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Gli Champagne della Maison Ruinart

Giovanni Angelucci

Nel mondo ci sono migliaia di vini, sconfinate distese di vigneti sparsi per le zone più vocate alla viticoltura. E poi c’è lo champagne. Ogni etichetta cela una storia, a volte molto interessante in grado di raccontare i vignaioli e i loro territori, altre volte meno. Dietro le etichette di una bottiglia di champagne vi è un mondo. Non a caso si parla di mito. Un calice di champagne è il risultato di più componenti che si uniscono in un’alchimia perfetta, chiamata cru. Mai così grande valore ha avuto questo termine come nel caso dello champagne perché è in grado di rappresentare la sua più profonda anima fatta di caratteristiche territoriali, clima, tecniche di coltivazione e vinificazione. E gli Champagne Ruinart possono essere un ottimo esempio di come una maison sia in grado di esprimere il mito con un connubio di storia, saperi custoditi e tramandati, qualità come dogma.

La regione Champagne

Champagne Francia

La denominazione di origine controllata della zona di produzione (AOC) Champagne si estende su circa 34.000 ettari di vigneti, siamo a 150 chilometri ad est di Parigi e comprende oltre 300 cru in 5 differenti dipartimenti. Ed è qui che lo Chardonnay, il Pinot Noir e il Pinot Meunier riescono ad esprimersi come in nessun’altra parte, con caratteristiche specifiche che danno grandi bollicine, complesse, affascinanti e soprattutto di una longevità straordinaria. È questo che fa di un vino un viaggio e un simbolo, nel caso dello champagne amplificandone le caratteristiche, in un modo non semplice da rintracciare nel bicchiere ma che rappresenta le fondamenta della cultura di un popolo.

La Maison Ruinart

Bisogna andare indietro sino al 1729 per ripercorrere la storia di questa realtà così prestigiosa. In quell’anno Nicolas Ruinart fondò la prima Maison de Champagne mai registrata fino ad allora, ma ben prima la lungimiranza dello zio Dom Thierry Ruinart indirizzò la visione della famiglia verso una dritta strada, che poi si rivelò di successo. Storico e teologo, già nel 1680 si rese conto del nuovo stile di vita mondano delle città e delle corti in cui il “nuovo vino” era già ambito tra i giovani aristocratici. Nuovo perché nacque per un caso fortuito dovuto ad un improvviso cambiamento climatico e mai prima si era bevuto un vino frizzante. I Ruinart compresero da subito che lo champagne sarebbe stato un successo all’estero e fin dall’inizio la maison fu tra le prime aziende ad esportare e commercializzare le proprie bottiglie al di fuori dei confini nazionali. Nel tempo Claude Ruinart decise addirittura di acquistare le crayères, le cave di gesso anticamente utilizzate per la costruzione di Reims e delle sue fortificazioni, dove oggi le bottiglie riposano a 38 metri di profondità, lungo 8 chilometri di labirinto sotterraneo. Nel 1735, il commercio dello champagne diventò l’unica attività della Maison Ruinart, che abbandonò completamente il mercato dei tessuti. Oggi fa parte del gruppo LVMH ed è una delle più rinomate produttrici di champagne al mondo.

La figura dello Chef de cave

Un viaggio nella regione francese in cui viene prodotto il famoso “nettare” è certamente una valevole esperienza ma se la montagna non viene a Maometto, è lo chef de cave Frédéric Panaïotis che viene in Italia a presentare le anteprime delle nuove cuveé. Nella Maison Ruinart dal 2007 è il direttore della cantina.

champagne cantine

Nato nel 1964, Frédéric Panaïotis ha trascorso buona parte della sua infanzia nel piccolo vigneto dei suoi nonni in Champagne. Sin da subito, si è appassionato alla raccolta delle uve Chardonnay e ha iniziato a conoscere il vino in queste piccole cantine di famiglia. Si è laureato presso il Paris-Grignon Agronomique National Institut in Viticoltura e Enologia e ha ottenuto il diploma di Enologo presso la Scuola Nazionale Superiore di Agraria a Montpellier nel 1988. Dopo numerosi viaggi esperienziali, nel 1991 torna in Champagne per lavorare presso il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne e successivamente per la Maison de Champagne Veuve Clicquot. Oggi è l’artefice e l’ambasciatore del gusto Ruinart. In altre parole colui che deve coordinare tutte le operazioni per avere un grande Champagne. E le responsabilità non finiscono qui perché è il successore di una dinastia di uomini che hanno fatto la storia di questo vino e la fama deve rimanere ai massimi livelli. Il bravo chef de cave prende spunto dai suoi predecessori attraverso i vini che li rappresentano per trovare la via iniziata e continuare con un percorso nuovo a propria firma.

Champagne Ruinart: le anteprime presentate in Italia

Dom Ruinart Blanc De Blanc 2006

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“Il millesimato è il vino più facile da fare perché fa tutto la natura”, parola di Frédéric Panaïotis. Questo vino è ottenuto dai migliori grand cru di chardonnay di tutta la Champagne e ha bisogno di invecchiare una decina di anni prima di essere nella sua massima espressione. Il naso richiama la noce, il pane tostato fino ad una leggera affumicatura. In bocca è gentile e morbido, ha una bella complessità e tanto potenziale, manca forse solo un pizzico di freschezza. Buona struttura in bocca, rotonda, intensa e grassa, punta sapida sul finale.

Dom Ruinart Rosé 2004

 

La costruzione di questo vino è interessante perché la base è di chardonnay insieme ad una percentuale di vino rosso variabile di anno in anno, in questo caso pinot nero. “Avere struttura in questo champagne è essenziale, mi piace definirlo un blanc de blanc rosè”, spiega lo chef de cave. 11 anni sui lieviti, aromi speziati, fiori secchi con la rosa che spicca, bella acidità, sentori di mandarino e agrumi maturi quasi canditi che si spingono fino alla mora e al ribes con nuances dolci di vaniglia. Un naso intensissimo. La firma di questo 2004 è l’acidità nervosa in bocca.

Lo champagne Ruinart, come quello di altre prestigiose maison, rappresenta un mondo, e come lui tutto ciò che è fatto con merito da produttori che sono in grado di far parlare la propria terra. Esempio tangibile la birra artigianale agricola che sta riuscendo pian piano a farsi conoscere e ad esprimere il concetto di terroir.

Giornalista e gastronomo, collabora con numerose riviste e quotidiani che si occupano di cibo e viaggi tra le quali spiccano La Stampa, Dove e la Gazzetta dello Sport. I suoi piatti preferiti sono gli arrosticini (ma che siano di vera pecora abruzzese) e gli agnolotti del plin con sugo di carne arrosto. Dice che in tavola non può mai mancare il vino (preferibilmente Trebbiano Valentini o Barbaresco Sottimano).

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