Vittorio Agnoletto

Expo2015 e le multinazionali: intervista a Vittorio Agnoletto

Adriana Angelieri

Lo scorso 7 febbraio a Milano si è tenuto il convegno “Nutrire il pianeta o nutrire le multinazionali?”, un contro-evento rispetto a quello che si teneva durante la stessa giornata, sempre a Milano, dove il premier Matteo Renzi ha lanciato la Carta di Milano. Il “contro” evento è stato organizzato dal collettivo “CostituzioneBeniComuni” e promosso, tra gli altri da Vittorio Agnoletto, medico e attivista, tra i più in vista del movimento no-global.

Il tema della conferenza da voi organizzata è Expo, ma non l’Expo ufficiale. Secondo Lei, come doveva essere impostata l’esposizione universale affinché fosse un’importante occasione di dibattito internazionale e non, come voi sostenete, un’occasione per alimentare il profitto delle multinazionali?

Expo soffre di una contraddizione originaria: a discutere dei temi della sovranità alimentare, della fame nel mondo e del diritto alla terra sono le multinazionali dell’alimentazione le quali sono la causa dei problemi e non la soluzione.
Un altro problema è la durata dell’evento. Mi spiego: per finanziare un evento della durata di sei mesi è necessario disporre di parecchi fondi di cui, purtroppo, solo le multinazionali dispongono. Se l’obiettivo fosse stato quello di promuovere un evento che affrontasse seriamente i temi di Expo si sarebbe dovuta affidarne la regia ad associazioni di piccoli agricoltori, ad organizzazioni quali, ad esempio, quella dei Lavoratori Sem Terra, di Via Campesina e alle organizzazioni che da anni si battono affinché i diritti alla terra, al cibo e all’acqua vengano riconosciuti a tutti.

Mentre si svolgeva il vostro convegno Matteo Renzi era a Milano per lanciare il Protocollo mondiale sul cibo. Qual è la Sua opinione a riguardo?

La regia del Protocollo di Milano è stata affidata alla Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition. A me sembra una contraddizione affidare alle multinazionali la gestione di un trattato internazionale sul cibo. A discutere di sovranità alimentare dovrebbero essere, piuttosto, i piccoli coltivatori. Invece del Protocollo di Milano si sarebbe dovuto lavorare su un documento che denunciasse le politiche delle multinazionali come causa di problemi, quali l’obesità e la malnutrizione.

Faccio solo un esempio: la Coca Cola è partner soft drink di Expo e distributore ufficiale delle bevande. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente raccomandato ai paesi aderenti di diminuire la quantità di zucchero presente negli alimenti, una delle cause dell’obesità. Non è forse la Coca Cola una delle bevande con più zucchero che esistano? Per non parlare del fatto che l’Italia è uno dei pochi paesi che si è rifiutato di aderire alla raccomandazione dell’OMS; e questo per favorire Ferrero, un’altra multinazionale…

Un altro paradosso, forse il principale. Secondo dati ONU, il pianeta è in grado di produrre a sufficienza per sfamare 12 miliardi di persone ma attualmente circa 800 milioni di individui soffrono la fame e altrettanti sono obesi. L’obesità non è sinonimo di prosperità ma è l’altra faccia della medaglia della povertà, e la causa di questo sono soprattutto le politiche delle multinazionali.

Ecco perché ritengo che non si possa affidare alle multinazionali la gestione di un evento come Expo, bisognerebbe piuttosto discutere sull’opportunità di tagliare i finanziamenti europei alle multinazionali del settore agroalimentare che fanno una concorrenza sleale ai piccoli coltivatori locali.

Nella vostra conferenza avete parlato di nutrire le multinazionali e aumentare i loro profitti. Vorrei conoscere la Sua opinione riguardo l’accordo commerciale fra gli Stati Uniti e l’unione Europe, il TTIP.

Il TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, è un chiaro esempio di come la politica internazionale non sia più costruita attorno ad un dialogo fra stati ma sia dettata dal dominio delle multinazionali sugli stati.

Pensa che prevalgano gli aspetti negativi o vede anche qualche aspetto positivo di questo accordo?

