccate nello stesso stomaco dell’animale. La Ventricina di Crogonoleto (o Teramana) prevede un’alta percentuale di grasso nella preparazione ed è quindi spalmabile, ottima su pane e crostini. Quella di Guilmi è fra le più apprezzate perchè il peperoncino dolce con cui è condita, essiccato e macinato, la rende gustosa anche per chi non ama il piccante. Ha inoltre una stagionatura particolare dovuta alla circolazione del vento fra il mare di Vasto e la montagna di Roccaraso, quindi è realizzabile esclusivamente a Guilmi. La Ventricina di Vasto si distingue per le dimensioni: può pesare da 1 a 4 kg. Leggermente piccante, stagionatura e speziatura le conferiscono un aroma fragrante che si può gustare appieno affettandola grossolanamente con un coltello. Vi dice niente la parola Mortadelle di Campotosto? O forse avete sentito nominare i Coglioni di mulo? Ebbene, sono la stessa cosa. Nel primo caso si pone l’accento sul luogo di origine del salume, mentre nel secondo l’accezione ambigua non deve confondervi: indica solamente che sono venduti a coppie! La vera Mortadella di Campotosto non ha niente a che fare con la sua omonima bolognese: ha forma ovoidale, l’impasto fine e magro di colore rosso e una caratteristica barretta di lardo inserita all’interno, il ‘lardello’. Pare sia una preparazione con più di 500 anni e il nome deriverebbe da ‘mortarius’, il luogo in cui un tempo venivano pestate le carni. Più comune è il Salame dell’Aquila, un salume crudo, leggermente incurvato, ma ‘piatto’: dopo la legatura con lo spago e 2 o 3 giorni di asciugatura, viene pressato per altri 4 o 5 giorni tra due assi di legno, o tra reti di acciaio. La Soppressata Abruzzese è molto simile, differisce esclusivamente per la macinazione meno fine delle carni. Le salsicce più famose d’Abruzzo sono sottolio: vengono preparate con cura e lentezza, evitando accuratamente di far entrare aria nell’impasto. Stagionano 15 giorni, poi vengono inserite secche in contenitori colmi di olio d’oliva. Conservato allo stesso modo è il Fegatazzo di Ortona, a base di fegato di maiale, milza, polmoni, rete, ritagli di ventresca e guanciale. Per fare le salsicce di fegato si usano frattaglie tagliate ‘in punta di coltello’, mescolate ad aglio, buccia d’arancia, alloro, sale, pepe e peperoncino. Alcuni salumi sono famosi per il loro ‘valore di scambio’: nel XVIII secolo le religiose del convento di Santa Chiara a Lanciano ricompensavano l’avvocato che curava le loro vertenze con il Salsicciotto Frentaneo, un salume fatto con le parti più magre e pregiate del maiale. Mentre il Lumello, o salsicciotto di Guilmi, per tradizione non si può vendere, solo dare in cambio a favori ricevuti o richiesti. La Micischia (detta anche Vicischia, Vicicchia o Mucischia) è ormai una rarità; a differenza degli insaccati precedenti è fatta con carne di pecora. Oltre al suinetto di famiglia, anche le pecore contribuivano in passato al sostentamento familiare: fonte preziosa di latte, formaggio e carne. Questo salume di colore bruno e struttura compatta ricorda la pelle di cuoio ed era tipico delle zone montane. Negli anni ’60, con la quasi scomparsa della pastorizia transumante, la sua produzione è diminuita molto. Se avrete la fortuna di assaggiarlo noterete il particolare sapore, deciso e sapido. Conserve di pesce Lo Scapece Abruzzese è una preparazione a base di pesce nata sulla costa vastese, dal colore dorato e dalla fragranza gustosa. Come si fa? Il pesce fresco, preferibilmente la razza, deve essere tagliato e fritto. Dopo averlo fatto scolare, va fatto riposare in una salsa di aceto e zafferano. In Abruzzo per quest’ultima fase un tempo venivano utilizzati tini di legno, oggi contenitori ermetici in acciaio, ma rimane comunque una ricetta artigianale con metodi di preparazione arcaici tramandati per generazioni. Bisogna farsene una ragione, preparata in casa non sarà mai come quella artigianale abruzzese, o pugliese (un’altra gustosa variante). La ricerca sarà forse un po’ difficile, ma vale la pena acquistarle lo Scapece da piccoli artigiani, o nei ristornati della zona. I formaggi L’ingrediente fondamentale di molti formaggi abruzzesi è il latte delle vacche podoliche, di ottima qualità per l’alto contenuto di grassi, proteine e vitamine. Il primo e forse il più conosciuto è il Caciocavallo, tradizionalmente prodotto da piccoli caseifici aziendali al confine con il Molise. Qui la filatura e la formatura sono eseguite a mano, in alcuni casi per la coagulazione del latte sono ancora utilizzati mastelli in legno che fungono anche da starter. ‘Mettere le forme a cavallo’ significa appendere le forme di questo formaggio a un bastone orizzontale per la stagionatura: così sistemato, il caciocavallo può stare dai tre mesi ai due anni, risultando con un sapore più dolce e pastoso se fresco, o intenso e piccante se stagionato. Un tempo, quando le vacche podoliche venivano utilizzate per il lavoro agricolo, si utilizzava il loro latte crudo per fare la Caciotta Vaccina Frentana. Oggi è cambiata la provenienza dell’ingrediente – si usa il latte di razze come la Bruna, la Frisona e la Pezzata rossa – ma resta invariata la sua peculiarità. Si può consumare fresca dopo pochi giorni, o arrostita dopo 15 o 20 giorni. Una volta si faceva stagionare e diventava un formaggio da grattugia che si utilizzava anche per preparare un dolce, il Fiadone. Non è cambiato invece il segno caratteristico sulla superficie delle fuscelle di vimini usate per la formatura, oggi come allora. La Giuncata o Giuncatella nacque come prodotto fresco di autoconsumo immediato, ma oggi è distribuita a livello commerciale e si può trovare in tutto il meridione. Il nome deriva dai recipienti di giunchi intrecciati usati durante la preparazione. In Abruzzo si chiama anche Sprisciocca, perchè il prodotto viene consumato subito dopo una spremitura, un tempo realizzata in un telo di lino. La Scamorza Abruzzese è fatta con latte intero di vacca. Il nome di questo formaggio (comune anche in Molise e Puglia) deriva da ‘scamozzare’, ovvero ‘togliere una parte’: il casaro con le mani spezza la pasta e dà al formaggio la sua caratteristica forma sferoidale con una strozzatura nella parte superiore. Infine citiamo i Pecorini, in particolare quelli prodotti ad Atri e Farindola. Il Pecorino di Atri è ottenuto da latte intero crudo di pecora con caglio di agnello. Ne esiste anche una versione sottolio chiamata ‘pecorino di Montone’ (dal nome del paese di origine), che si ottiene mettendo le forme a maturare in barattoli di vetro con olio. Quando lo si gusta, dopo 6-8 mesi, è ancora tenero, dal sapore delicato, ma leggermente piccante. A Farindola si dice che la creazione del Pecorino sia prerogativa delle sole donne. La ricetta ha origini molto antiche e prevede l’utilizzo del caglio di suino, a cui dobbiamo il particolare aroma e sapore del prodotto. Nonostante si fabbrichi a livello aziendale, la sua ricetta mantiene la cura e l’attenzione di un tempo: si usa latte intero crudo di una sola munta di animali allevati sui pascoli del Gran Sasso e la fase di stagionatura avviene all’interno di vecchie madie di legno usate esclusivamente a questo scopo. Inoltre, nel periodo di stagionatura, la superficie del formaggio viene pazientemente unta a mano con una miscela di olio extra-vergine di oliva e aceto, così da evitare la formazione di muffe e screpolature. Fra le produzioni casearie meno comuni c’è il Formaggio Caprino della Valle del Sagittario nella zona di Villalago; e il Puntato o Marcetto, caratterizzato dal sapore piccantissimo e dalla presenza all’interno di vermicelli. Cereali, legumi, farine Il farro si coltiva in Abruzzo fin dall’antichità. Lo troviamo ancora oggi nella fascia collinare interna e nelle zone pedemontane e montane delle quattro province d’Abruzzo, dove riesce a crescere grazie alla sua adattabilità anche a condizioni ambientali ostiche all’agricoltura. Questo cereale è legato storicamente all’Abruzzo, fondamentale per