cosa mangiare in romagna

Romagna mia, alla scoperta dell’enogastronomia di una terra generosa

Giulia Ubaldi

La mia bisnonna Angelina era romagnola, di Meldola, in provincia di Forlì e diceva sempre: “qualsiasi sia il tuo problema, mangia che ti passa”. Per lei il cibo era una panacea di ogni male, tanto che una volta guarì la pleurite di mio nonno con il suo zabaione di uovo sbattuto, zucchero, caffè e marsala di primo mattino e pasta fresca al ragù (di cui c’era già il profumo in casa all’alba) nei pasti a seguire. Non che la mia storia abbia qualcosa di speciale o sia diversa da tante altre, soprattutto dell’epoca, ma queste poche parole, seppur semplici e personali, racchiudono e ben riassumono quella che è la Romagna: una terra generosa, incapace per sua natura di risparmiarsi, che si esprime soprattutto a tavola, durante i pasti, i momenti massimi di convivialità e di caciara. Insomma, gente votata per natura ad un’ospitalità reale, tutt’altro che decantata, oltre qualsiasi luogo comune. L’abbiamo girata per voi tra vigne e frutteti, saline e uliveti, alla ricerca di prodotti, aziende e luoghi dove respirare una Romagna più Romagna che mai.  

Cosa mangiare in Romagna?

piatto romagnolo

Il problema della Romagna non è tanto l’essere più o meno conosciuta; il problema della Romagna è che, come in tutte le località di mare, non viene considerata la sua parte interna. Infatti, se città come Rimini o Riccione non soffrono in alcun modo di mancata fama, paesi come Galeata, Premilcuore, Morciano o Bagno di Romagna sono, a torto, pressoché sconosciuti. Così, abbiamo deciso di portarvi alla scoperta di tutte queste meraviglie, per ricordarvi che c’è anche e soprattutto un’ “altra” Romagna, decisamente stupenda, seppur non affacciata sul mare.

Il raviggiolo dell’Appennino tosco-romagnolo

Nelle vallate forlivesi di Montone, Rabbi, Bidente e Savio sono rimasti solo in tre a produrre questo formaggio vaccino a latte crudo, difficile da reperire per la sua bassa conservabilità, visto che non dura più di quattro giorni. Paradossalmente era più diffuso secoli fa: ce ne sono tracce dal Rinascimento fino ai testi del maestro Pellegrino Artusi, anch’egli originario di questa terra (Forlimpopoli), che lo cita tra gli ingredienti per i cappelletti all’uso di Romagna. Attenzione però a non confonderlo con l’omonimo toscano, che invece è a base di latte di pecora!

Razza bovina Romagnola cartoccio Campanara

campanara roberto

Non teme il confronto con la chianina anzi, è una delle razze più resistenti che ci sia: ben si adatta sia ai terreni più difficili, sia alle cotture più lente e delicate come quella del tradizionale arrosto di scamone alla romagnola. Ma se c’è un piatto che valorizza perfettamente questa razza, è il cartoccio di polpettine a scottadito di razza bovina della Nonna Gina: preparate oggi dalla nipote Alessandra Bazzocchi all’Osteria La Campanara di Galeata. Sono, com’è giusto che sia per tutte le polpette, una ricetta segreta, premiata anche all’Expo. Meta del cuore e dell’anima, in una Romagna profonda, piena di storia e di amore, La Campanara è il luogo giusto per capire meglio questo pezzo di terra.

Vino: Sangiovese e Pagadebit

vino romagna

Non si può parlare di Romagna senza parlare di vino, poiché in tavola non manca davvero mai. E nella storia della viticoltura romagnola sono particolarmente interessanti i numerosi vitigni autoctoni (tutelati dal Consorzio Vini di Romagna) come il Pagadebit, maltrattato per anni poiché considerato debole, povero, senza personalità, usato, appunto, per pagare i debiti, in quanto molto produttivo.

I nostri nonni ci raccontavano che il raccolto avveniva tardi e per questo serviva a pagare i debiti della vendemmia”: queste le parole di Dado e Macio della Cantina Enio Ottaviani, che hanno creduto moltissimo in questo vitigno e oggi sono proprietari della vigna di Pagadebit più antica, che risale circa all’inizio degli anni Sessanta. I fratelli Ottaviani hanno creduto tantissimo anche in un altro vino locale, dandogli il giusto valore che da tempo meritava, ovvero il Sangiovese, con loro Caciara, invece, hanno vinto il premio come miglior vino pop d’Italia 2015. E per conoscere la Romagna, questa è un’altra tappa davvero obbligatoria: Loredana, la mamma, che negli anni Settanta consegnava vino a domicilio per le case, vi preparerà sicuramente una piadina con le sarde di benvenuto, poi un po’ di pasta fresca, che in Romagna non manca mai, e ovviamente pesce fresco alla griglia. Il tutto a ritmo di polka degli anni Sessanta, con il jukebox acceso che intanto va.

La pera cocomerina

pera cocomerina

Per salvaguardare la produzione di questo frutto antico è nata l’associazione culturale Pro Ville di Verghereto, con una cinquantina di persone circa che collaborano alla raccolta di pera cocomerina e alla sua trasformazione in confetture e liquori. Deve questo nome all’intenso colore rosso della sua polpa, che ricorda appunto il cocomero. Come tutte le varietà più antiche, però, anche questa pera veniva coltivata per il consumo familiare, quindi ne rimangono solo pochi alberi sparsi tra le campagne della Romagna. Per tutti questi motivi oggi è un Presidio Slow Food.