Ci sono solo aspetti negativi. Il TTIP è un accordo che, intervenendo soprattutto sulle barriere non tariffarie, e quindi sulle normative che limitano la libera circolazione delle merci, cancellerà la democrazia e il ruolo dei parlamenti. Infatti, se una multinazionale si riterrà danneggiata da una legge, che ad esempio dovesse aumentare la tutela dei diritti dei lavoratori o la difesa dell’ambiente, avrà la possibilità di portare quel governo di fronte ad un tribunale internazionale. In tal modo verranno privati del proprio ruolo i parlamenti e svuotati di qualunque senso i processi democratici fondati sulla partecipazione popolare e sul voto. Tra l’altro il giudizio sarà delegato all’istituzione di tribunali costituiti ad hoc per dirimere le eventuali controversie fra stati e imprese; i giudici, così come gli avvocati, saranno scelti da una lista contenente i principali studi legali che operano a livello internazionale, studi che abbiamo trovato spesso in questi anni al fianco delle principali multinazionali. Quindi non saranno tribunali democratici, né rispettosi della legge, né tantomeno giusti e imparziali.

Quindi Lei non condivide le stime del Centre for economic policy research di Londra secondo le quali l’export europeo salirebbe del 28%?

Secondo me l’Europa ci guadagnerà ben poco. Forse, ad avere qualche vantaggio saranno al massimo quelle poche multinazionali europee. Non a caso la Germania ha ammonito sull’andarci piano con il TTIP. Secondo me, verremo colonizzati dalle multinazionali statunitensi, in violazione delle normative europee sulla sanità e sulla sicurezza degli alimenti.

Lei è da tempo impegnato nella battaglia per il diritto all’acqua come bene comune, vorrei un Suo commento sulla situazione attuale a tre anni dal referendum del giugno del 2011.

Chiaramente la volontà popolare è stata disattesa. Stiamo piuttosto assistendo ad un rilancio delle privatizzazioni. Sulle bottiglie d’acqua della San Pellegrino, di proprietà di Nestlè, uno degli sponsor di Expo, c’è l’etichetta che recita: “L’acqua di Expo”.
Non sarebbe stato più in linea con i temi e gli obiettivi che Expo dichiara formalmente di voler raggiungere affermare che l’acqua di Expo è l’acqua pubblica di Milano, che oltretutto è tra le migliori d’Italia? Non l’acqua di una multinazionale che dobbiamo comprare al supermercato. Il segnale che emerge da queste scelte di EXPO è che l’acqua non è un diritto ma un bene commerciale. Se Expo voleva seriamente proporre un così grande e impegnativo tema quale “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, avrebbe dovuto mettere al centro il diritto universale all’acqua.
L’Italia dovrebbe seguire l’esempio di Parigi dove dal gennaio 2010 l’ente pubblico Eau de Paris ha rilevato dalle due multinazionali Veolià e Suez la gestione della rete idrica. Il risultato è stato un risparmio di diversi milioni di euro.

Quali sono state le iniziative e quali saranno i prossimi appuntamenti per questa vostra battaglia per il diritto all’acqua?

Siamo contrari a Acquae Venezia 2015 così come è stata pensato; non è un caso che sul sito ufficiale l’evento sia presentato come un’occasione imperdibile di business per le aziende. Oltretutto uno dei Paesi maggiormente coinvolti nella preparazione è Israele, che non è proprio un modello da seguire viste le politiche che ha adottato per ostacolare l’accesso all’acqua ai palestinesi di Cisgiordania e nella striscia di Gaza.
Avrei voluto che fosse stato accolto l’appello di Prodi di fare di Milano, dopo Expo, la sede di un’autorità mondiale dell’acqua.
GUE (il gruppo della Sinistra Europea) e Costituzione Beni Comuni promuoveranno nei prossimi mesi, un evento internazionale per ribadire il diritto universale all’acqua.

Intervista a cura di S.L.

Siciliana trasferita a Bologna per i tortellini e per il lavoro. Per Il Giornale del Cibo revisiona e crea contenuti. Il suo piatto preferito può essere un qualunque risotto, purché sia fatto bene! In cucina non devono mancare: basilico e olio buono.

Lascia un commento