Il borlengo modenese: storia e ricetta di una specialità poco nota

Jacopo Cavicchioli
3

     

    L’Italia, si sa, è il Paese delle mille differenze, dove nel giro di pochi chilometri cambiano i dialetti, dove ogni quartiere ha un’identità precisa e dove, appena dietro la curva, cambiano pure le ricette. Certo, gli innumerevoli piatti tipici che allietano la tavola di tutta la Penisola spesso hanno una provenienza precisa, che nella maggior parte dei casi si allarga poi a una zona tipica almeno provinciale o regionale.
    Ci sono però quelle specialità limitate solamente a un territorio ristrettissimo, fuori dal quale non c’è alcuna chance o quasi di assaggiarle; e non perché non piacciano anche altrove – anzi! – ma perché saperle preparare è un’arte che viene bene solo ed esclusivamente in quei luoghi. È il caso del borlengo modenese, orgoglio gastronomico della omonima zona pedecollinare e collinare, dove la pianura inizia a incresparsi prima di diventare l’Appennino vero e proprio.

    Borlengo modenese: le caratteristiche

    borlengo

    francesco de marco/shutterstock.com

    Si tratta di una cialda molto sottile e croccante, una sorta di crepes, ancora più friabile, che viene realizzata a partire da un impasto (detto “colla”) fatto solo di acqua, farina e sale, con la possibile aggiunta di uovo. Di forma rotonda, questa cialda ottenuta dopo una breve cottura dell’impasto, viene poi condita con la cosiddetta cunza (che in dialetto modenese significa “riempimento”), ovvero un battuto di pancetta, lardo, aglio e rosmarino, detto anche pesto modenese. Il borlengo viene poi piegato in quattro e consumato senza l’uso di posate, proprio come si fa con le tigelle e lo gnocco fritto, i suoi “parenti” culinari più prossimi, ma solo per quanto riguarda la zona di provenienza. Perché, come si dice sempre da queste parti a chi non lo conosce ancora, il borlengo “è tutta un’altra cosa”.

    Come, quando e perché nasce questo cibo che rappresenta in modo perfetto il concetto di “cucina povera”, con i suoi ingredienti essenziali utilizzati in quantità molto limitate?

    La cultura del borlengo

    In fondo, il borlengo modenese potrebbe sembrare una delle infinite varianti del pane. Invece le varie storie e leggende che riguardano la sua origine introducono tutte, in un modo o nell’altro, l’idea di parsimonia, sostentamento in situazioni ben lontane dall’abbondanza, ma piuttosto vicine al fare di necessità virtù. Sì, perché che il borlengo debba i suoi natali alla civiltà contadina è fuori di dubbio, così come trova concordi storici e appassionati gourmet che la radice del suo nome – burláng in dialetto – stia nella parola “burla”, un’etimologia che si lega bene al consumo particolare che in epoche lontane se ne faceva nel periodo di Carnevale.

    attrezzatura per cucinare i borlenghi

    francesco de marco/shutterstock.com

    La storia

    C’è però una vera burla tra le storie sull’origine del borlengo, ed è quella di cui sarebbe stata vittima una massaia, alla quale per scherzo qualcuno avrebbe allungato con troppa acqua l’impasto pronto per realizzare le tigelle. Senza perdersi d’animo e non potendo permettersi di buttare l’impasto, la donna avrebbe allora ricavato con abilità questa sottile sfoglia friabile.

    Al di là delle leggende, raccontate come sempre in decine di varianti, la prima attestazione storica del borlengo è del secolo XIII ed è ambientata a Guiglia, piccolo borgo sulle prime colline modenesi. Durante un assedio al castello, gli assediati avrebbero resistito a lungo e con poche scorte di farina proprio cuocendo delle sottili “ostie”, sufficienti a sfamarsi senza sprechi.

    La zona tipica

    Guiglia è infatti uno dei borghi al centro della “zona del borlengo”, che comprende i comuni della valle del fiume Panaro nella provincia di Modena: Vignola, Marano, Savignano e Zocca, mentre nell’area del Frignano e dell’Alto Appennino è consueta una variante della ricetta che prende il nome di ciaccio, più spesso del borlengo e con l’aggiunta di mezza patata nell’impasto.

    Proprio a Zocca ha sede il Museo Laboratorio del Borlengo, nato sia per raccontare la storia e la tradizione dei cibi poveri della collina e della montagna, sia per insegnare con corsi specifici a preparare un borlengo modenese a regola d’arte. Questo perché, nonostante la semplicità assoluta degli ingredienti, la preparazione non è affatto banale: occorrono pratica, esperienza e la capacità di manovrare correttamente la grande padella che serve per farlo.