l’autoconsumo familiare, tanto che non è raro sentir parlare in dialetto di ‘livessa’ rossa o bianca, a indicare due qualità del farro. Famose sono le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, coltivate esclusivamente su terreni situati fra i 1150 e i 1600 metri sul livello del mare, alle pendici del Gran Sasso. La genuinità che caratterizza il prodotto è garantita dalle particolari condizioni pedoclimatiche che interessano la zona e che impediscono l’applicazione di interventi chimici sulle colture. Sono piccole, saporite, di colore più scuro rispetto alle altre varietà… Hanno tutte le caratteristiche delle lenticchie perfette: non hanno bisogno di stare in ammollo prima di essere consumate, sono di rapida cottura e si mantengono integre una volta cotte! Farine alimentari Fra i prodotti tipici abruzzesi si possono poi annoverare le farine alimentari, la più nota è quella di Fara di San Martino, paese sul versante orientale della Majella, in provincia di Chieti. La città è giustamente considerata da molti ‘la capitale della pasta’, perchè qui si è formato nel tempo un polo produttivo noto a livello internazionale. Una nomea rinforzata anche dagli ingredienti purissimi utilizzati: acqua di sorgente e grano selezionato. Questi sono solo alcuni dei segreti degli ottimi prodotti da forno abruzzesi oltre che delle paste fresche e secche della zona. La pasta secca La pasta secca di Fara di San Martino è riconosciuta a livello internazionale per l’eccellente qualità. Alla grande esperienza sembra quasi corrispondere il grande formato: anelloni, fusilloni, paccheri e fusilli giganti vengono ancora oggi prodotti con trafile circolari in bronzo. La lunga essiccazione cui sono sottoposti, una delle fasi più delicate della trasformazione, è fatta con la pazienza di un tempo: dura in genere dalle 36 alle 48 ore, a basse temperature. La tipica sfoglia grezza è frutto dell’inventiva dei contadini che per ottimizzare impastavano con la semola e un po’ di crusca, scartata dai ricchi signori. Il Taiarello di Trito è fatto con un impasto molto simile, pur essendo più sottile, così come il rigatone grezzo e lo spaghetto grezzo a matassa. Provare per credere. Oltre ad assaggiare questi prodotti non dimenticate di controllare dov’è la sede di produzione della celebre pasta De Cecco, probabilmente non ne resterete sorpresi! Pani tipici La lunga tradizione di paste alimentari, fa si che tuttora in Abruzzo sopravviva la panificazione casalinga, considerata ancora oggi un privilegio. Soprattutto nelle regioni montane, dove spesso i raccolti cerealicoli erano insufficienti e i forni pubblici molto rari, quando a tavola c’era il pane, era un giorno speciale! Gli abruzzesi hanno trovato il modo di panificare oltre alle farine autoctone, anche mais, patate e cicoria. Inoltre e non a caso, i pani tipici hanno tutti un tempo di conservazione molto alto. Ad esempio il pane spiga, facilmente riconoscibile per la forma a spiga di grano; o il pane Cappelli, creato per la prima volta nel 1930 e prodotto con il grano Senatore Cappelli. Non tutti sanno che fu un certo Raffaele Cappelli, abruzzese, a promuovere la riforma agraria che nel ‘900 portò alla distinzione tra grani duri e teneri. Proprio a lui si dedicò questa varietà di grano, dalle spighe alte più di un metro e ottanta, con cui in origine si produceva l’omonimo pane. Ha origine incerta invece l’etimologia del Pane di Cappella, più scuro del primo citato, dal colore giallo paglierino, e più saporito. I dolci Non potete conoscere a fondo l’Abruzzo senza avere assaggiato almeno uno dei suoi dolci tipici, sembra che molti poeti e scrittore ne siano rimasti incantati… Lo scrittore Ignazio Silone, originario di Pescina, non mancava di portare in dono ai suoi amici romani il Torrone di Guardiagrele. Evidentemente era stato sedotto da questo croccante fatto di mandorle tostate con zucchero, cannella e frutta candita. Più fedele al suo nome è il Torrone al cioccolato aquilano: si ottiene