Il sale marino artigianale di Cervia

Le saline di Cervia sono di epoca preromana e si estendono per circa 827 ettari: sono composte da oltre 50 bacini, circondate da un lungo canale di 16 chilometri che consente all’acqua dell’Adriatico di entrare e uscire. Qui il sale viene raccolto in modo artigianale, con l’ausilio di un nastro trasportatore e di un carrello. Solo nella Salina Camillone il sale viene raccolto ancora tutto a mano, con il sistema a raccolta multipla e con i tradizionali strumenti in legno di una volta.

Il sale di Cervia si differenzia per essere il più dolce di tutti, grazie al fatto che non vengono lasciati depositare i cloruri amari; è da provare tassativamente sulle pizze di Primula Rossa di Civitella di Romagna, una delle pizzerie più buone d’Italia, dove si mangia immersi tra migliaia di libri (il menù stesso non è un foglio, ma un grande libro tutto da scoprire).

Il formaggio di fossa

La tradizione di “infossare” il formaggio è propria della bassa Romagna, in particolare di Sogliano al Rubicone e Talamello, ma si estende fino alle alte Marche, soprattutto nel Montefeltro e nella val Metauro. Dopo un periodo di stagionatura, il formaggio, a base di latte vaccino, ovino oppure misto di entrambi, viene messo per circa 100 giorni in sacchi di cotone naturale nelle fosse di roccia viva di arenaria ricoperte di paglia. Sono questi materiali naturali a donargli un sapore unico, antico, minerale, intimo, inconfondibile, che sa di storia: la pratica dell’infossatura, infatti, ha origine nel Medioevo, quando si utilizzava per proteggere i viveri dalle razzie degli invasori di passaggio tra Romagna e Marche. Per assaggiarlo ricordo i produttori italiani di formaggio consigliati da Giovanni Angelucci.

L’olio

campanara olio romagna

Chi l’avrebbe mai detto che uno dei migliori oli d’Italia fosse proprio qui, in Romagna? Sarà il mare della costa da un lato e gli Appennini riminesi dall’altro, fatto sta che l’olio della Nostrana di Brisighella DOP è davvero degno di nota (e di degustazione). Come vi avevamo già accennato durante il nostro viaggio alla scoperta dellolio extravergine d’oliva italiano, il passaggio da una produzione più per l’autoconsumo ad una destinata alla commercializzazione è una storia recente: a Brisighella, inizia nel 1970 con la fondazione del frantoio sociale della Cooperativa Agricola Brisighellese. Da provare è quello di piccole aziende come il Podere Il Monte di Matteo Menna o la Tenuta Pennita di Alina e Gianluca, entrambi a Terra del Sole, in una Romagna più generosa che mai.

La mora romagnola

Ne erano rimaste solo tredici, nelle mani di un allevatore cieco; poi, un servizio di Linea Verde ha suscitato l’interesse di alcuni produttori locali che si sono rimboccati le maniche, hanno ripreso l’allevamento di questa razza e oggi sono sei, riuniti nell’associazione La mora del Presidio.

La mora romagnola si riconosce subito: ha gli occhi a mandorla, la coda a spirale, le orecchie basse un po’ all’ingiù e il pelo marrone scuro che tende al nero, tanto che potrebbe ricordare più un cinghiale che un maiale. Come generalmente tutte le razze più antiche, è molto rustica e predisposta all’ingrasso, motivi per cui è ideale per l’allevamento all’aperto. Attualmente è forse più apprezzata all’estero che in Italia, visto che aziende come quella dei fratelli Zavoli mandano i suoi salumi persino a Hong Kong o in Nuova Zelanda. Forse andrebbe provata di più anche qui, che dite?

Il marrone di Casola Valsenio

All’inizio di ogni stagione autunnale, a Casola Valsenio si svolge la festa dei frutti dimenticati e, in particolare, del marrone. Nel corso dell’evento è previsto sempre un concorso per premiare il miglior dolce a base di marrone, che come la pera cocomerina, è in via d’estinzione, anche a causa del generale abbandono del lavoro in campagna. In questa occasione gli agricoltori casolani espongono anche altri i frutti autunnali, raccolti da antiche piante che ancora conservano, come ad esempio azzeruole, sorbe, avellane, corbezzoli, corniole, mele della rosa, pere volpine e così via.

Il pesce

pesce gardini

 

Infine, però, non possiamo ignorare del tutto che la Romagna si affaccia sul mare, nella nota riviera romagnola, tra i luoghi più pop (in senso di popolare) che ci sno in Italia. E per gustare il pesce dell’Adriatico, c’è la Casa di Mare di Luca Gardini, miglior sommelier del mondo 2010, con i fratelli Leoni in cucina, autori di piatti da ossequio, che dimostrato come in Romagna non ci sia luogo migliore della tavola per incontrarsi.
E ora andiamo a prepararci una bella piadina romagnola, perché come dicono in Romagna, a penza pina u’s rasounna mey, ovvero a pancia piena si ragiona meglio!

Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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