    L’attrezzatura

    tegame per il borlengo

    francesco de marco/shutterstock.com

    Infatti l’oggetto che ogni vero borlengaio deve saper utilizzare è il cosiddetto “sole”, cioè una padella di rame stagnato piuttosto larga nella quale si cuoce un pezzo alla volta. Imparare a dosare alla perfezione l’impasto, in modo che il borlengo finito rimanga sottile, e calcolare correttamente i tempi di cottura all’interno del “sole”, che va ruotato per far aderire perfettamente l’impasto in modo omogeneo su tutta la padella, sono una piccola arte che si impara col tempo – e sbagliando molti tentativi!

    Lo spazio in cucina, l’organizzazione e la manualità necessarie per realizzare in modo tradizionale un borlengo perfetto fanno sì che, persino nella sua zona d’origine, siano pochi i ristoranti in grado di offrire questa prelibatezza nel loro menù, e che farlo in casa non sia impresa da tutti. Tuttavia, i cuochi più bravi sono in grado di proporre un ottimo borlengo anche cuocendolo in una normale padella antiaderente.

    Vi siete incuriositi e volete cimentarvi? Ecco come si prepara un vero borlengo modenese!

    Borlengo: la ricetta

    La lista degli ingredienti per preparare i borlenghi è piuttosto esigua. Vediamo cosa serve per realizzarne 7-8, che in media bastano per un pasto di 2-3 persone.

    Ingredienti

    Per la “colla”:

    • 250 g di farina tipo “0”
    • circa 1 litro di acqua fredda
    • un pizzico di sale
    • 1 uovo (opzionale)

    Per la “cunza” (che nel modenese si può acquistare anche già fatta):

    • 80 g di lardo di maiale
    • 1 spicchio d’aglio
    • 1 rametto di rosmarino
    • 50 g di Parmigiano Reggiano grattugiato

    Procedimento

    Per preparare l’impasto, rompete l’uovo, aggiungete un po’ di acqua e mescolate, per unire poi il sale e la farina, sempre continuando a mescolare. Di tanto in tanto, aggiungete ancora acqua. L’impasto da ottenere deve essere molto liquido e liscio e va lasciato riposare per almeno 1 ora.

    Ungete la padella antiaderente (di almeno 30 cm di diametro) – o il “sole”, per i più attrezzati – con un pezzetto di lardo. Iniziate a scaldare la padella a fuoco basso. Versate mezzo mestolo di colla nella padella e fatela roteare per spargere l’impasto e ottenere una superficie omogenea. È importante che la colla non inizi a bollire, altrimenti significa che la padella è troppo calda. In questo caso, meglio toglierla dal fuoco per qualche secondo prima di versare la colla quando toccherà al borlengo successivo.

    Cuocete l’impasto a fuoco lento per il tempo necessario a renderlo croccante, poi giratelo sull’altro lato. Il tempo di cottura varia molto a seconda della densità dell’impasto, del tipo di padella e della temperatura. Con i “soli” può bastare anche meno di un minuto, mentre con una padella antiaderente potrebbero volercene dai 4 ai 6. Una volta cotto su entrambi i lati, togliete il borlengo dalla padella, ungetelo con il condimento utilizzando un pennello, spolverate con il Parmigiano Reggiano e chiudetelo in quattro per ottenere uno spicchio da mangiare con le mani. Se è di colore giallino, croccante e molto friabile, allora è venuto alla perfezione!

    cottura del borlengo

    francesco de marco/shutterstock.com

    Dove mangiare il vero Borlengo in provincia di Modena

    La provincia di Modena è da sempre un luogo di culto per gli appassionati del buon cibo e del buon vino: tra agriturismi, locande e trattorie queste terre pullulano di sapori e tradizioni. Quale zona migliore dunque per assaggiare un autentico Borlengo? Di seguito troverete i nostri 5 locali preferiti in cui assaporare questo capolavoro della cucina emiliana. Siete pronti? Andiamo a conoscerli da vicino.

    Circolo Faeti – Formigine

    A Ubersetto di Formigine, nel cuore dell’appennino modenese, si trova uno dei locali più apprezzati dagli abitanti della zona, il Circolo Faeti. Il personale cordiale e professionale, vi accoglierà in un ambiente informale (anche all’aperto) che vi farà sentire subito a casa. Le rezdore propongono una cucina rigorosamente tradizionale, con piatti che variano dai tortelloni Vecchia Modena fatti in casa alle crescentine, passando per gnocchi fritti, specialità montanare della zona, torta barozzi e ovviamente gli autentici Borlenghi. Un luogo in cui assaporare tutti i sapori della tradizione modenese e godersi sfide tra amici a colpi di biliardino e ping pong.

