Food Photography

Food Photography vs #Foodporn: intervista ad Alessandra Tinozzi

Silvia Trigilio

Non dite che non lo avete mai fatto, ché i feed dei nostri social parlano chiaro: immagini di cibo (che fanno ingrassare solo a guardarle!) imperversano ovunque e gli autori sono tra di noi. Anzi: siamo noi.

Sì, perché l’abitudine di prendere in mano lo smartphone al ristorante per fotografare l’opera d’arte che ci hanno appena servito, prima di farne polpette per il nostro esofago, ha conquistato indistintamente digital native e nonni, e in fondo c’è un motivo: ve ne abbiamo parlato nell’articolo sull’effetto che le immagini del cibo hanno sul nostro cervello (ricordate?).

Ma queste onnipresenti foto di piatti che ci fanno sbavare a tutte le ore del giorno e della notte possono essere considerate arte? E come si fa a rendere in foto tutta la bellezza di un piatto? Infine, quanto è importante, per chi lavora nel food, mettere online le foto giuste?

 

Alessandra-Tinozzi

 

Di questo e di altro abbiamo parlato con Alessandra Tinozzi, regina della food photography made in Italy con una smodata passione per la fotografia di ritratto, vincitrice nel 2009 del “Premio della Qualità Creativa” come ritrattista della sezione Bambino adv, nonché Autore segnalato nella ritrattistica di personaggi editoriali.
A lei, che ha immortalato e continua ad immortalare piatti e chef stellati in tutte le salse, abbiamo fatto una sfilza di domande

 

Da food photographer professionista, cosa pensa del trionfo del #foodporn sui social? Possiamo considerarla una forma d’arte o una moda che sta rendendo mainstream un linguaggio artistico?

A.T.: L’imperversare di foto di food sui social è un fenomeno misterioso del quale non mi do ragione, sicuramente non lo definirei una forma di arte, quanto piuttosto una forma compulsiva di condivisione del proprio quotidiano. In rari casi si trovano belle immagini, con una certa grazia iconografica, ma nella maggior parte dei casi le foto sono davvero bruttine e non riportano l’appetibilità del piatto mangiato, né l’emozione dell’esperienza culinaria. In quei casi io mi chiedo, perché?

 

Nella sua esperienza, c’è una tipologia di piatti, o di ingredienti, che in foto rende più degli altri?

A.T.: Sicuramente fotografare un piatto di “alta cucina” è più semplice perché a priori c’è una maggiore attenzione alla presentazione. Anche la porzione più ridotta, aiuta. Un piattone abbondante di tagliatelle al ragù è più difficile da fotografare del cyber egg di Scabin.

 

Uova Oro ChefMilani© alessandra tinozzi

 

Stando a quanto ci dicevano nel mese d’agosto il tedesco De Welt e l’americano The Next Web, il foodporn in Germania è diventato illegale: è stata infatti emanata una legge secondo cui gli chef sono considerati detentori del diritto di copyright delle loro pietanze, e per condividere su social foto che ritraggono elaborati piatti comandati al ristorante bisogna chiedere l’esplicito permesso dello chef. Da artista cosa ne pensa: è una legge che tutela la creazione artistica, o che penalizza delle buone opportunità di marketing?

A.T.: È sicuramente un provvedimento un po’ estremo ma certo volto a proteggere la creatività dello chef. Non credo che penalizzi buone opportunità di marketing perché certe immagini rendono così brutto il piatto che il mostrarlo sarebbe uno svantaggio invece che un vantaggio per il ristorante che spende molte energie creative e logistiche per la presentazione dei suoi piatti. Se si tratta invece di wurstel e crauti, vale tutto 😉

 

“Sul cuscino” (che poi è il nome di un suo interessantissimo progetto fotografico) ha fatto sdraiare alcuni degli chef italiani più famosi: Carlo Cracco, Antonino Canavacciuolo, Davide Scabin, Massimo Bottura, Andrea Berton…solo per fare alcuni nomi. Le va di parlarci del progetto e del suo significato?