amalgamando miele, albume montato a neve, zucchero e un po’ di vaniglia, aggiungendo successivamente nocciole e cacao. I Confetti di Sulmona sono conosciutissimi in tutto il mondo, Giacomo Leopardi era ghiotto di Cannellini, la varietà dalla forma lunga e sottile con all’interno un ripieno di cannella. Le mandorle utilizzate sono quelle di Avola, fra le più pregiate, mentre l’anima può essere costituita da nocciola, cannella, cioccolato, canditi vari, pistacchio, frutta secca ed essere ricoperta da di zucchero o cioccolato. Gabriele D’annunzio prese particolarmente a cuore la sorte e il nome di un dolce tipico abruzzese: il Pane Rozzo. Oggi lo conosciamo come Parrozzo, formato da una pasta battuta (detta anche pasta montata) con l’ aggiunta di farina di mandorla e armelline grezze, cotto al forno e ricoperto da cioccolato fondente. Un tempo lo producevano in casa i contadini, aveva una superficie semisferica scura, dovuta alle bruciature tipiche della cottura nel forno a legna, e la farina di granoturco utilizzata nell’impasto gli conferiva il caratteristico colore giallo all’interno. L’aggettivo dispregiativo serviva a distinguerlo da quello destinato ai ricchi, fatto con farina di grano e quindi più chiaro. Luigi D’Amico nell’800 pensò di riprodurre il colore del granoturco con quello delle uova e di ricoprire il dolce con il cioccolato fondente a simulare il metodo di cottura. Risultato: bontà infinita, ma con le sembianze del dolce povero di un tempo. Fu proprio Gabriele D’Annunzio a suggerire la crasi che lo avrebbe identificato dalla sua creazione in poi: Parrozzo. Dall’esigenza comune del non sprecare nulla, nascono i Sospiri Aquilani. Mentre la massaia cucinava, conservava il bianco d’uovo; dopo aver cotto il pane, mentre il fuoco si stava spegnendo, infornava i cosiddetti ‘Sospiri’: altro non sono che meringhe fatte con albume montato e zucchero. Chi poteva un tempo aggiungeva anche qualche mandorla, oggi invece vengono ricoperti di cioccolato. Il Castellino, o più semplicemente Bocconotto di Castel Frentano, è una tartelletta di pasta frolla arricchita con una crema a base di cioccolato fondente, mandorle e cannella. La Cicerchia, invece, è un dolce tipico carnevalesco dell’area frentanea composto da tante palline di pasta fritta legate tra loro con il miele (le cicerchie da cui prende il nome). Allegre per definizione, le cicerchie possono essere disposte come si preferisce, a ciambella o a cupola, con in superficie confetti colorati o mandorle. La torta tipica abruzzese, rustica o dolce, è il Fiadone: un involucro di pasta sottile che racchiude formaggi, ricotta e uova. Le prime notizie della ricetta risalgono in realtà alla corte rinascimentale di Ferrara, ma uno dei suoi ingrediente fondamentali è da sempre lo zafferano e tutti sappiamo che non il migliore è proprio quello prodotto nell’Aquilano. Non lasciatevi ingannare dal nome, le Pizzelle in Abruzzo non hanno niente a che fare con mozzarella e pomodoro. Tradizionalmente offerte a tutti coloro che si recavano a visitare la dote della sposa, sono dolci dalla forma rotonda o quadrata conferita da un particolare strumento utilizzato per la loro cottura già dal ‘700. L’impasto, a base di uova e farina, si inserisce fra due piastre sovrapposte con all’interno apposite scanalature ed il tempo di cottura, prima da un lato della piastra, poi dall’altro, è tradizionalmente scandito dalla recita dell’Ave Maria o del Padre Nostro. Le Sise delle Monache sono una produzione esclusiva di Guardiele. Alti strati di soffice pandispagna farciti con crema pasticcera accostati a triangolo, in riproduzione delle tre vette della Majella. Per questo motivo si può chiamare anche ‘Tre Monti’, ma la prima denominazione ricorda le creatrici originali, che la leggenda popolare identifica con le suore Clarisse. A Lama dei Peligni, si prepara una sfogliatella ripiena di marmellata d’uva e amarena, mosto cotto, noci e cacao. Ricorda le sfogliatelle napoletane, con qualche