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FICO a Bologna: l’intervista ad Andrea Segrè, ideatore del progetto

Matteo Garuti

Oggi è il giorno di Fico, a Bologna apre il primo parco agroalimentare al mondo. Dopo una gestazione abbastanza breve che ha coinvolto molte realtà economiche, culturali e amministrative locali e nazionali – questo grande progetto vede finalmente la luce. Per approfondire gli obiettivi del parco e i motivi per visitarlo, abbiamo intervistato Andrea Segrè, presidente della Fondazione Fico e del Centro agroalimentare di Bologna, nonché primo ideatore dell’iniziativa. Oltre a essere docente di Politica agraria internazionale, il professor Segrè da anni è impegnato nella lotta allo spreco alimentare.

Fico a Bologna: la genesi

conferenza fico

Prima di descrivere i motivi di interesse del grande parco agroalimentare, il professor Segrè riassume il percorso che ha preceduto l’inaugurazione di Fico, la Fabbrica italiana contadina di Bologna. Si può dire che il cammino sia cominciato con la volontà di valorizzare un bene pubblico, indirizzandone l’utilizzo verso una progettualità innovativa e ambiziosa. Nel 2012 Segrè presiedeva la Facoltà di Agraria di Bologna, ubicata in un edificio contiguo al nuovo Centro agro-alimentare della città (Caab), originariamente concepito per essere il centro direzionale di quest’ultimo, ma che poi venne destinato all’Università.

Si trattava di un plesso persino sovradimensionato, con una superficie di settanta ettari e un centro direzionale di 40.000 metri quadri, che secondo il piano iniziale, come detto, doveva coincidere con gli attuali edifici universitari. Una volta nominato presidente, Segrè condivide con il direttore generale di Caab l’idea di usare gli spazi del mercato ortofrutticolo spostando gli operatori in un’altra piattaforma contigua per ospitare una “Cittadella del cibo e della sostenibilità”, ricostruendo il percorso del cibo dal campo alla tavola. L’idea viene condivisa poi con il Consiglio d’amministrazione e soprattutto con il Comune, ‘azionista di maggioranza’ di Caab, società partecipata.

Come ricorda l’intervistato, “l’idea era molto semplice, e sostanzialmente il risultato di oggi coincide con la visione iniziale”. Quello spazio avrebbe mostrato le filiere dell’eccellenza agroalimentare italiana, dal campo alla tavola. Una grande fattoria didattica, che doveva diventare la casa dell’educazione alimentare, per rivolgersi soprattutto ai più giovani, unendo in un unico percorso la coltivazione, l’allevamento, la trasformazione e il consumo finale del cibo.

La scelta di Eataly

Dopo i primi mesi di elaborazione e confronti con l’amministrazione comunale e le istituzioni, appare chiara la necessità di trovare finanziamenti privati e un soggetto capace gestire il progetto. Andrea Segrè e Alessandro Bonfiglioli direttore generale di Caab pensano subito a Eataly di Oscar Farinetti. “Il 30 novembre del 2012, gli abbiamo esposto quella prima idea di ‘Cittadella del cibo e della sostenibilità’”. Il richiamo alla sostenibilità si avvalorava anche perché, nel frattempo, sul coperto era iniziata l’installazione di quello che sarebbe diventato il più grande impianto fotovoltaico d’Europa.

In effetti, il progetto completava l’offerta di Eataly, aggiungendo alla vendita finale e alla ristorazione le fasi a monte: la produzione agricola e la trasformazione delle materie prime. In un incontro successivo, Farinetti partorisce il nome ‘Fabbrica italiana contadina’ e da allora il progetto sarà Fico, acronimo dalla doppia lettura.