A.T.: Era tempo che fotografavo un sacco di chef, personaggi affascinanti, appassionati, energici e naturalmente anche molto centrati su di se, sul loro ruolo. Cercavo una situazione fotografica che li mettesse per così dire “a riposo”, che concedesse loro di togliersi la maschera e di essere semplicemente degli esseri umani.

Semplicemente Carlo, semplicemente Antonino, semplicemente Gualtiero. L’idea di SC nasce così; sdraiare un grande chef per far vedere l’uomo e i sogni che ci sono dietro di lui, dentro di lui, impigliati sul suo cuscino. Per questo i ritratti sono così intensi e i personaggi così umani: sono stati messi con le spalle a terra, letteralmente.

 

Tra tutti gli stellati che ha fotografato, chi, più degli altri, si è “abbandonato” con naturalezza al suo cuscino e ha regalato al suo obiettivo il suo ritratto autentico?

A.T.: La posizione in cui costringo i miei soggetti è per forza “una resa”. Sono “spalle a terra” e – per poco – abbandonano difese, schemi posturali e maschere professionali. È un breve momento di naturalezza, ma funziona. Per cui direi che tutti si sono abbandonati

 

carlo cracco sul cuscino© alessandra tinozzi

Quest’anno parteciperà come speaker a Be-Wizard, uno dei più importanti eventi sul digital marketing in Italia. Come mai ha deciso di partecipare?

A.T.: Penso che gli chef, i ristoratori e in parte anche gli operatori del settore food, abbiano bisogno di comprendere cosa significa fare qualità, non solo nelle materie prime, nel servizio, negli arredi, ma anche nella comunicazione d’immagine. Che senso ha lavorare bene e non farlo capire per bene?

 

Chi parteciperà a Be-Wizard assisterà quest’anno ad una novità assoluta: la sessione specialistica dedicata al food digital marketing. Cosa pensa della scelta fatta dagli organizzatori?

A.T.: La comunicazione oggi è digital. Al 95%. Che senso ha parlare di altro? La cultura digitale è imprescindibile per lavorare nel nostro tempo e trasformare positivamente questa crisi che ci attanaglia. Occorre trovare nuovi spazi, nuovi modi e nuovi clienti. A livello personale uno può anche fare a meno del “digital”, ma a livello professionale non è più possibile.

 

Senza spoilerare il suo intervento (non lo chiederemmo mai e sappiamo che lei non lo farebbe!), le va di darci qualche anticipazione?

A.T.: Spiegherò al meglio che posso perché è importante “metterci la faccia” e perché comprare un iphone non è l’unico investimento da fare per la propria comunicazione. Dirò anche quali immagini assolutamente non dobbiamo mettere on line e perché…

 

Infine, il “parere dell’esperto”: …ci dà due dritte per un #FoodPorn da paura?

A.T.: Scattate SOLO se c’è luce. E per luce intendo quella naturale. Sembra una banalità, ma la fotografia è scritta con la luce. Se la luce è brutta o scarsa, la fotografia sarà brutta o scarsa..

 

Siete amanti della food photography? Cosa ne pensate della moda del #foodporn? Siamo curiosi di sapere come la pensate: ditecelo in un commento!

 

Immagine in evidenza: © alessandra tinozzi

Nata ad Augusta, in provincia di Siracusa, vive a Bologna, dove lavora per l'agenzia di comunicazione Noetica. È direttore responsabile de Il Giornale del Cibo, per cui si occupa di Food Innovation. Il suo piatto preferito è l'insalata di polpo, a patto che sia fresco e cotto bene, perché "è un piatto semplice che riesce a portarmi a casa senza prendere l'aereo". Per lei in cucina non possono mancare il limone, l'origano, l'olio buono e una bottiglia di vino bianco.

Una risposta a “Food Photography vs #Foodporn: intervista ad Alessandra Tinozzi”

  1. MIchelangelo Convertino ha detto:

    “non lo definirei una forma di arte, quanto piuttosto una forma compulsiva di condivisione del proprio quotidiano” come non condividere le parole di Alessandra Tinozzi una delle food photography ai quali mi sono più volte ispirato. Fotografare un piatto è un’ arte almeno quanto prepararlo, quindi va fatto nella maniera più adeguata possibile. Io ci provo da un pò, sul mio sito.

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