variazione di ingredienti. La moglie del Barone Tabassi, nostalgica dei dolci campani, creò nell’800 una ricetta ad hoc da poter fare in Abruzzo: oltre ad aggiungere lo strutto, l’ingegnosa signora optò per la farcitura con una prelibatezza regionale, la Scrucchiata d’uva. Si tratta di una confettura ottenuta da uve di vitigni autoctoni a bacca rossa, principalmente di varietà Montepulciano, vendemmiate ben mature. Gli acini raccolti vengono ‘scrocchiati’, ovvero schiacciati manualmente tra il pollice e l’indice. Arricchisce anche altri dolci regionali come i Calcionetti e le Neole di Natale. Condimenti, aromi, spezie Diavoletto, diavolicchio, lazzaretto, lupiccant, l’amaro sono tutte parole che in Abruzzo servono a indicare il rinomato e piccantissimo Peperoncino. Amato da tutti gli Abruzzesi, che sembra non possano farne a meno, lascia a volte un po’ interdetti gli assaggiatori extra regionali. Ma non temete: si può scegliere tra quello tritato con la presenza dei semi (molto piccante) e quello tritato senza semi (meno piccante). Si sa che sotto al sapore molto forte di questo aroma si nascondono ottimi benefici per la salute, in particolare il peperoncino abruzzese della varietà Acuminatum e C. Cordiforme contiene una buona quantità di vitamine A, B2, C e sali minerali, tra cui rame e potassio. Si può consumare fresco nel periodo estivo, o tritato nel periodo invernale, mentre i meno temerari possono degustarlo all’interno dei pecorini e dei salumi regionali. C’è poi l’inconfondibile Zafferano dell’Aquila. Questo prodotto ha ottenuto recentemente la DOP, ma ha rappresentato nel passato una sostanza tonificante e alimentare dai più svariati usi presso le popolazioni locali. Il più pregiato nasce nel microclima della piana di Navelli, sul versante meridionale del Gran Sasso, ma dal XIII secolo la sua coltivazione è diffusa in tutto l’aquilano. La procedura di raccolta, rimasta invariata nel tempo, prevede la selezione manuale dei fiori ancora chiusi, da cui poi si prelevano gli stimmi. Questi, una volta essiccati sugli appositi setacci utilizzando la brace di legno di quercia, possono essere commercializzati integri (in filamenti) o in polvere. Il colore rosso porpora e il pungente aroma rendono lo Zafferano dell’Aquila uno dei più pregiati al mondo. Gli Oli Quale migliore testimone della bellezza degli ulivi abruzzesi se non Gabriele D’Annunzio, che scrisse: ‘Esili foglie, magri rami, cavo tronco, distorte barbe, piccol frutto, ecco, e un nume ineffabile risplende nel suo pallore!’ Oltre alla bellezza e sacralità delle piante, oggi parliamo anche dell’alta qualità degli oli delle colline abruzzesi. Iniziamo dall’Olio Aprutino, prodotto nella zona dagli antichi denominata Aprutina, ma che noi possiamo identificare con la provincia di Pescara. E’ ottimo se abbinato a piatti a base di pesce, o al tipico brodetto pescarese. La pianta dell’ulivo era già presente nella zona durante l’epoca romana, tempo dopo compariva in molti stemmi araldici, come simbolo di nobiltà. Attorno a Chieti troviamo l’Olio Colline Teatine, che ha due possibili due menzioni geografiche: Frentaneo (Lanciano e dintorni) di colore verde con riflessi dorati e Vastese, di colore più tendente al giallo. L’odore e il sapore fruttato costante dell’olio abruzzese, in queste varietà acquistano un sentore erbaceo e una sensazione leggera di amaro e piccante. Infine segnaliamo l’olio Agrumato abruzzese, da non confondersi con i comuni oli aromatizzati. Questo prodotto ha un gusto morbido e delicato, quasi vellutato, dovuto al particolare modo di produzione che prevede la spremitura di olive e agrumi freschi contemporaneamente. Si utilizza quasi esclusivamente il limone, ma anche arancia, bergamotto e mandarino. L’olio Agrumato nasce in maniera quasi casuale: secondo testimonianze dei contadini locali, deriva dall’utilizzo dei limoni per pulire i fiascoli utilizzati nelle presse dei frantoi. L’utilizzo ideale in cucina è come condimento a crudo di insalate, verdure