Nelle fasi iniziali del primo concept, oltre a Segrè sono coinvolti diversi professori della Facoltà di Agraria, con un iter condiviso e partecipativo. L’intervistato ricorda un incontro svoltosi la vigilia di Natale del 2013, nel quale i docenti contribuiscono con la loro esperienza alla prima pianificazione. “I professori Dinelli, Gianquinto, Vicari, Molari, Nanni Costa, Falasconi e tanti altri hanno offerto preziosi consigli operativi, per l’installazione delle coltivazioni e degli allevamenti”.

Il progetto cresce e prende forma

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credit: FICO Eataly World

La genesi di Fico a Bologna, quindi, si è giovata di un grande coinvolgimento del mondo universitario, asse portante per la parte culturale e scientifica del progetto. A questo si affianca la gestione di Eataly World, società amministrata da Tiziana Primori, che ha curato tutta la realizzazione del parco nonché il suo popolamento, pur mantenendo una sua indipendenza.

“Abbiamo costituito una fondazione alla quale partecipano quattro università: Bologna, Trento, Pollenzo e Napoli, proprio perché l’idea originaria basata sull’educazione alimentare sia ben organizzata e presentata” ricorda l’intervistato.

Dal secondo incontro con Farinetti, all’inizio del 2013, parte l’abbrivio fondamentale per giungere fino all’inaugurazione di oggi. “I soggetti che hanno partecipato al percorso per realizzare il progetto – i finanziatori, il Comune di Bologna, Eataly, le realtà del territorio, le imprese e tutte le personalità coinvolte – hanno dato un contributo straordinario, creando un parco davvero unico”.

La Fondazione Fico

Fico Eataly World gestirà il parco tematico, mentre una fondazione costituita ad hoc da una parte degli investitori del fondo che gestisce la ‘cassaforte’ di Fico con la partnership delle quattro università sopra citate coltiverà la filiera della formazione ‘istituzionale’, dalle scuole primarie fino all’alta formazione.

“Sono molto contento, perché la Fondazione è stata costituita anche dalle Casse previdenziali composte da medici, veterinari, agrari, biologi nutrizionisti che peraltro hanno reso credibile l’idea iniziale e il business plan, portando una cultura legata alle professioni” precisa Segrè. I medici, ad esempio, hanno sostenuto la promozione della dieta mediterranea, uno stile di vita sano, che in prospettiva riduce la spesa sanitaria per le patologie dovute alla cattiva alimentazione.

I buoni motivi per visitare Fico

Completato l’excursus sulla concezione e sugli aspetti amministrativi, Andrea Segrè parla dei motivi di attrazione di Fico a Bologna.

1. Il primo e unico parco agroalimentare al mondo

Innanzitutto, va sottolineata l’unicità di questa iniziativa, con la possibilità di vedere il mondo che ruota attorno al cibo, partendo dall’origine. La produzione è ben rappresentata da allevamenti, frutteti e orti, con una valorizzazione della biodiversità italiana. Il passo successivo è quello della trasformazione e della distribuzione, che fra gli altri comprende i forni, il frantoio, la fabbrica di birra e la pescheria. Non manca, chiaramente, un ricchissimo panorama di ristoranti e punti vendita.

Molto completa è anche l’offerta didattica di corsi pratici e sull’educazione alimentare, per la quale sono presenti anche grandi aule multimediali.

Secondo Andrea Segrè, l’obiettivo di Fico a Bologna è quello di offrire un mix attrattivo che abbini alla parte ludica l’aspetto culturale. “Io sono il ‘cultore’ della parte culturale. Ad ogni modo, entrambe le componenti sono fondamentali e hanno bisogno l’una dell’altra” aggiunge l’intervistato.

2. Educazione alimentare, biodiversità e sostenibilità

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credit: FICO Eataly World

L’aspetto educativo e culturale del parco merita di essere approfondito più nel dettaglio. Andrea Segrè ha ricordato il lavoro condotto con gli esperti universitari, per comporre una rappresentazione per quanto possibile completa delle specie vegetali e animali della biodiversità agricola italiana. Un principio simile è stato seguito per la proposta ristorativa, che comprende l’alta gastronomia come lo street food.