    La Ca’ dal Porc – Formigine

    Nell’aperta campagna di Colombaro, in un bellissimo rustico ristrutturato, si trova il ristorante La Ca’ dal Porc. La sua cucina propone tante eccellenze modenesi fatte in casa come tortellini e tortelloni, stracotto di selvaggina, gnocco fritto e tigelle con affettati. La vera specialità della casa però sono i suoi deliziosi Borlenghi, talmente apprezzati che il locale può fregiarsi del titolo di “borlengheria”. Non manca ovviamente una selezione di dolci fatti in casa, ottimi lambruschi locali e liquori, per una perfetta serata in compagnia di amici e buon cibo.

    preparazione del borlengo

    francesco de marco/shutterstock.com

    Trattoria la Campagnola – Vignola

    Ci spostiamo nella vicina Vignola per farvi scoprire la Trattoria la Campagnola. Entrando in una delle eleganti sale (anche all’aperto) vi ritroverete immersi in un’atmosfera casalinga e circondati dai profumi della cucina “di una volta”.  Tra le specialità della casa i Borlenghi (cucinati tutto l’anno), i tortelli alla fiamma con ricotta, spinaci e aceto balsamico, i tortelli rosa con impasto a base di rapa, gnocco fritto e tigelle accompagnati da salumi di qualità, verdure grigliate e formaggi. Oltre ai piatti tradizionali, il fiore all’occhiello della trattoria è l’Aceto Balsamico Tradizionale realizzato nella loro acetaia, e riconosciuto come “miglior aceto balsamico tradizionale di Vignola”.

    Un immersione di sapori e tradizioni per tutto l’anno, anche a pranzo!

    Agriturismo San Polo – Castelvetro di Modena

    Se siete alla ricerca di un locale rustico e accogliente per scappare dalla frenesia della città, l’Agriturismo San Polo di Castelvetro è quello che fa per voi. In questo angolo di natura si utilizzano solo materie prime a km zero, ogni stagione ha il proprio menù dedicato con specialità modenesi: primi piatti tradizionali come tortellini e tagliatelle, crescentine della casa con salumi, carne di selvaggina e prodotti freschi della zona. Immancabili ovviamente i Borlenghi, pezzo forte del locale, che nel 2015 hanno ottenuto il premio “Qualità e spettacolo” al Borlengo di Platino. E poi un’ottima selezione di dolci fatti a mano e vini della casa provenienti direttamente dalle cantine dell’agriturismo.

    borlengo con nutella

    francesco de marco/shutterstock.com

    La Zampanella – Montese

    Per questo breve tour tra i migliori locali in cui gustare il Borlengo non potevamo non menzionare la Zampanella a Montese, un’osteria “vecchio stampo” che si dedica quasi esclusivamente a questo tipico prodotto modenese. Gli abbinamenti con cui gustarli sono tanti e meritano di essere assaporati dal primo all’ultimo: prosciutto cotto, salame e scamorza, pancetta, prosciutto e stracchino, speck e brie, nutella e marmellate della casa. Il locale offre anche la possibilità di ordinarli in modalità “take away” ottima soluzione per chi preferisce assaporarli nella comodità di casa propria.

    Conoscete altri locali in cui assaggiare questa delizia?

     

    Articolo scritto con la collaborazione di Marco Bini.

    Nasce a Mirandola, vive a Mirandola ma lavora a Bologna. Per Il Giornale del Cibo crea contenuti. Il suo piatto preferito sono le tigelle modenesi perché gli ricordano le cene con gli amici, ma soprattutto perché si possono farcire con qualsiasi ingrediente! In cucina non può mancare: una buona compagnia e una bottiglia di Lambrusco rigorosamente Grasparossa o Sorbara.

    2 risposte a “Il borlengo modenese: storia e ricetta di una specialità poco nota”

    1. Antonella Romagnoli ha detto:

      sarebbe meglio che ciò che voi qui chiamate “tigelle” venisse chiamato col suo vero e corretto nome, cioè “CRESCENTINE”.
      La tigella è lo stampo in terracotta in cui le crescentine venivano una volta cotte sul camino. Un po’ dura da mangiare …

      • Jacopo Cavicchioli ha detto:

        Ciao Antonella,
        grazie per averci scritto. È vero, quelle tipiche cotte nell’apposita pietra si chiamano crescentine, questa tecnica di cottura però è limitata ad alcune zone dell’appennino modenese e non tutti i locali in cui sono servite lo utilizzano, per cui è possibile trovarle definite con entrambi i nomi.

    Lascia un commento