e ortaggi, oltre che pesci e carni, specie se bollite o cotte alla brace. I vini Il vino abruzzese nell’ultimo decennio ha ottenuto molti consensi internazionali di mercato e di critica. I vini più rappresentativi della regione sono il Montepulciano, il bianco Trebbiano d’Abruzzo ed il Controguerra. La base del Montepulciano d’Abruzzo Doc è il vitigno Montepulciano, uno dei grandi vitigni autoctoni a bacca rossa d’Italia, da cui si ricava uno dei vini più importanti a livello nazionale. A scanso di equivoci, nonostante il nome, non è da confondere con il Vino Nobile di Montepulciano che è risaputamente in Toscana. Accanto al nome Montepulciano d’Abruzzo si può trovare la qualifica Cerasuolo, se le uve vengano vinificate in presenza delle bucce per un limitato periodo di fermentazione; oppure delle Colline Teramane, un prodotto di Denominazione Di Origine Controllata e Garantita (DOCG). Il bianco regionale per eccellenza è il Trebbiano d’Abruzzo, dal colore giallo paglierino, che si caratterizza per la freschezza olfattiva e gustativa su note floreali e di mela matura. Il Controguerra invece può essere bianco o rosso e diversamente dai primi due -c he si producono sull’intero territorio regionale – può essere prodotto solo in cinque comuni (Controguerra, Colonnella, Torano Nuovo, Ancarano e Corropoli), nella zona più a nord della provincia di Teramo. E’ un uvaggio composto per il 60% da uve di Montepulciano d’Abruzzo, con minimo il 15% di uve di Merlot e/o Cabernet Sauvignon e da altre uve a bacca rossa autorizzate. Vi sono poi numerosi vitigni abruzzesi facilmente identificabili dal marchio di origine IGT (Indicazione Geografica Tipica) prodotti ad esempio nel Vastese o Histonium, nei colli Aprutini o nelle Colline del Frentane. Liquori Ogni liquore abruzzese testimonia lo stretto legame con il territorio, la genuinità dei prodotti locali e una lunga storia secolare. Il Centerbe, ad esempio, era offerto a pellegrini e pastori che durante il loro viaggio si fermavano a chiedere ristoro nella Basilica Romanica di San Clemente, a Tocco Cesauria. La Ratafia, racconta Alessio de Berardinis nell’anno 1868, deve il suo nome alle parole latine che pronunciavano gli ambasciatori sorseggiando il liquore trattando della pace in guerra: Pax rata fiati. Centerbe, Ratafia e Liquore allo Zafferano sono i distillati tipici abruzzesi. Per fare il Centerbe ancora oggi si raccolgono le erbe fresche della zona, si lasciano essiccare per poi mondarle accuratamente. Il liquore nasce per infusione a freddo di queste ultime in alcool, selezionato fra quelli di migliore qualità. è stato lo speziale Beniamino Toro Senior alla fine del ‘700 a rendere la preparazione casalinga del Centerbe un rinomato liquore, ottimo come correttivo per caffè, latte e cioccolata, o come ingrediente in cucina e pasticceria. Nonostante l’assoluta mancanza di zuccheri o aromatizzanti si distingue per il bel colore verde smeraldo e il fresco odore di erbe. E’ invece l’aroma di amarene e frutti di bosco a caratterizzare il Ratafià, liquore dalla bassa gradazione alcolica (tra i 7 e i 14,5) a base di amarene mature, vino rosso ottenuto da uve del vitigno Montepulciano, zucchero, aromi naturali e poco alcool. Il Liquore allo Zafferano è l’ultima delle preparazioni a base dell’aroma principe dell’Abruzzo: ottenuto per infusione a freddo porta un intenso odore di zafferano, che a volte viene mitigato da l’aggiunta di anice o erbe aromatiche. Oltre a essere utilizzato in pasticceria, oggi come un tempo è ritenuto un ottimo corroborante in caso di raffreddore se abbinato al latte caldo, mentre con il latte freddo diventa un perfetto rimedio per il caldo estivo.

Siciliana trasferita a Bologna per i tortellini e per il lavoro. Per Il Giornale del Cibo revisiona e crea contenuti. Il suo piatto preferito può essere un qualunque risotto, purché sia fatto bene! In cucina non devono mancare: basilico e olio buono.

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