Sul piano culturale, sanitario e identitario, la dieta mediterranea è al centro della proposta di Fico, ed è presente anche nello statuto della Fondazione. “Uno stile alimentare riconosciuto dalla Fao come il più sostenibile, nonché patrimonio dell’Unesco. In realtà, questo modello di ‘dieta media mediterranea’ si può declinare anche altrove, non necessariamente basandosi su prodotti mediterranei. Si tratta soprattutto di uno stile di vita, quello è il punto di riferimento che promuoviamo” afferma Segrè.

Anche se la dieta mediterranea ha un legame indissolubile con l’Italia, in questo senso l’obiettivo culturale e formativo di Fico è ancor più urgente. Secondo Segrè, infatti, “i dati dimostrano che in Italia non si mangia mediterraneo. La dieta degli italiani è la più lontana dal cosiddetto indice di mediterraneità studiato da Ancel Keys”. Per il parco agroalimentare di Bologna, quindi, la promozione di uno stile alimentare sano e corretto è una sfida importante. Nell’ultimo libro di Andrea Segrè, Il gusto per le cose giuste, e sul sito web Stilmedio.it vengono presentate la piramide universale media declinabile a livello personale e locale e la piramide universale dei movimenti, per promuovere uno ‘stilnovo’ dei comportamenti e dei consumi, partendo proprio dalla dieta mediterranea.

Per saperne di più sui provvedimenti socio-politici di educazione alimentare, può essere interessante leggere un nostro articolo che analizza la possibilità di applicare tasse sul cibo spazzatura, misure fiscali già adottate in diversi Paesi.

3. Infrastrutture e agevolazioni per Fico

Oltre al quadro dei contenuti di Fico, a Bologna e non solo si è fatto molto per facilitare la fruizione del parco. L’intervistato afferma che “c’è un trasporto dedicato, con 9 autobus di ultima generazione per collegare il centro della città, la stazione, il quartiere fieristico e Fico. Per arrivare dall’aeroporto è in via di completamento il People Mover, mentre se si parla di trasporto privato, la tangenziale e l’autostrada sono vicine e i parcheggi sono presenti in misura più che sufficiente”. Per l’avvio, quindi, non sembrano esserci problemi, ma è chiaro che se in prospettiva i visitatori cresceranno questo dovrà stimolare l’Amministrazione a garantire le infrastrutture necessarie. “Il Sindaco ha già detto che ci sono le risorse per fare il tram”, aggiunge Segrè. Fico, comunque, è già ottimamente collegato con le reti di trasporto pubblico e privato di Bologna.

Fico, Bologna e il sistema Italia

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Bologna – 21/03/2017 – Andrea Segre’ presidente del CAAB – Centro Agro Alimentare di Bologna (Photo by Roberto Serra / Iguana Press)

Per una previsione sul successo di questo progetto, è interessante valutarne l’inserimento nel tessuto economico e culturale bolognese. Andrea Segrè sostiene che la sfida di aprire un parco così grande consiste innanzitutto nella creazione di legame con la città. “Se Fico rimarrà isolato da Bologna o si metterà in competizione con il centro non funzionerà, ma io credo che sarà esattamente il contrario. Fico è nato a Bologna perché solo questa città poteva partorire e crescere un progetto di questo tipo, più che ogni altro luogo al mondo” puntualizza Segrè.

Per l’intervistato, l’offerta e la posizione del parco invogliano a visitare sia Fico che Bologna e il suo centro. “Quando Farinetti parla della ‘Disney World del cibo’ io penso che il paragone non sia esattamente appropriato. Disney World è a Orlando, in Florida, in una zona di scarso interesse, scelta evidentemente per delle condizioni economiche molto vantaggiose. Qui, invece, c’erano delle condizioni straordinarie sotto tutti i punti di vista. Siamo in una città accogliente, la dotta, la grassa, nonché sede dell’Università più antica al mondo. Penso davvero che l’integrazione tra Fico e Bologna ci sarà”.

L’impatto su scala nazionale e internazionale

Anche se per alcune valutazioni occorrerà tempo, Segrè ritiene che Fico si rivelerà “un formidabile mezzo di promozione per il made in Italy alimentare, il Paese dovrà saperne approfittare anche in chiave export”. Per l’intervistato, l’obiettivo fissato a Expo di raggiungere i 50 miliardi di Euro di esportazioni rispetto ai 37-38 attuali è assolutamente alla portata del nostro Paese. Tuttavia “non basta essere conosciuti, bisogna che i prodotti italiani arrivino sui mercati stranieri, aspetto che dipende dal sistema della grande distribuzione e da quanto le istituzioni potranno fare in questo senso”.

Critiche e obiettivi già raggiunti

Come per tutte le grandi iniziative – a maggior ragione se in Italia – anche la vigilia dell’apertura di Fico a Bologna ha raccolto critiche di vario tipo. Fra queste, quelle più ricorrenti hanno puntato il dito contro l’eventuale ‘svuotamento’ che un parco di queste dimensioni causerebbe alle reti dei piccoli mercati e dei produttori locali. Negando questa possibilità, Segrè non vede una competizione con le piccole realtà, bensì uno stimolo per migliorare l’offerta.

Andrea Segrè ribadisce che “siamo riusciti a valorizzare un bene pubblico che costava alla collettività, sul quale gravava un debito di 15 milioni di Euro. Grazie a Fico, a Bologna abbiamo già realizzato il nuovo Caab, un’opera per la quale non è stato speso denaro pubblico”.

Nell’iniziativa, Caab ha apportato un patrimonio pubblico senza mettere denaro, che invece è stato versato dai privati. Pertanto, nell’ottica di valorizzazione di un bene di tutti, “abbiamo iniziato ad avere dei risultati positivi ancor prima della partenza del progetto, un fatto abbastanza insolito. Io ho sempre ragionato in ottica pubblica, in quanto presidente di Caab e quindi azionista di maggioranza relativa di Fico. Se il parco avrà successo, quindi, il pubblico incasserà lo stesso dividendo del privato che ha investito denaro liquido” conclude Segrè.

Troppi punti ristoro?

Frutteto fico

Una seconda critica riguarda l’elevato numero di attività commerciali presenti all’interno di Fico, che potrebbe estremizzare la concorrenza. Segrè ribalta la questione, sottolineando la rappresentatività sul piano imprenditoriale e agro-alimentare. Sono presenti grandi marchi, come Granarolo, e piccole ma importanti realtà, fra le quali la pasticceria Palazzolo, nota anche per essersi opposta al pizzo. “L’Italia è fatta di grandi, medie e piccole imprese. Si è anche seguito un principio interno di solidarietà, perché i piccoli operatori con minori possibilità economiche hanno avuto il sostegno da parte degli investitori del fondo. Per di più, Ascom è fra gli investitori di Fico, a dimostrare che il tessuto commerciale di Bologna è coinvolto nel progetto”.

La forte presenza di attività e marchi emiliano-romagnoli, invece, dipende dal fatto che l’Emilia-Romagna è la regione italiana con più DOP e IGP, e non solo perché Fico è a Bologna. “L’offerta è stata bilanciata con criterio, poi i dati li verificheremo nel corso del tempo. Ad ogni modo, se il conservatorismo, la diffidenza e la sfiducia prevalgono, le iniziative si bloccano e c’è appiattimento, cosa che noi e la città non vogliamo”.

Dopo questa intervista sull’apertura di Fico a Bologna, può essere interessante leggere il nostro articolo-guida su cosa fare a Fico Bologna, e un’intervista a un esperto di Last Minute Market sulla legge contro lo spreco alimentare.

Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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